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CARIFERRARA, LA FABI CONTRO BANKITALIA

di Redazione
Sulla stampa di oggi la forte presa di posizione del sindacato contro l’ipotesi di licenziamenti nella Cassa di risparmio di Ferrara. Sileoni: “La Politica si ribelli. Così Bankitalia mette in mezzo alla strada lavoratori e risparmiatori”. 
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Brescia Oggi 30/12/2016

Ubi-good bank slitta Per la spa il «sostegno» del fondo Atlante – …

Slitta con molta probabilità a inizio 2017 la cessione delle 3 good bank (Banca Etruria, Banca Marche e Carichieti) a Ubi, che però incassa il sostegno del Fondo Atlante ormai libero dall’operazione Mps dove l’intervento dello Stato ha superato la maxi operazione di smobilizzo delle sofferenze. IL FONDO rileverà i due terzi dei 3,7 miliardi di crediti ancora in portafoglio, così da permettere alla spa guidata da Victor Massiah di rilevare le tre banche ripulite da buona parte dei propri Npl. Una decisione che sarà sancita dai Consigli delle good bank oggi, ma che fa slittare ad almeno dopo l’Epifania l’operazione. Ubi poi deve ancora dare l’assenso finale considerato il fabbisogno di capitale, cui comunque dovrà fare fronte. C’è anche chi sostiene che il prolungarsi dei tempi sia dovuto a una richiesta di Bruxelles a Bankitalia, per rispettare le procedure d’asta, di compiere un giro di consultazioni fra i potenziali offerenti. L’offerta di Ubi sarebbe inferiore a quelle del passato e già giudicate non congrue. Bankitalia, quindi, dovrebbe chiedere agli altri potenziali interessati un loro eventuale interesse a rilevare le banche in questione alle stesse condizioni di Ubi. In acque agitate, invece, la quarta banca, la piccola Carife dove il sindacato Fabi ha tuonato contro la Banca centrale, azionista unico tramite il fondo di risoluzione che avrebbe minacciato la liquidazione coatta se non dovessero passare i licenziamenti collettivi. Sullo sfondo c’è la cessione a un terzo soggetto, forse la Bper ma a patto di un drastico ridimensionamento del perimetro aziendale. Se la vicenda delle banche in risoluzione sembra aver incasellato quasi tutti i tasselli (nel decreto Mps c’era anche l’ammortamento in più anni del «conguaglio» dei versamenti al fondo di risoluzione), resta aperto il tema dell’obbligo di trasformazione in spa delle popolari, scadenza che verrà decisa in via giudiziale. Nel decreto mille proroghe approvato dal Governo nel suo ultimo provvedimento dell’anno non è stata inserita la sospensiva del vincolo. Per le due realtà rimanenti, la Popolare di Bari e la Popolare di Sondrio, tutto è fermo per il verdetto dei tribunali di Milano e Bari in ossequio a quanto disposto dal Consiglio di Stato a metà dicembre su ricorso di alcuni soci. L’organo amministrativo tornerà a riunirsi il 12gennaio per confermare o meno quella decisione. Certo dovrà tener conto del rigetto, da parte della Corte Costituzionale, del ricorso della Regione Lombardia. ***

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Corriere della Sera 30/12/2016

Salvataggi – Ubi: un euro per Etruria, Banca Marche e Chieti – Massaro Fabrizio

Un prezzo simbolico di 1 euro per Banca Etruria, Banca Marche, CariChieti. E’ quanto mette sul piatto Ubi per accollarsi le tre good banks nate l’anno scorso dalla risoluzione delle vecchie banche con 1,8 miliardi di nuovo patrimonio versato dal Fondo di risoluzione, cioè dalle altre banche italiane. Lo stesso dovrebbe fare Bper per prendere CariFerrara, il più malconcio degli istituti affidati un anno fa a Roberto Nicastro. Ormai appare chiaro che si andrà ai primi di gennaio, dopo l’epifania. Ieri non si è giunti alle offerte vincolanti di Ubi ma è stato smarcato uno dei punti delicati ancora aperti: la vendita di 2,3 miliardi di crediti in sofferenza (pari a due terzi del totale) al Fondo Atlante 2, che ha effettuato un’offerta a circa il 30% del nominale, così che Ubi e Bper possano rilevare le banche ripulite. I board delle tre good banks dovrebbero votare oggi la cessione delle sofferenze (npl). Ieri i consigli di UBI hanno effettuato un aggiornamento sul dossier in attesa di risolvere altri punti come la permanenza dei contenziosi legali in capo alle vecchie banche e non alle good banks, nonché la possibilità di compensare perdite e utili futuri, il riconoscimento del badwill e l’uso dei modelli interni. L’impegno di Ubi sarà di 400-500 milioni di aumento di capitale dopo l’acquisto delle tre banche, dopo che saranno state a loro volta ricapitalizzate per 25o milioni dal Fondo di risoluzione. L’anno scorso il fondo aveva ricevuto un prestito-ponte da i,6 miliardi da un pool di banche, ora sostituito con il versamento di due annualità di contributi al fondo, come richiesto da Bankitalia. Resta il nodo CariFerrara, che di fatto dimezzerà i dipendenti dai circa 800 attuali, come condizione per essere comprata da Bper. «Bankitalia celebra il funerale di CariFerrara?», ha protestato il segretario generale Fabi, Lando Maria Sileoni, parlando di «pistola alla tempia ai lavoratori» e chiedendo perché la Banca d’Italia «abbia scelto quale unica e conclusiva soluzione l’applicazione della legge 223 sui licenziamenti collettivi o, in alternativa, la messa in liquidazione» dell’istituto.

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Gazzetta del Mezzogiorno 30/12/2016

Popolari, niente proroga ora la parola alla Consulta –

Slitta a inizio 2017 la cessione delle tre good bank a Ubi, che però incassa il sostegno del Fondo Atlante oramai libero dall’operazione Mps dove l’intervento dello Stato ha superato la maxi operazione di smobilizzo delle sofferenze. Il fondo rileverà i due terzi dei 3,7 miliardi di crediti ancora in portafoglio, così da permettere a Ubi di rilevare le tre banche ripulite da buona parte dei propri Npl. Una decisione che sarà sancita dai consigli delle good bank ma che fa appunto slittare ad almeno dopo l’Epifania l’operazione. Ubi poi deve ancora dare l’assenso inale considerato il fabbisogno di capitale, cui comunque dovrà fare fronte. C’è anche chi sostiene che lo slittamento sia dovuto a una richiesta di Bruxelles alla Banca d’Italia, per rispettare le procedure d’asta, di fare un giro di consultazioni fra i potenziali offerenti. L’offerta di Ubi, infatti, sarebbe inferiore a quelle arrivate in passato e già giudicate non congrue. Bankitalia dovrebbe chiedere così agli altri offerenti un loro eventuale interesse a rilevare le banche in questione alle stesse condizioni di Ubi. In acque agitate è invece la quarta banca, la piccola Carife dove il sindacato Fabi ha tuonato contro la Banca d’Italia, azionista unico tramite il fondo di risoluzione che avrebbe minacciato la liquidazione coatta se non dovessero passare i licenziamenti collettivi. Sullo sfondo c’è la cessione a un terzo soggetto, forse la Bper ma a patto di un drastico ridimensionamento del perimetro aziendale. Ma se la vicenda delle banche in risoluzione sembra aver incasellato quasi tutti i tasselli (nel decreto Mps c’era anche l’ammortamento in più anni del «conguaglio» dei versamenti al fondo di risoluzione), resta aperto il tema dell’obbligo di trasformazione in Spa delle popolari, scadenza che verrà decisa in via giudiziale. Nel decreto milleproroghe approvato dal governo nel suo ultimo provvedimento dell’anno infatti non è stata inserita la sospensiva dell’obbligo di trasformazione in spa delle Popolari per «congelare» il termine scaduto il 27 dicembre scorso. Per le due banche rimanenti, la Popolare di Bari e la Popolare di Sondrio, tutto è fermo così per decisione giudiziaria dei tribunali di Milano e Bari in ossequio a quanto disposto dal Consiglio di Stato a metà dicembre su ricorso di alcuni soci. L’organo amministrativo tornerà a riunirsi il 12 gennaio per confermare o meno quella decisione. Certo dovrà tener conto del rigetto, da parte della Corte Costituzionale, del ricorso della Regione Lombardia dove la Suprema Corte ha giudicato fondato l’uso del decreto legge. Ma sempre presso la Consulta pende ancora la decisione sul diritto di recesso (i cui limiti stabiliti dalla Banca d’Italia potranno così essere rimossi in maniera totale o parziale) e quindi da quella sentenza arriverà l’ultima parola sulla trasformazione. La Corte presumibilmente darà un periodo di tempo per la convocazione delle assemblee, ma appunto un termine a giugno avrebbe significato per le banche una maggiore e più comoda programmazione.

