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SALVATAGGI BANCARI, LA FABI SULLA STAMPA

di Redazione

Il leader della FABI Sileoni commenta il provvedimento governativo a favore della quattro banche in crisi: Banca Marche, Banca Etruria, Cariferrara e Carichieti. “Bene decreto. No a ulteriori sacrifici per lavoratori”. Leggi la dichiarazione su tutti i quotidiani nazionali e locali.

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MF-MILANO FINANZA martedì 24 novembre 2015

Banche, chi finanzia il salvataggio – Le tre grandi banche metteranno sul piatto 1,33 mld ciascuna. Una prima tranche da 780 mln di euro sarà rimborsata già a dicembre. La quota restante del finanziamento, garantita da Cdp, entro 18 mesi

di Andrea Di Biase

Intesa , Unicredit e Ubi Banca anticiperanno finanziamenti per complessivi 4 miliardi di euro (3,99 miliardi per la precisione) al Fondo di risoluzione delle crisi bancarie in attesa che venga completato il versamento da parte di tutte le banche del sistema del contributo straordinario necessario a capitalizzare il fondo stesso, cui da ieri fanno capo le quattro nuove banche buone (Banca Marche, Popolare dell’Etruria , Cr Ferrara, CariChieti) e la bank bad cui sono stati conferiti i crediti in sofferenza.

Lo schema seguito dal governo e dalla Banca d’Italia, d’intesa con la Commissione Europea, prevede il trasferimento dei crediti problematici dei quattro istituti (8,5 miliardi complessivi svalutati a 1,5 miliardi) a un’unica bad bank e la costituzione di quattro nuove banche pulite dalle perdite e ricapitalizzate dal Fondo di risoluzione. Quest’ultimo, in attesa che le banche del sistema procedano alla sua capitalizzazione e utilizzando il prestito ponte concesso da Intesa , Unicredit e Ubi, utilizzerà circa 1,7 miliardi a copertura delle perdite delle banche originarie, circa 1,8 miliardi per ricapitalizzare le banche buone (recuperabili con la vendita delle stesse), circa 140 milioni per dotare la banca cattiva del capitale minimo necessario a operare. Nel corso della giornata di ieri sono stati nominati gli amministratori delegati delle quattro banche buone, che affiancheranno Roberto Nicastro (presidente di tutti e quattro gli istituti) e Maria Pierdichi (presente in tutti e quattro i board).

Si tratta di Salvatore Immordino (CariChieti), Giovanni Capitanio (Carife), Luciano Goffi (Banca Marche) e Roberto Bertola (Etruria).

L’operazione di salvataggio, che non ha visto l’impiego di denaro pubblico, vedrà dunque le tre grandi banche anticipare 780 milioni a testa, nell’ambito di un finanziamento da 2,35 miliardi a brevissimo termine, che sarà infatti rimborsato dal Fondo nel corso del mese di dicembre 2015 con i contributi che saranno versati dalle varie banche del sistema. Intesa , Unicredit e Ubi erogheranno poi un secondo finanziamento da 1,65 miliardi (550 milioni ciascuna) con scadenza a 18 mesi meno un giorno, a fronte del quale la Cassa Depositi e Prestiti «ha assunto un impegno di sostegno finanziario in caso di inadempienza del Fondo alla data di scadenza finanziamento». Per quanto riguarda l’importo del contributo straordinario per le singole banca, Intesa Sanpaolo ha fatto sapere che la quota di sua competenza sarà di 380 milioni di euro ante imposte.

Tale uscita sarà contabilizzata nel conto economico del quarto trimestre 2015, in aggiunta ai 95 milioni relativi al contributo ordinario al Fondo per il 2015 già spesati nel primo semestre. Per Unicredit il contributo straordinario, anche in questo caso da registrare nel quarto trimestre 2015, sarà pari a 210 milioni di euro, che si andranno ad aggiungere ai 90 milioni di contributo ordinario già spesati nel primo semestre. Ubi Banca dovrà accantonare entro fine anno circa 70 milioni (oltre ai 22,8 già messi a bilancio) come contributo da versare Fondo. In tutto, secondo quanto si apprende, il contributo di Ubi sarà pari a 91 milioni pre tasse. Mps dovrebbe versare invece 160 milioni in quattro anni, ma anticipati. «L’anno scorso avevamo già accantonato 60 milioni per Banca Marche, ne restano da accantonare 100», ha spiegato l’ad Fabrizio Viola.