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Libero Quotidiano 30/12/2016

Su CariFerrara Bankitalia tagliatore di teste – Spampinato Antonio

Metà dei dipendenti di CariFerrara perderà probabilmente il posto di lavoro. Una pessima notizia che suona ancora più sinistra se si considera che l’ordine proviene direttamente da Banca d’Italia. A pronunciare la sentenza è stato Roberto Nicastro, il presidente della banca-ponte nata dalle ceneri di Etruria, CariChieti, Banca Marche e, appunto, CaraFerrara, ma il regista si trova dentro le stanze dell’istituto di via Nazionale. Se il piano di esodo volontario non darà gli effetti sperati, 400 bancari su 847 totali della Nuova Cassa Ferrara dovranno lasciare la loro scrivania d’imperio. Così chi guida palazzo Koch, pur di rendere anche la quarta banca presentabile a un compratore, probabilmente Bper, si trasformerà in un freddo tagliatore di teste. Eppure sempre in quelle stanze dello stesso palazzo romano si sono succeduti coloro che hanno permesso si arrivasse a questo punto. E ora è stata scelta la via più drammatica ma anche più semplice. «Vogliamo conoscere, in via ufficiale, le motivazioni per le quali sembrerebbe che Bankitalia, prima azionista della CariFerrara e rappresentata localmente da suoi emissari, abbia scelto quale unica e conclusiva soluzione, nelle trattative in corso per il salvataggio della banca, l’applicazione della legge 223 sui licenziamenti collettivi o, in alternativa, la messa in liquidazione della stessa azienda». Una richiesta legittima quella di Lando Maria Sileoni, segretario generale della Fabi, il sindacato di maggioranza dei bancari. Ma oltre alle motivazioni sarebbe il caso che arrivassero anche proposte alternative. Per non fare pagare il conto di una gestione fallimentare solo ai dipendenti e ai risparmiatori.

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Messaggero 30/12/2016

Good bank, la Bce si mette di traverso e rinvia la vendita – r.dim

ROMA Bce interviene nuovamente a gamba tesa sulle good bank rinviandone la vendita a gennaio: prima di chiudere, vanno risentiti i precedenti pretendenti che avevano presentato offerte non binding. Ieri, secondo quanto risulta al Messaggero, a ridosso del cdg e del cds di Ubi convocati a Milano per deliberare l’offerta sulle nuove Banca Etruria, Banca Marche e Cassa Chieti, Bankitalia, tramite il Fondo di Risoluzione (FdR), avrebbe frenato le trattative per conto della Vigilanza europea, d’intesa con Bruxelles. La quarta good bank, Cassa Ferrara invece, sarebbe nel mirino di Bper: questo negoziato però sarebbe a uno stadio meno avanzato e pertanto da FdR non sarebbe arrivato alcuno stop a Modena. Ieri sera intanto, alle banche italiane sarebbe pervenuta la lettera di FdR con cui «si richiamano due annualità» con riserva «di indicare con successivo provvedimento le modalità e i termini dei predetti contributi» con possibilità anche di riconsiderare la decisione». Gli istituti dovrebbero versare in tutto circa 1,5 miliardi necessari per far fronte alla vendita delle good bank. va ricordato che già a fine settembre l’intervento della Bce frenò Ubi. Siccome la proposta finale di Victor Massiah sarebbe peggiorativa rispetto alle precedenti manifestazioni di interesse, la Bce ritiene che per garantire la concorrenza, vada rifatto il sondaggio nei confronti di coloro che in estate si erano fatti avanti: Apollo, Lone Star, Cerberus che però si è ritirata quasi subito, più Bper, allora interessata a un paio di banche-ponte e Popolare Bari che aveva messo nel mirino Chieti. Sembra che il sondaggio partirà oggi stesso e FdR darebbe tempo di formalizzare un eventuale interesse entro la fine della prossima settimana. Quindi ci sarebbero due settimane a disposizione per compiere una nuova due diligence. Tempi allungati per definire la vendita. Oggi in successione, si riuniranno i quattro consigli delle good bank per deliberare la cessione di circa 2,4 miliardi di sofferenze lorde ad Atlante: ieri il comitato investimento del fondo gestito da Quaestio, non senza discussioni e distinguo, avrebbe dato l’ok all’operazione che è uno dei tasselli della vendita. Sarebbe slittato invece, il closing del bridge da 1,4 miliardi che Intesa Spa, Unicredit, Ubi, Banco Popolare, CreVal e Popolare di Sondrio avrebbe concesso a Rev per rimborsare le quattro banche da un prestito di pari importo ricevuto nei mesi scorsi per acquistare i crediti deteriorati. Sulla Carife invece, la Fabi è scesa in campo pesantemente in quanto il Fondo di risoluzione pretende 400 esuberi contro una rispondenza ai criteri di 250: secondo Fabi gli altri 150 verrebbero licenziati. «Vogliamo conoscere, in via ufficiale, le motivazioni per le quali sembrerebbe che Bankitalia, prima azionista della Cariferrara, abbia scelto quale unica e conclusiva soluzione, nelle trattative in corso per il salvataggio della Carife, l’applicazione della legge 223 sui licenziamenti collettivi o, in alternativa, la messa in liquidazione della stessa azienda», tuona il leader Lando Sileoni.

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Mf-Milano Finanza 30/12/2016

Carife, tornano i tagli Sileoni contro Bankitalia – Brustia Carlo

Svolta negativa nelle trattative sui 400 esuberi Carife. Nel documento presentato ieri ai sindacati è ricomparso l’obbligo a ricorrere alla procedura di licenziamenti collettivi in caso di mancato raggiungimento di un sufficiente numero di esodi volontari. «Vogliamo conoscere in via ufficiale le motivazioni per le quali sembrerebbe che Bankitalia, prima azionista della CariFerrara e rappresentata localmente da suoi emissari, abbia scelto quale unica e conclusiva soluzione, nelle trattative in corso per il salvataggio della banca, l’applicazione della legge 223 sui licenziamenti collettivi o, in alternativa, la messa in liquidazione della stessa azienda», è stata la reazione di Lando Maria Sileoni, segretario generale della Fabi. «In un colpo solo quindi l’istituto di vigilanza metterebbe in mezzo a una strada dipendenti e risparmiatori. Non si può tollerare che nelle trattative in corso di fronte all’atteggiamento responsabile dei lavoratori si risponda puntando loro la pistola alla tempia. Se queste saranno le uniche condizioni presentate dalla CariFerrara, non ci sarà nessun tipo di accordo». (riproduzione riservata)

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Repubblica 30/12/2016

Carife, arrivano i licenziamenti Fabi accusa Bankitalia – Greco Andrea

PRECEDENTE pericoloso nel negoziato per vendere Cariferrara a Bper. La forzosa cessione della “good bank” Cenerentola ( quella che Ubi non ha voluto ) può sdoganare la temibile legge 223 sui licenziamenti collettivi in banca. Nel caso toccherebbe a 400 dipendenti della Cassa su 847. Solo un centinaio tra questi sono coperti dagli “scivoli” verso la pensione del Fondo esuberi. Per gli altri il proprietario ha fatto capire che o lasciano, o la banca andrà in liquidazione. Fatto significativo, da un anno il proprietario è Bankitalia, che è l’autorità di risoluzione. «In un colpo la vigilanza metterebbe per strada dipendenti e risparmiatori – tuona Lando Sileoni, segretario della Fabi – Non si può tollerare che di fronte all’atteggiamento responsabile dei lavoratori si risponda puntando loro la pistola alla tempia». I sindacati temono che, con alle porte i riassetti Mps, Veneto-Vicenza, Carige, a Ferrara si aprano le cateratte.

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Resto del Carlino Ferrara 30/12/2016

Carife, incubo licenziamenti – Carife, la scure dei licenziamenti

«Abbiamo la pistola alla tempia» – Lolli Stefano

«BANKITALIA celebra il funerale di Carife?». La sferzata di Lando Siloni, segretario generale della Fabi, il sindacato di maggioranza dei bancari, arriva poco dopo le 16. Da un paio d’ore la trattativa è in fase di stallo, la distanza tra le parti che mercoledì aveva segnato un timido avvicinamento, è tornata abissale. Perchè l’azienda, rappresentata al confronto dall’amministratore delegato Giovanni Capitanio, ha manifestato la volontà di non scendere di molto (o addirittura per nullo) dal numero dei 400 dipendenti da tagliare. Ed anzi, se il sindacato non agevolerà un accordo sugli esodi volontari e incentivati, è pronta ad applicare la legge 223 sui licenziamenti collettivi. LA PAROLA licenziamento, che in questi giorni non era mai stata neppure evocata, ieri invece è spuntata. Nero su bianco, in una bozza di documento che i sindacati hanno definito irricevibile. L’incontro, iniziato ieri alle 9.30, è stato sospeso per buona parte del pomeriggio ed è ripreso solo attorno alle 18. Ma in un clima di freddezza e sfiducia per una conclusione positiva e rapida della vertenza, dolorosa e spinosissima da qualunque parte la si guardi. «Vogliamo conoscere, in via ufficiale, le motivazioni per le quali sembrerebbe che Bankitalia, prima azionista della Cariferrara e rappresentata localmente da suoi emissari — tuona Lando Sileoni —, abbia scelto quale unica e conclusiva soluzione l’applicazione della legge 223 sui licenziamenti collettivi o, in alternativa, la messa in liquidazione della stessa azienda. Questo è quello che è stato dichiarato ai rappresentanti sindacali aziendali e nazionali presenti in trattativa». In pratica, alle richieste dei sindacati — che chiedevano di ridurre significativamente il numero dei dipendenti da ‘esodare’, aumentando peraltro l’ammontare degli incentivi —, Nuova Carife ha opposto i muscoli. Ovviamente spalleggiata, secondo il segretario del Fabi, da Bankitalia: «In un colpo solo quindi l’istituto di vigilanza metterebbe in mezzo a una strada dipendenti e risparmiatori. Non si può tollerare che, nelle trattative in corso, di fronte all’atteggiamento responsabile dei lavoratori, si risponda puntando loro la pistola alla tempia. Se queste saranno le uniche condizioni presentate dalla Carife — incalza Sileoni —, non ci sarà nessun tipo di accordo, né ci impensieriscono le giustificazioni e gli alibi sul ruolo della Bce, né tantomeno accetteremo la logica delle scorciatoie sulla pelle dei dipendenti per la successiva acquisizione dell’istituto da parte di un altro gruppo bancario. Vogliamo poi ricordare a tutti che l’assemblea del personale ha deciso che un eventuale accordo, per essere applicato, dovrà poi passare al vaglio della stessa assemblea dei lavoratori. Se vivessimo in un Paese civile, tutte le forze politiche italiane dovrebbero ribellarsi a un aut aut del genere: o si accettano i licenziamenti o la banca va in risoluzione, dichiarato da chi dovrebbe garantire banca, clienti e lavoratori». IL SINDACATO, nella propria controproposta, chiedeva oltre alla riduzione dei tagli, di portare gli incentivi per i dipendenti che non avranno lo scivolo pensionistico sino a due anni di stipendio. Ma è scattato il muro contro muro, e la situazione si è fatta rovente.

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Resto del Carlino Ferrara 30/12/2016

«Compromesso il patrimonio, l’alternativa è la liquidazione» – s.l

PER LA VENDITA di Nuova Carife in zona Cesarini a Bper Banca, unico potenziale acquirente, la strada obbligata sembra la riduzione del costo del lavoro di almeno il 50% con una riduzione di 400 dipendenti. Per raggiungere l’obiettivo, l’ente ponte, che ha come azionista l’Autorità di Risoluzione (ovvero Banca d’Italia) ha proposto ai sindacati un testo in cui si prevede l’apertura della procedura della legge 223 sui licenziamenti collettivi, in modo da attivare il fondo emergenziale. Il principale strumento a disposizione del settore, il fondo esuberi, nel caso di Ferrara non è sufficiente. La platea dei potenziali aderenti (quelli con un massimo di sette anni mancanti per maturare i requisiti pensionistici) è di 150 lavoratori, troppo pochi per raggiungere il target fissato da Nicastro. Gli altri 250 lavoratori considerati in esubero (perchè l’azienda non sembra disposta a scendere molto, al di sotto della soglia dei 400 tagli) verrebbero coperti dal fondo emergenziale’, un ammortizzatore sociale che offre un sostegno per un massimo di 24 mesi. Il trend economico negativo «ha compromesso gli indicatori di solidità patrimoniale della banca — si legge nella bozza presentata ai sindacati — scoraggiando i potenziali investitori».Per rendere appetibile Nuova Carife, è quindi necessaria «una rigorosa politica di riduzione strutturale dei costi», tra i quali il costo del personale, tale da ridare al gruppo una situazione economica di maggior equilibrio e di «salva-guardare, almeno parzialmente, l’occupazione». In assenza di acquirenti, infatti, lo scenario è la liquidazione, con conseguente perdita di tutti i posti di lavoro. SULLA VICENDA Carife ieri è tornato a parlare, alla trasmissione Sky Tg Economia, Luigi Marattin, consigliere economico dell’ex premier Renzi: «Sono venuti al pettine i nodi di una gestione inefficiente e clientelare — ha affermato l’esponente del Pd, riferendosi ovviamente all’epoca pre commissariamento —; la banca ha molti dipendenti, quasi il doppio rispetto a istituti con una capitalizzazione analoga. E quindi rischiano un taglio, che auspico non sia così ampio come annunciato». A chi gli chi chiedeva se nella vicenda non ravvisasse qualche colpa di Bankitalia, Marattin ha risposto ‘assolvendo’ di fatto via Nazionale: «Non escludo che qualcosa poteva esser fatto meglio, ma non avrebbe risolto il problema alla radice».