L’impegno «assai gravoso» (come definito dall’Abi) a carico delle banche italiane per il salvataggio dei 4 istituti di credito sarà in parte attenuato subito da alcune partite fiscali, peraltro dovute, che il governo ha permesso di ottenere grazie ad alcune modifiche legislative. Il primo aspetto è la possibilità di trasformare le imposte differite attive presenti nei bilanci delle vecchie banche, mandate in liquidazione, in crediti di imposta e quindi renderli fruibili dalle nuove banche. Il secondo aspetto riguarda invece tutte le banche del sistema che forniscono i contributi anticipati (oltre al 2015 anche i tre anni successivi) al Fondo che saranno deducibili ai fini Ires (ma non Irap) recuperando l’aliquota del 27,5%.

Sul piano di salvataggio si è espressa anche la Fabi. «Consideriamo positivo l’intervento del governo, oltre a quello di Intesa , Unicredit e Ubi, per risolvere l’impasse», ha dichiarato il segretario generale Lando Sileoni, che ha chiesto «di non imporre ulteriori sacrifici ai dipendenti». (riproduzione riservata)

LA REPUBBLICA martedì 24 novembre 2015

La Borsa premia il salva-banche ma salgono i costi – Gli istituti anticiperanno quattro annualità non tre e la somma delle linee di credito arriva a 4 miliardi

ROSARIA AMATO

ROMA. Le banche italiane dovranno anticipare al Fondo di risoluzione non tre ma quattro annualità (deducibili però ai fini Ires), un conto ancora più gravoso del previsto per il salvataggio di Banca Etruria, Banca Marche, Cariferrara e Carichieti, che da ieri hanno riaperto il battenti con le nuove società, alleggerite dai crediti deteriorati, confluiti in un’unica bad bank. E la somma delle due linee di credito anticipate da Intesa Sanpaolo, Unicredit e Ubi Banca, in attesa che confluiscano i contributi di tutti gli altri istituti, arriva a 4 miliardi: un primo finanziamento da 2.350 milioni di euro da restituire entro dicembre, un secondo da 1.650 milioni di euro a 18 mesi, garantito dalla Cassa Depositi e Prestiti. Al presidente dei quattro istituti, Roberto Nicastro, e a Maria Perdicchi (ex ad S& Italia, nel cda delle quattro banche) si affiancano i nuovi amministratori delegati: Salvatore Immordino per la Nuova Carichieti, Giovanni Capitanio per la Nuova Carife, Roberto Bertola per la Nuova Banca Etruria e Luciano Goffi per la Nuova Banca Marche. L’operazione è stata ben accolta in Borsa: i titoli bancari hanno chiuso con rialzi medi del 2%. Il settore bancario, sottolinea l’Abi sta affrontando «grandi ed assai onerosi sforzi» per il salvataggio, oneri che «si assommano ai costi della crisi e agli sforzi di rafforzamenti patrimoniali delle banche stesse per sostenere la ripresa», senza alcun aiuto pubblico «a differenza di quanto avvenuto ed ancora avviene in altri Paesi europei». «Confido che le banche italiane siano più forti di questo sforzo straordinario, e che la spinta alla ripresa continui anche dopo di oggi», dice il presidente dell’associazione Antonio Patuelli, ricordando come questa soluzione sia risultata «l’unica giuridicamente possibile» dopo la bocciatura di Bruxelles, «che non ha mai messo per iscritto le sue obiezioni», dell’intervento del vecchio Fondo interbancario. L’auspicio è che adesso ci sia una rapida vendita all’asta in modo che le nuove banche vengano aggregate a gruppi italiani o esteri, permettendo in tempi stretti il recupero di buona parte dei fondi impiegati per il salvataggio. Favorevole il giudizio dei sindacati: la Fabi si augura però «che le banche in questione non vengano utilizzate come dei “laboratori” in cui sperimentare forme di deroghe al contratto nazionale». Tod’s compra Roger Vivier ma gli analisti si dividono sul prezzo Il marchio è in forte crescita valutazione a 2,8 volte i ricavi Decideranno le minoranze ©RIPRODUZIONE RISERVATA SARA BENNEWITZ DAL NOSTRO INVIATO ROBERTO MANIA IL PIANO I conti sono in rosso. Il piano di recupero al 2020 prevede 430 esuberi, la chiusura di 130 filiali e una ulteriore ricapitalizzazione ©RIPRODUZIONE