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Resto del Carlino Pesaro 30/12/2016

Atlante rileva i crediti deteriorati –

SLITTERÀ al 2017 l’ufficializzazione della cessione di Nuova Banca Marche (con Etruria e Chieti) a Ubi? Tutto è possibile, ma i beninformati in questi giorni parlavano di una richiesta di Bankitalia di offerte irrevocabili da presentare entro il 31 dicembre. L’istituto lombardo, che tra ieri e oggi ha convocato i suoi vertici tenendoli pronti per ogni evenienza, ha ottenuto tutto quello che aveva richiesto se non di più. Uno degli ultimi passaggi era la cessione di buona parte dei 3,7 miliardi di euro di crediti non performing in pancia ai tre istituti. Crediti che in giornata saranno ceduti al Fondo Atlante, già coinvolto nel salvataggio delle Popolari venete ma nato fondamentalmente per gestire la montagna di crediti incagliati del sistema bancario. Atlante ha deliberato di rilevare 2,4 miliardi di npl dai bilanci delle tre good bank. Impegnandosi a versare circa il 30% della loro attuale valutazione. Il che vuol dire che Ubi potrà assorbire i tre istituti con un esborso diretto pari a zero e con una tripla dote: gli impegni di Rev ed Atlante e il credito fiscale da 6-700 milioni di euro derivante dalle perdite di Banca Marche e dagli altri istituti. Dovendo solamente impegnarsi con la vigilanza europea ad un aumento di capitale di 4-500 milioni di euro. Insomma ciò che resta di Banca Marche dopo i disastri della gestione diretta e anche 2 anni di commissariamento vale così poco da essere un peso per chi la rileva. A cominciare dalle filiali rimaste, per proseguire con i 2600-2700 dipendenti, un terzo dei quali a fortissimo rischio. «A questo punto l’alternativa era il fallimento definitivo», dice un esperto del settore. Fallimento che Bankitalia non poteva assolutamente permettersi e il governo, dopo la debacle di Renzi sia sulle good bank che su Mps, pure. «QUALCUNO mi deve spiegare — dice una azionista di Banca Marche al telefono — perché a noi hanno azzerato tutto e a Montepaschi no? Eppure le situazioni erano uguali. Perchè?». Le responsabilità sono da dividersi in parti uguali tra Bankitalia e i governi (eppure si è dimesso solo Renzi) che si sono succeduti negli ultimi 5-6 anni. Gli stessi che potevano fare le ricapitalizzazioni prima dell’entrata in vigore delle nuove regole europee. Poi c’è la differenza di peso specifico tra gli istituti. Tutto a favore di Siena, ovviamente. DETTO questo bisogna anche riconoscere l’assoluta inconsistenza della politica marchigiana, prima con Spacca e Merloni, poi con il Pd pesarese guidato da Luca Ceriscioli. Inconsistenza che ha favorito la penalizzazione dell’istituto marchigiano, soprattutto da parte di Bankitalia che voleva lo scalpo di Bianconi prima e delle Fondazioni subito dopo. La stessa politica marchigiana che ieri ha tentato in extremis di farsi vedere viva. La Regione ha convocato sindacati ed associazioni di categoria e ha emesso un comunicato: «L’acquisizione a prezzo di favore di Nbm — si legge nella nota — e le condizioni dirimenti poste (eliminazione di posti di lavoro, ndr) potrebbero suscitare il dubbio che la possibilità di acquisire quote di mercato a basso costo prevalga sul progetto territoriale, avvalendosi di facilitazioni fiscali». Regione, Confindustrai,e Cna, Confartigiano, Confcommercio, Cgil, Cisl e Uil chiedono «un confronto che coinvolga le istituzioni locali; con gli acquirenti che mettano al centro impegni per l’economia reale, senza pensare ad un drastico ridimensionamento di Nuova Banca Marche». Nell’attesa che il resto si compia i protagonisti di questo incontro (non invitato il sindacato autonomo Fabi, che strepita a fianco) annunciano «la nascita di una cabina di regia». Dando l’idea di quelli che chiudono la stalla quando i buoi sono fuggiti.

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Secolo XIX 30/12/2016

Slitta a gennaio la vendita di Etruria & C CariFerrara, ultimatum sui licenziamenti –

Spini Francesco

MILANO. Slitta al 2017, nei primi giorni di gennaio (probabilmente dopo l’Epifania), l’acquisizione da parte di Ubi Banca di tre delle quattro banche che nel novembre del 2015 costituirono una specie di prova generale dell’attuale «bail in» (il salvataggio interno) per evitare la liquidazione, e che misero in ginocchio centinaia di possessori di obbligazioni subordinate. Le nuove Banca Etruria, Banca Marche e CariChieti – nate nell’ambito della procedura di risoluzione che le scorporò dalle «bad bank», cariche dei crediti deteriorati – dovevano finire alla banca guidata da Victor Massiah entro il 31 dicembre. Per lo meno anche alla Vigilanza della Bce le attese erano queste, visto che proprio a questo giornale Ignazio Angeloni, membro del consiglio guidato da Danièle Nouy, pochi giorni fa aveva confidato la «fondata speranza» di Francoforte di veder chiusa l’operazione «in tempo utile». Invece no. II termine del 31 dicembre non è perentorio, ma legato ai contributi delle banche al Fondo di Risoluzione. Insomma, il termine potrà essere sforato senza conseguenze. E così sarà. Ieri si sono riuniti i consigli di gestione e di sorveglianza di Ubi Banca. I consiglieri sono stati informati dello stato dell’arte della trattativa, avanzatissima, ma per la firma l’appuntamento è stato dato a gennaio. Non ci dovrebbero essere intoppi: Ubi ha ottenute molte concessioni da Francoforte. II passaggio avverrà a un prezzo simbolico, la banca bresciana potrà estendere l’applicazione dei modelli interni sui rischi, godere di 600 milioni e passa di crediti fiscali, degli avviamenti negativi. Prima del passaggio il Fondo di Risoluzione ricapitalizzerà le tre banche per una cifra vicina ai 500 milioni per portare il loro indice patrimoniale Cetl al 9%, in seguito Ubi farà la sua parte con altri 350-400 milioni per mantenere il proprio indicatore all’11%. Prima della firma però ci sono ancora questioni legali da risolvere, inoltre va chiuso il cerchio sui crediti deteriorati successivamente alla risoluzione. Il comitato investimenti del fondo Atlante II ha dato il suo nulla osta all’acquisto di una fetta consistente di tali prestiti: circa 2,5 su 3,6 miliardi totali. Per oggi sono già stati preallertati i cda delle tre «good bank» guidate da Roberto Nicastro per il via libera alla vendita di tali crediti. All’appello, tra le «banche buone», ne manca una: Cari-Ferrara, la «Cenerentola» del gruppo. II suo acquisto è allo studio della Popolare dell’Emilia Romagna. Che però vuole una banca alleggerita dai costi. Il 21 dicembre l’istituto ha dichiarato 400 esuberi su 850 dipendenti. In 250 rischiano il licenziamento con 24 mensilità. Lando Sileoni, leader della Fabi, attacca: «Vogliamo conoscere, in via ufficiale, le motivazioni per le quali sembrerebbe che Bankitalia, prima azionista della CariFerrara, abbia scelto quale unica e conclusiva soluzione l’applicazione della legge 223 sui licenziamenti collettivi o, in alternativa, la messa in liquidazione della stessa azienda». In tal modo, dice Sileoni, Bankitalia «celebra il funerale di CariFerrara».

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Sicilia 30/12/2016

Popolari e good bank tra rinvii e cessioni settore in fermento –

ROMA. Slitta a inizio 2017 la cessione delle 3 good bank a Ubi, che però incassa il sostegno del Fondo Atlante ormai libero dall’operazione Mps dove l’intervento dello Stato ha superato la maxi operazione di smobilizzo delle sofferenze. Il fondo rileverà i due terzi dei 3,7 mld di crediti ancora in portafoglio, così da permettere a Ubi di rilevare le 3 banche ripulite da buona parte dei propri Npl. Una decisione che sarà sancita dai consigli delle good bank venerdì ma che fa appunto slittare a dopo l’Epifania l’operazione. Ubi poi deve ancora dare l’assenso finale considerato il fabbisogno di capitale, cui comunque dovrà fare fronte. C’è anche chi sostiene che lo slittamento sia dovuto a una richiesta Ue a Bankitalia, per rispettare le procedure d’asta con un giro di consultazioni fra i potenziali offerenti. L’offerta di Ubi, infatti, sarebbe inferiore a quelle arrivate in passato e giudicate non congrue. Bankitalia dovrebbe chiedere così agli altri offerenti un loro eventuale interesse a rilevare le tre banche alle stesse condizioni di Ubi. In acque agitate è invece la quarta banca, la piccola Carife dove il sindacato Fabi ha tuonato contro la Banca d’Italia, azionista unico tramite il fondo di risoluzione che avrebbe minacciato la liquidazione coatta se non dovessero passare i licenziamenti collettivi. Sullo sfondo c’è la cessione a un terzo soggetto, forse la Bper ma a patto di un drastico ridimensionamento del perimetro aziendale. Ma se la vicenda delle banche in risoluzione sembra aver incasellato quasi tutti i tasselli, resta aperto il tema dell’obbligo di trasformazione in Spa delle popolari, scadenza che verrà decisa in via giudiziale. Nel decreto Milleproroghe approvato ieri dal governo infatti non è stata inserita la sospensiva dell’obbligo di trasformazione in spa delle Popolari per “congelare” il termine scaduto il 27 dicembre scorso. Per le due banche rimanenti, la Popolare di Bari e la Popolare di Sondrio, tutto è fermo così per decisione giudiziaria dei tribunali di Milano e Bari in ossequio a quanto disposto dal Consiglio di Stato a metà dicembre su ricorso di alcuni soci. L’organo amministrativo tornerà a riunirsi il 12 gennaio per confermare o meno quella decisione. Certo dovrà tener conto del rigetto, da parte della Consulta, del ricorso della Regione Lombardia dove la Suprema Corte ha giudicato fondato l’uso del decreto legge. Ma sempre presso la Consulta pende ancora la decisione sul diritto di recesso e quindi da quella sentenza arriverà l’ultima parola sulla trasformazione. BANCHE, 2016 «HORRIBILIS” IN BORSA «Annus horribilis» per le banche italiane in Piazza Affari: l’indice Ftse Italia Banche ha perso in un anno più del 38% del suo valore sotto il peso di 360 mld di euro di sofferenze lorde, di cui una vigilanza europea inflessibile ha chiesto a più riprese lo smaltimento.

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Sole 24 Ore 30/12/2016

Carife, dai sindacati no ai licenziamenti – Casadei Cristina

La trattativa tra i sindacati e Nuova Carife -che il 21 dicembre ha aperto una procedura per 400 esuberi su 850 lavoratori -scorre sempre di più sul filo politico e in uno scenario di forte contrapposizione tra la banca da un lato e i sindacati dall’altro. Delle 4 good bank, Nuova Carife è l’unica rimasta senza acquirente e che si ritrova oggi con un problema di forte tenuta dei conti. Fonti vicine al negoziato spiegano che la banca sta cercando di arrivare rapidamente a una sintesi con i sindacati perché la riduzione del personale è propedeutica alla cessione e ci sarebbe un termine al 31 dicembre da parte della Bce. I sindacati dal canto loro non sono disposti a nessuna accelerazione soprattutto perché vi è solo traccia parlata e non formale di un acquirente: i tempi della procedura 50 giorni sono e le sigle intendono prendersi tutto il tempo necessario a trovare la migliore soluzione per i lavoratori. Soluzione che non potrà essere i licenziamenti collettivi ex lege 223/1991. Le sigle non sono infatti disposte a mettere la loro firma su un accordo che non contempli la volontarietà delle uscite e a creare un precedente nel settore che ha sempre agevolato le uscite attraverso il fondo di solidarietà. Le trattative sono in corso e proprio ieri si è svolto un acceso incontro nel quale le parti hanno definito posizioni inconciliabili. Per ora. La banca avrebbe spiegato che delle 400 uscite circa 150 potrebbero avvenire attraverso il fondo: 95 con una permanenza di 5 anni e 5o con una permanenza da 5 a 7 anni, quindi con un costo altissimo. Per i rimanenti 250 lavoratori viene offerto un incentivo di 24 mensilità. In altre parole si salverebbero 450 lavoratori, quasi uno su due. L’alternativa prospettata dalla banca, secondo quanto riferiscono i sindacati, sarebbe la messa in liquidazione dell’azienda. «Vogliamo conoscere, in via ufficiale, le motivazioni per le quali sembrerebbe che Bankitalia, prima azionista della Cari-ferrara e rappresentata localmente da suoi emissari, abbia scelto quale unica e conclusiva soluzione, nelle trattative in corso per il salvataggio della CariFerrara, l’applicazione della legge 223 sui licenziamenti collettivi o, in alternativa, la messa in liquidazione della stessa azienda», chiede Lando Maria Sileoni, segretario generale della Fabi. Giulio Romani, segretario generale della First Cisl, incalza: «La soluzione non può essere la 223. Se la banca lascia intendere che in assenza di certezza dei risultati sulle uscite non ci saranno offerte da chicchessia ne prendiamo atto, ma lo schema dei licenziamenti non è praticabile. Siamo disposti a prendere in considerazione tutti gli strumenti per la riduzione del costo del lavoro ma non le uscite obbligatorie». Agostino Megale, segretario generale della Fisac Cgil, aggiunge che «nessuno può immaginare di costruire un accordo in quella situazione pur difficile avendo come riferimento i licenziamenti collettivi e la 223. Respingiamo al mittente questa logica. Non si può svolgere una trattativa con i ricatti che non possono arrivare nè da Bankitalia, nè da chi subentrerà. La tutela e la dignità dei lavoratori viene prima di tutto e nessuno sarà lasciato solo». Massimo Masi, segretario generale della Uilca, chiede «la volontarietà delle uscite e il passaggio assembleare in cui spiegare ai lavoratori le eventuali soluzioni che però devono essere volontarie. Se non si trova una sintesi su questa via, intervenga il Governo».

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Stampa 30/12/2016

Slitta a gennaio la vendita di Etruria & C CariFerrara, ultimatum sui licenziamenti –

Spini Francesco

Slitta al 2017, nei primi giorni di gennaio (probabilmente dopo l’Epifania), l’acquisizione da parte di Ubi Banca di tre delle quattro banche che nel novembre del 2015 costituirono una specie di prova generale dell’attuale «bail in» (il salvataggio interno) per evitare la liquidazione, e che misero in ginocchio centinaia di possessori di obbligazioni subordinate. Le nuove Banca Etruria, Banca Marche e CariChieti – nate nell’ambito della procedura di risoluzione che le scorporò dalle «bad bank», cariche dei crediti deteriorati – dovevano finire alla banca guidata da Victor Massiah entro il 31 dicembre. Per lo meno anche alla Vigilanza della Bee le attese erano queste, visto che proprio a questo giornale Ignazio Angeloni, membro del consiglio guidato da Danièle Nouy, pochi giorni fa aveva confidato la «fondata speranza» di Francoforte di veder chiusa l’operazione «in tempo utile». Invece no. Il termine del 31 dicembre non è perentorio, ma legato ai contributi delle banche al Fondo di Risoluzione. Insomma, il termine potrà essere sforato senza conseguenze. E così sarà. Ieri si sono riuniti i consigli di gestione e di sorveglianza di Ubi Banca. I consiglieri sono stati informati dello stato dell’arte della trattativa, avanzatissima, ma per la firma l’appuntamento è stato dato a gennaio. Non ci dovrebbero essere intoppi: Ubi ha ottenute molte concessioni da Francoforte. Il passaggio avverrà a un prezzo simbolico, la banca bresciana potrà estendere l’applicazione dei modelli interni sui rischi, godere di 600 milioni e passa di crediti fiscali, degli avviamenti negativi. Prima del passaggio il Fondo di Risoluzione ricapitalizzerà le tre banche per una cifra vicina ai 500 milioni per portare il loro indice patrimoniale Cet1 al 9%, in seguito Ubi farà la sua parte con altri 350/400 milioni per mantenere il proprio indicatore all’11%. Prima della firma però ci sono ancora questioni legali da risolvere, inoltre va chiuso il cerchio sui crediti deteriorati successivamente alla risoluzione. Il comitato investimenti del fondo Atlante II ha dato il suo nulla osta all’acquisto di una fetta consistente di tali prestiti: circa 2,5 su 3,6 miliardi totali. Per oggi sono già stati preallertati i cda delle tre «good bank» guidate da Roberto Nicastro per il via libera alla vendita di tali crediti. All’appello, tra le «banche buone», ne manca una: CariFerrara, la «Cenerentola» del gruppo. Il suo acquisto è allo studio della Popolare dell’Emilia Romagna. Che però vuole una banca alleggerita dai costi. Il 21 dicembre l’istituto ha dichiarato 400 esuberi su 850 dipendenti. In 250 rischiano il licenziamento con 24 mensilità. Lando Sileoni, leader della Fabi, attacca: «Vogliamo conoscere, in via ufficiale, le motivazioni per le quali sembrerebbe che Bankitalia, prima azionista della CariFerrara, abbia scelto quale unica e conclusiva soluzione l’applicazione della legge 223 sui licenziamenti collettivi o, in alternativa, la messa in liquidazione della stessa azienda». In tal modo, dice Sileoni, Bankitalia «celebra il funerale di CariFerrara».