LA STAMPA (SU 17 EDIZIONI) IL SECOLO XIX (SU 5 EDIZIONI) martedì 24 novembre 2015

I NOSTRI SOLDI – OPERAZIONE SALVATAGGIO – Soddisfatti i sindacati «Ora il rilancio degli istituti» I sindacati, Fabi e First- e Fisac- in testa, promuovono il salvataggio E ora chiedono il rilancio dei 4 istituti, senza ulteriori sacrifici per i lavoratori – Banche salve, Fondazioni in rosso I tre colossi anticipano 4 miliardi Sale il conto di Intesa, Unicredit e Ubi. Padoan: vicina la bad bank

ROMA . Hanno tenuto aperto il portone, ripulite e rinnovate, le quattro banche salvate in extremis grazie al decreto domenicale del governo. Nuova Banca delle Marche da ieri mattina dispone di un capitale fresco di 1 miliardo, Nuova Banca Etruria di 400 milioni, Nuova Carife di 200 e Nuova Carichieti di 100. Il capitale delle quattro nuove entità, le cui attività sono diverse da quelle dei crediti in sofferenza (confluiti nella bad bank unica e svalutati da 8,5 a 1,5 miliardi), è stato ricostituito in misura pari a circa il 9% dell’attivo ponderato per il rischio. «Dalle zone basse a quelle alte della classifica, quasi in zona Uefa», scrivono ai dipendenti dell’istituto marchigiano il presidente Roberto Nicastro e il neo ad Luciano Goffi per annunciare il nuovo corso, «un male minore» non esente da sacrifici. SÌ, PERCHÉ il salvataggio da 3,6 miliardi non ha toccato lo Stato (cioè i contribuenti), correntisti e i detentori delle obbligazioni senior dei quattro istituti, ma ha lasciato a bocca asciutta i possessori di obbligazioni subordinate e gli azionisti, quali si sono visti azzerare le proprie partecipazioni. Risveglio amaro, dunque, come per lo jesino Walter Darini, primo azionista Banca Marche, in un colpo solo ha visto polverizzarsi 20 milioni di euro. Ma a rischiare grosso sono anche le Fondazioni che, nel volgere di un weekend, hanno perso un patrimonio di 575 milioni. La Fondazione Cassa di Pesaro dovrà cancellare dal bilancio 94,67 milioni, la Fondazione di Macerata 80,22 e quella di Jesi 48,8 Sopravvivenza a rischio per Fondazione di Ferrara, che si vede azzerare una partecipazione da 72,4 milioni nel bilancio chiuso con un disavanzo di 17 milioni e un patrimonio di soli 55. Non va meglio per Chieti che, con un patrimonio di 89,2 milioni, ne vede sfumare 77,1 E poi ha pagato il sistema bancario nel suo complesso. «L’onere pesa ma non ci preoccupa», sottolinea il presidente dell’Abi Antonio Patuelli, che ieri ha riunito il comitato di presidenza per valutare gli aspetti tecnico- dell’operazione di risoluzione, messa a punto da Bankitalia e Mef con l’ok di Bruxelles. a margine della presentazione del suo libro a Bologna, punta il dito contro «i governi passati che non sono intervenuti prima per collaborare e sostenere le banche a differenza di altri Paesi». Risultato: un salvataggio molto più oneroso. L’impegno di Ubi, Intesa e Unicredit, in termini di affidamenti al Fondo di risoluzione per permettergli di intervenire direttamente, è di 1,3 miliardi ciascuna. Poi ci sono i contributi diretti al Fondo da parte di tutte le banche (spa e popolari), in particolare ulteriori 300 milioni per Unicredit, 470 per Intesa, 91 per Ubi. Un impegno attenuato da alcune agevolazioni fiscali: le Dta (imposte differite attive) presenti nei bilanci delle vecchie banche potranno essere trasformate in crediti di imposta per le nuove e, inoltre, contributi al Fondo di risoluzione saranno deducibili ai fini Ires. MENTRE i listini europei chiudono in rosso, Piazza Affari brinda ai salvataggi con i titoli bancari che trainano il Ftse Mib su dello 0,70 Nel frattempo, schiarite in vista sul fronte delle sofferenze bancarie: «Nessun problema con l’Ue assicura il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan. Anzi, «siamo alla fase finale delle condizioni tecniche, della definizione di meccanismi di prezzo ‘ombra’ per far partire le transazioni». Poiché un mercato specializzato sui crediti deteriorari in Italia non c’è una bad bank di sistema è lo scatto decisivo.