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CORRIERE.IT 29/12/2016

Banche ponte: linea dura Bankitalia su CariFerrara, vuole esodi obbligatori –

15:58 Sileoni Fabi: ‘con queste condizioni nessun accordo’ (Il Sole 24 Ore Radiocor Plus) – Roma, 29 dic – Linea dura della Banca d’Italia nella trattativa per gli esuberi della CariFerrara. Secondo quanto si apprende l’ente ponte presieduto da Roberto Nicastro, che ha come ‘azionista’ unico via Nazionale, ha chiesto al tavolo del negoziato in corso da giorni, un accordo che preveda esodi obbligatori per 400 dipendenti su poco piu’ di 800 prospettando in alternativa il ricorso alla legge 223 sui licenziamenti. In risposta alla linea dura della banca, espressa in trattativa dall’amministratore delegato Giovanni Capitanio, si registra la presa di posizione del segretario generale Fabi, Lando Sileoni. ‘Vogliamo conoscere, in via ufficiale, le motivazioni per le quali sembrerebbe che Bankitalia, prima azionista della CariFerrara e rappresentata localmente da suoi emissari, abbia scelto quale unica e conclusiva soluzione, nelle trattative in corso per il salvataggio della banca, l’applicazione della legge 223 sui licenziamenti collettivi o, in alternativa, la messa in liquidazione della stessa azienda’. Sileoni aggiunge in una nota che ‘se queste saranno le uniche condizioni presentate dalla CariFerrara, non ci sara’ nessun tipo di accordo, ne’ ci impensieriscono le giustificazioni e gli alibi sul ruolo della Bce, ne’ tantomeno accetteremo la logica delle scorciatoie sulla pelle dei dipendenti per la successiva acquisizione dell’istituto da parte di un altro gruppo bancario’.

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CORRIERE.IT 29/12/2016

Ubi: un euro per Etruria, Banca Marche e CariChieti –

Un prezzo simbolico di 1 euro per Banca Etruria, Banca Marche, CariChieti. È quanto mette sul piatto Ubi per accollarsi le tre good banks nate l’anno scorso dalla risoluzione delle vecchie banche con 1,8 miliardi di nuovo patrimonio versato dal Fondo di risoluzione, cioè dalle altre banche italiane. Lo stesso dovrebbe fare Bper per prendere CariFerrara, il più malconcio degli istituti affidati un anno fa a Roberto Nicastro. Ormai appare chiaro che si andrà ai primi di gennaio, dopo l’epifania. Ieri non si è giunti alle offerte vincolanti di Ubi, ma è stato smarcato uno dei punti delicati ancora aperti: la vendita di 2,3 miliardi di crediti in sofferenza (pari a due terzi del totale) al Fondo Atlante 2, che ha effettuato un’offerta a circa il 30% del nominale, così che Ubi e Bper possano rilevare le banche ripulite. I board delle tre good banks dovrebbero votare oggi la cessione delle sofferenze (Npl). L’aggiornamento sugli Npl – Ieri i consigli di Ubi hanno effettuato un aggiornamento sul dossier in attesa di risolvere altri punti come la permanenza dei contenziosi legali in capo alle vecchie banche e non alle good banks, nonché la possibilità di compensare perdite e utili futuri, il riconoscimento del badwill e l’uso dei modelli interni. L’impegno di Ubi sarà di 400-500 milioni di aumento di capitale dopo l’acquisto delle tre banche, dopo che saranno state a loro volta ricapitalizzate per 250 milioni dal Fondo di risoluzione. L’anno scorso il fondo aveva ricevuto un prestito-ponte da 1,6 miliardi da un pool di banche, ora sostituito con il versamento di due annualità di contributi al fondo, come richiesto da Bankitalia. Il nodo CariFerrara – Resta il nodo CariFerrara, che di fatto dimezzerà i dipendenti dai circa 800 attuali, come condizione per essere comprata da Bper. «Bankitalia celebra il funerale di CariFerrara?», ha protestato il segretario generale Fabi, Lando Maria Sileoni, parlando di «pistola alla tempia ai lavoratori» e chiedendo perché la Banca d’Italia «abbia scelto quale unica e conclusiva soluzione l’applicazione della legge 223 sui licenziamenti collettivi o, in alternativa, la messa in liquidazione» dell’istituto. © RIPRODUZIONE RISERVATA

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ESTENSE.COM 29/12/2016

Carife verso la macelleria sociale –

“Ce lo chiede la Bce”. Come ai tempi del naufragio, assistito, del piano di salvataggio del fondo interbancario, come al tempo degli azzeramenti ex salva banche, in corso Giovecca torna a risuonare questo ritornello obsoleto. Obsoleto e smentito dalle sorti di altri istituti bancari (come Carispcesena salvata grazie all’intervento del Fidp o come Montepaschi tenuta a galla dagli aiuti di Stato). Sembra che su Carife alleggi una maledizione. E un precedente – se la trattativa non prenderà pieghe diverse – poco rincuorante, quello dell’applicazione per la prima volta in Italia a una banca delle norme sul licenziamento collettivo. Il terzo giorno di trattativa sindacale porta con sé le notizie peggiori. Il testo che in mattinata attendevano i sindacati, con la speranza dichiarata di ridurre il numero di 400 esuberi e di confermare la volontarietà dei licenziamenti, è stato dichiarato “irricevibile” dalle sigle di categoria di Cgil, First Cil, Uil, Ugl e Fabi. E mentre il confronto, o lo scontro, prosegue, Massimo Masi, segretario generale Uilca, sostiene che Uilca “non si possono chiedere interventi così pesanti sul personale in assenza di una garanzia dell’acquisto da parte di Bper. Ubi con le tre banche si è comportata diversamente. Capisco che il presidente Nicastro non possa trattare a nome dell’acquirente, ma ci sono modalità alternative per una vertenza di questo impatto, ad esempio la Regione potrebbe avere un ruolo”. La Regione o il governo, visto che Maria Teresa Ruzza, della segreteria nazionale Uilca, fa sapere che “i fuochi d’artificio devono ancora venire. Se stamattina hanno ribadito l’obbligatorietà dei licenziamenti, noi siamo che mai decisi a chiedere la volontarietà con incentivi e scivolo. E se ci sono dei problemi li affronti chi verrà o lo faccia il governo. Non possiamo pensare che ci siano risorse per salvare altre realtà e questa è invece l’unica destinata alla macelleria sociale. Abbiamo visto stanziare miliardi da tutte le parti, non voglio credere che non si riesca a salvare trecento persone (su 400 esuberi su 847 dipendenti, solo 94 sarebbero gestibili attraverso prepensionamenti volontari e incentivati, ndr)”. Lando Maria Sileoni, segretario generale della Fabi, il sindacato di maggioranza dei bancari, chiede di “conoscere, in via ufficiale, le motivazioni per le quali sembrerebbe che Bankitalia, prima azionista della Carife e rappresentata localmente da suoi emissari, abbia scelto quale unica e conclusiva soluzione, nelle trattative in corso per il salvataggio della CariFerrara, l’applicazione della legge 223 sui licenziamenti collettivi o, in alternativa, la messa in liquidazione della stessa azienda”. Se il numero di 400 non dovesse essere raggiunto su base volontaria, Carife – unica delle quattro “good bank” a non aver trovato un acquirente – si dice intenzionata a procedere ai licenziamenti collettivi per i lavoratori rimanenti. “Un’eventualità inaccettabile che aprirebbe un pericoloso precedente per il settore”, avverte Sileoni. “In un colpo solo”, prosegue, “l’istituto di vigilanza metterebbe in mezzo a una strada dipendenti e risparmiatori. Non si può tollerare che, nelle trattative in corso, di fronte all’atteggiamento responsabile dei lavoratori, si risponda puntando loro la pistola alla tempia”. Se l’azienda non si scosterà da questi presupposti, i sindacati assicurano che “non ci sarà nessun tipo di accordo – conferma il segretario Fabi -, né ci impensieriscono le giustificazioni e gli alibi sul ruolo della Bce, né tantomeno accetteremo la logica delle scorciatoie sulla pelle dei dipendenti per la successiva acquisizione dell’istituto da parte di un altro gruppo bancario. Vogliamo poi ricordare a tutti che l’assemblea del personale ha deciso che un eventuale accordo, per essere applicato, dovrà poi passare al vaglio della stessa assemblea dei lavoratori. Se vivessimo in un Paese civile, tutte le forze politiche italiane dovrebbero ribellarsi a un aut aut del genere: o si accettano i licenziamenti o la banca va in risoluzione, dichiarato da chi dovrebbe garantire banca, clienti e lavoratori”.

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FINANZA.REPUBBLICA.IT 29/12/2016

Atlante prende le sofferenze di Banca Etruria, Marche e Chieti: accelera la vendita –

In attesa di capire cosa sarà del piano di intervento sui crediti deteriorati del Monte dei Paschi, congelato in vista del nuovo piano industriale da accompagnare al salvataggio pubblico, Atlante muove sulle sofferenze di tre delle quattro banche salvate a fine 2015 aiutando a compiere un passo avanti nella vendita di Banca Etruria, Marche e Chieti. Il fondo ha deliberato oggi, secondo quanto si apprende da fonti finanziarie, l’acquisto di una buona parte dei 3,6 miliardi di crediti deteriorati nei bilanci delle tre banche al 30 settembre scorso. Altri 500 milioni di crediti deteriorati sono in capo a Cariferrara, ma non rientrano nella transazione. I cda delle tre banche ponte, convocati per domani, dovrebbero deliberare la vendita degli npl realizzando così una delle condizioni indicate da Ubi per l’acquisto. La banca guidata da Victor Massiah oggi riunisce gli organi di governo ma non ci sarà una decisione sull’acquisizione delle banche. La firma dell’accordo preliminare potrebbe quindi slittare di qualche giorno. Per la vendita delle quattro banche ponte, del resto, c’è una deadline della commissione Ue che però non è stata resa pubblica, dopo la proroga concessa a fine settembre all’autorità di risoluzione (Banca d’Italia) per concludere la vendita. Deadline che secondo indiscrezioni potrebbe essere quella del 31 dicembre. Sulla banca fuori dal perimetro di vendita, Cariferrara, invece si va verso la linea dura della Bankitalia nella trattativa per gli esuberi: secondo quanto si apprende l’ente ponte presieduto da Roberto Nicastro, che ha come ‘azionista’ unico via Nazionale, ha chiesto al tavolo del negoziato in corso da giorni, un accordo che preveda esodi obbligatori per 400 dipendenti su poco più di 800 prospettando in alternativa il ricorso alla legge 223 sui licenziamenti. Presa di posizione del segretario generale Fabi, Lando Sileoni, di conseguenza: “Vogliamo conoscere, in via ufficiale, le motivazioni per le quali sembrerebbe che Bankitalia, prima azionista della Cariferrara e rappresentata localmente da suoi emissari, abbia scelto quale unica e conclusiva soluzione, nelle trattative in corso per il salvataggio della banca, l’applicazione della legge 223 sui licenziamenti collettivi o, in alternativa, la messa in liquidazione della stessa azienda”. Sileoni aggiunge in una nota che “se queste saranno le uniche condizioni presentate dalla Cariferrara, non ci sarà nessun tipo di accordo, nè ci impensieriscono le giustificazioni e gli alibi sul ruolo della Bce, nè tantomeno accetteremo la logica delle scorciatoie sulla pelle dei dipendenti per la successiva acquisizione dell’istituto da parte di un altro gruppo bancario”.

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IT.REUTERS.COM 29/12/2016

CariFerrara, inaccettabile per Fabi aut aut licenziamenti o liquidazione Reuters –

ROMA (Reuters) – La Fabi ha detto oggi che respingerà ogni accordo che indichi nei licenziamenti collettivi l’unica alternativa per evitare la liquidazione di CariFerrara. Lo si legge in una nota del più importante sindacato di settore. “Vogliamo conoscere le motivazioni per le quali sembrerebbe che Banca d’Italia, prima azionista della Cariferrara abbia scelto quale unica e conclusiva soluzione, nelle trattative in corso per il salvataggio della CariFerrara, l’applicazione dei licenziamenti collettivi o, in alternativa, la messa in liquidazione della stessa azienda”, si legge nel comunicato a firma del segretario generale dell’organizzazione Lando Maria Sileoni. Per il sindacato se “queste saranno le uniche condizioni presentate dalla CariFerrara, non ci sarà nessun tipo di accordo, né accetteremo la logica delle scorciatoie sulla pelle dei dipendenti per la successiva acquisizione dell’istituto da parte di un altro gruppo bancario”. CariFerrara, assieme a Banca Marche, CariChieti e Banca Etruria sono state messe in risoluzione nel novembre di un anno fa e devono essere vendute per evitare che vengano liquidate.

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LANUOVAFERRARA.GELOCAL.IT 29/12/2016

Esuberi Carife, svolta negativa nelle trattative – Cronaca – La Nuova Ferrara –

FERRARA. Svolta negativa nelle trattative sui 400 esuberi Carife. Nel documento presentato questa mattina, 29 dicembre, ai sindacati, è ricomparso l’obbligo a ricorrere alla procedura di licenziamenti collettivi in caso di mancato raggiungimento di un sufficiente numero di esodi volontari. «Vogliamo conoscere, in via ufficiale, le motivazioni per le quali sembrerebbe che Bankitalia, prima azionista della Cariferrara e rappresentata localmente da suoi emissari, abbia scelto quale unica e conclusiva soluzione, nelle trattative in corso per il salvataggio della CariFerrara, l’applicazione della legge 223 sui licenziamenti collettivi o, in alternativa, la messa in liquidazione della stessa azienda – è la risposta di Lando Maria Sileoni, segretario generale della Fabi – questo è quello che è stato dichiarato ai rappresentanti sindacali aziendali e nazionali presenti in trattativa in queste ore a Ferrara». «In un colpo solo quindi l’istituto di vigilanza metterebbe in mezzo a una strada dipendenti e risparmiatori. Non si può tollerare che, nelle trattative in corso, di fronte all’atteggiamento responsabile dei lavoratori, si risponda puntando loro la pistola alla tempia. Se queste saranno le uniche condizioni presentate dalla CariFerrara – dice Sileoni – non ci sarà nessun tipo di accordo, né ci impensieriscono le giustificazioni e gli alibi sul ruolo della Bce, né tantomeno accetteremo la logica delle scorciatoie sulla pelle dei dipendenti per la successiva acquisizione dell’istituto da parte di un altro gruppo bancario. Vogliamo poi ricordare a tutti – aggiunge – che l’assemblea del personale ha deciso che un eventuale accordo, per essere applicato, dovrà poi passare al vaglio della stessa assemblea dei lavoratori. Se vivessimo in un Paese civile, tutte le forze politiche italiane dovrebbero ribellarsi a un aut aut del genere: o si accettano i licenziamenti o la banca va in risoluzione, dichiarato da chi dovrebbe garantire banca, clienti e lavoratori». La trattativa è comunque ripresa nel pomeriggio