LA STAMPA (SU 17 EDIZIONI) IL SECOLO XIX (SU 5 EDIZIONI) martedì 24 novembre 2015
 
Ok il salvataggio da 3,6 miliardi – E Padoan rilancia sulla bad-bank – Il ministro: alle fasi finali il progetto per risolvere il problema sofferenza
 
FRANCESCO SPINI
MILANO. Il successo dell’operazione con cui governo e Bankitalia nel giro di 48 ore hanno salvato quattro banche in dissesto – Banca Marche, Banca Etruria, la Cassa di Risparmio di Ferrara e quella di Chieti, ora tutte rinominate con l’aggettivo «nuova» – induce l’esecutivo a rilanciare sul progetto «bad bank» per risolvere il problema delle sofferenze. Una montagna da 200 miliardi che grava sui bilanci del sistema del credito. «Con Bruxelles non c’è nessun problema – ha spiegato il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan – ormai siamo alla fase finale in cui si affrontano le condizioni tecniche, la definizione del meccanismo di “prezzo ombra” che permette di far partire le transazioni». Con la direzione generale Concorrenza della Commissione, ha assicurato il ministro, «abbiamo un rapporto molto, molto costruttivo come ha dimostrato la preparazione dell’operazione per le 4 banche decisa ieri e quindi siamo molto fiduciosi che anche su questa questione andremo avanti».
L’ok per la borsa
L’attenzione ieri, è rimasta concentrata, sull’operazione da 3,6 miliardi portata a termine col fondo di risoluzione. La creazione in poche ore delle 4 «banche ponte» della «bad bank» in cui saranno segregati gli 8,5 miliardi (via via svalutati fino a 1,5 miliardi) crediti deteriorati delle banche salvate ha galvanizzato anche Piazza Affari, dove era quotata solo la vecchia Etruria (sospesa da tempo). Il settore è stato premiato soprattutto con Popolare di Milano (+2,62 Credito Emiliano (+2,47 Pop Emilia Romagna (+2,40 e Monte dei Paschi (+2,28).
Il conto per i salvatori
Un salvataggio «positivo», lo ha definito il presidente dell’Abi Antonio Patuelli. «Gravando per oltre 2 miliardi sulle banche italiane, chiaramente va nelle poste dei costi del conto economico», ha detto. Una prospettiva che «non ci preoccupa ma ci pesa. Nel senso che è un ingente onere che si assomma ai costi della crisi». Le banche contribuiranno al fondo di risoluzione per 2,35 miliardi. Gli oneri maggiori graveranno sulle big»: Intesa Sanpaolo (475 mi- e Unicredit (300 milioni). Insieme con Ubi Banca, Intesa e Unicredit con un prestito hanno anticipato al fondo poco meno di 4 miliardi euro, somma che include un cuscinetto di liquidità oltre ai 3,6 miliardi di costo dell’operazione che è suddivisa in tre affidamenti da 1,33 miliardi.
Il ruolo della Cdp
C’è un ruolo anche per la Cassa Depositi e Prestiti che garantisce in caso di incapienza del fondo la restituzione alle tre banche di circa 1,65 miliardi, ossia il denaro eccedente le contribuzioni degli istituti. Ipotesi remota, quella di un intervento della Cdp: il fondo conta di recuperare denaro dalla vendita delle 4 nuove banche- dei «gioiellini» dopo la radicale ri- con la gestione attiva dei crediti dubbi della «bad bank» che – oltre a essere stati abbondantemente svalutati – per oltre il 50% sono assistiti da garanzie immobiliari.
I dolori degli azionisti
Nel salvataggio i vecchi azionisti non hanno avuto scampo. L’azzeramento del capitale di Banca Marche, per esempio, ha mandato in fumo 245 milioni di patrimonio diviso tra le fondazioni di Pesaro, Macerata e Jesi. lavoratori? sindacati del credito – Fabi, Fisac Cgil, First Cisl e Uilca – commentano positivamente il salvataggio. «Ai nuovi amministratori degli istituti chiediamo di non imporre ulteriori sacrifici ai dipendenti», ha detto il leader Fabi, Lando Sileoni. Secondo il presidente dell’Abi Patuelli ora non ci sono altre crisi urgenti da risolvere. Né considera essenziali le fusioni tra popolari. riforma «impone la trasformazione in Spa, ma non le aggregazioni». Perfino Mps potrebbe evitare le nozze se «la ripresa dovesse cambiare il quadro in cui erano state prese certe decisioni».