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LAREPUBBLICA.IT 29/12/2016

Atlante prende le sofferenze di Banca Etruria, Marche e Chieti: accelera la vendita –

In attesa di capire cosa sarà del piano di intervento sui crediti deteriorati del Monte dei Paschi, congelato in vista del nuovo piano industriale da accompagnare al salvataggio pubblico, Atlante muove sulle sofferenze di tre delle quattro banche salvate a fine 2015 aiutando a compiere un passo avanti nella vendita di Banca Etruria, Marche e Chieti. Il fondo ha deliberato oggi, secondo quanto si apprende da fonti finanziarie, l’acquisto di una buona parte dei 3,6 miliardi di crediti deteriorati nei bilanci delle tre banche al 30 settembre scorso. Altri 500 milioni di crediti deteriorati sono in capo a Cariferrara, ma non rientrano nella transazione. I cda delle tre banche ponte, convocati per domani, dovrebbero deliberare la vendita degli npl realizzando così una delle condizioni indicate da Ubi per l’acquisto. La banca guidata da Victor Massiah oggi riunisce gli organi di governo ma non ci sarà una decisione sull’acquisizione delle banche. La firma dell’accordo preliminare potrebbe quindi slittare di qualche giorno. Per la vendita delle quattro banche ponte, del resto, c’è una deadline della commissione Ue che però non è stata resa pubblica, dopo la proroga concessa a fine settembre all’autorità di risoluzione (Banca d’Italia) per concludere la vendita. Deadline che secondo indiscrezioni potrebbe essere quella del 31 dicembre. Sulla banca fuori dal perimetro di vendita, Cariferrara, invece si va verso la linea dura della Bankitalia nella trattativa per gli esuberi: secondo quanto si apprende l’ente ponte presieduto da Roberto Nicastro, che ha come ‘azionista’ unico via Nazionale, ha chiesto al tavolo del negoziato in corso da giorni, un accordo che preveda esodi obbligatori per 400 dipendenti su poco più di 800 prospettando in alternativa il ricorso alla legge 223 sui licenziamenti. Presa di posizione del segretario generale Fabi, Lando Sileoni, di conseguenza: “Vogliamo conoscere, in via ufficiale, le motivazioni per le quali sembrerebbe che Bankitalia, prima azionista della Cariferrara e rappresentata localmente da suoi emissari, abbia scelto quale unica e conclusiva soluzione, nelle trattative in corso per il salvataggio della banca, l’applicazione della legge 223 sui licenziamenti collettivi o, in alternativa, la messa in liquidazione della stessa azienda”. Sileoni aggiunge in una nota che “se queste saranno le uniche condizioni presentate dalla Cariferrara, non ci sarà nessun tipo di accordo, nè ci impensieriscono le giustificazioni e gli alibi sul ruolo della Bce, nè tantomeno accetteremo la logica delle scorciatoie sulla pelle dei dipendenti per la successiva acquisizione dell’istituto da parte di un altro gruppo bancario”.

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MILANOFINANZA.IT 29/12/2016

Cariferrara: Fabi, Bankitalia motivi tagli e liquidazione – MilanoFinanza.it –

ROMA (MF-DJ)–“Vogliamo conoscere, in via ufficiale, le motivazioni per le quali sembrerebbe che Bankitalia, prima azionista della Cariferrara e rappresentata localmente da suoi emissari, abbia scelto quale unica e conclusiva soluzione, nelle trattative in corso per il salvataggio della CariFerrara, l’applicazione della legge 223 sui licenziamenti collettivi o, in alternativa, la messa in liquidazione della stessa azienda. Questo è quello che è stato dichiarato ai rappresentanti sindacali aziendali e nazionali presenti in trattativa in queste ore a Ferrara”. Lo denuncia Lando Maria Sileoni, segretario generale della Fabi, il sindacato di maggioranza dei bancari. “In un colpo solo quindi l’istituto di vigilanza metterebbe in mezzo a una strada dipendenti e risparmiatori. Non si può tollerare che, nelle trattative in corso, di fronte all’atteggiamento responsabile dei lavoratori, si risponda puntando loro la pistola alla tempia. Se queste saranno le uniche condizioni presentate dalla CariFerrara, non ci sarà nessun tipo di accordo, ne’ ci impensieriscono le giustificazioni e gli alibi sul ruolo della Bce, ne’ tantomeno accetteremo la logica delle scorciatoie sulla pelle dei dipendenti per la successiva acquisizione dell’istituto da parte di un altro gruppo bancario”. “Vogliamo poi ricordare a tutti che l’assemblea del personale ha deciso che un eventuale accordo, per essere applicato, dovrà poi passare al vaglio della stessa assemblea dei lavoratori. Se vivessimo in un Paese civile, tutte le forze politiche italiane dovrebbero ribellarsi a un aut aut del genere: o si accettano i licenziamenti o la banca va in risoluzione, dichiarato da chi dovrebbe garantire banca, clienti e lavoratori”, conclude.

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TELESTENSE.IT 29/12/2016

Trattativa Carife: è di nuovo muro contro muro –

Lo spiraglio di luce che si era aperto ieri sera, questa mattina si è subito richiuso, e la trattativa sul futuro della Cassa di risparmio di Ferrara è diventata un nuovo muro contro muro. “Ieri il negoziato era stato piuttosto energico – ci ha spiegato nel pomeriggio Filippo Mascina, che al tavolo delle trattative rappresenta il sindacato FABI provinciale – Attendevamo un documento che doveva portare, nella discussione, alcune novità positive, anche se non risolutive. Invece, questa mattina ci è stato presentato una documento contenente una serie di proposte per noi inaccettabili”. Fissare una serie di condizioni per l’esodo volontario dei dipendenti; poi, se con queste condizioni non si raggiungesse il numero di uscite volontarie desiderato, procedere con le procedure previste dalla legge 223 sui licenziamenti collettivi. Ma in tempi ancor più rapidi di quelli previsti dalla stessa normativa. Sarebbe questa la proposta di Carife che i sindacati considerano inaccettabile. Si tenga conto che l’obiettivo dei vertici di Carife è ridurre il personale di circa 400 unità, di cui solo un quarto potrebbe essere trattato con forme di prepensionamento. Su Facebook compare un post di Massimo Zanirato, segretario provinciale della UIL che ha proprie rappresentanti al tavolo delle trattative: “Sul tavolo sindacale con CARIFE le nubi si addensano sempre più. L’azienda vuole stravincere continuando a puntare la pistola alla tempia dei lavoratori. Serve un atto di coraggio del sindacato. Non firmiamo nulla”. Sull’Ansa nel frattempo compare una dichiarazione di Lando Maria Sileoni, segretario nazionale della FABI: “Se queste saranno le uniche condizioni presentate dalla CariFe, non ci sarà nessun tipo di accordo, né ci impensieriscono le giustificazioni e gli alibi sul ruolo della Bce, né tantomeno accetteremo la logica delle scorciatoie sulla pelle dei dipendenti per la successiva acquisizione dell’istituto da parte di un altro gruppo bancario”. La situazione, insomma, è molto difficile e la prospettiva dei licenziamenti collettivi pesa sul negoziato in modo determinante: se questa linea prevalesse, Carife sarebbe la prima banca italiana in cui verrebbe applicata la procedura dei licenziamenti collettivi con messa in mobilità dei dipendenti licenziati. Un primato negativo che nessuno intende sperimentare.

 

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