IL GIORNALE martedì 24 novembre 2015

E adesso scatta il risiko sugli istituti salvati – La Cassa depositi e prestiti garantirà i finanziamenti. Patuelli: «Aggregazioni, nessuna fretta

MASSIMO RESTELLI

C’è anche il timbro della Cassa depositi e prestiti nel piano ordito da Bankitalia e dal Tesoro per salvare Banca Etruria, Banca Marche, CariFerrara e CariChieti obbligando l’intera industria del credito a «pompare» denaro nel Fondo di risoluzione. La Cdp garantisce infatti, ma solo nel caso (remoto) d’incapienza gli 1,65 miliardi di finanziamenti a 18 mesi eccedenti la «rata» quadriennale (2,35 miliardi) che devono versare tutte le banche aderenti all’Abi Per Intesa Sanpaolo, che con Unicredit e Ubi ha firmato il prestito ponte da 3,9 miliardi, partecipare al salvataggio dei 4 istituti decotti costa 475 milioni di oneri. Per Unicredit, la cifra è di 300 milioni, per Ubi 91 milioni. terzetto eroga 2,35 miliardi a breve termine (780 milioni a testa) 1,65 miliardi a lungo (550 milioni). Scansato il bail- e riportate le aziende in bonis, può partire la caccia al compratore per le «nuove» Etruria, Banca Marche, CariFerrara e CariChieti Si scommette sull’interesse della stessa Ubi e di Cariparma. L’Abi di Antonio Patuelli, rimarcati «i grandi e assai onerosi» sforzi profusi dalle banche nel salvataggio, insiste sull’« delle norme» in Europa. Il riferimento implicito è allo svantaggioso trattamento dei crediti di imposta, su cui l’Abi ha già ottenuto una prima vittoria con l’erario Il decreto legge licenziato domenica dal governo Renzi (articolo 3 comma 1 e 4) prevede infatti il trasferimento delle plusvalenze attive, convertite in un crediti di imposta, dalle vecchie alle nuove banche. Un precedente importante, così come la nascita della bad bank per ripulire i quattro istituti ex commissariati potrebbe diventare l’anticamera di quella chiamata a smaltire i 200 miliardi di sofferenze lorde dell’intero sistema. Lo stesso Patuelli è comunque convinto che, risolta l’urgenza dell’Etruria & C, non ci siano altri diktat per l’industria né dal punto di vista delle finora disattese nozze tra le Popolari dopo la riforma Renzi né per Mps. «Sulle aggregazioni nulla è precluso e nulla è imposto», ha detto Patuelli rimarcando che non c’è necessità di altre azioni di salvataggio né esiste alcun “piano regolatore”». Non solo: la stessa situazione di Mps, a cui la Bce ha chiesto di andare all’altare potrebbe migliorare con la ripresa dell’economia Per l’intero sistema, ha detto il direttore generale dell’Abi Giovanni Sabatini, resta comunque il problema di aumentare la redditività del settore e i sindacati, con la Fabi di Lando Sileoni, hanno già messo le mani avanti sul rischio di ulteriori tagli. impieghi complessivi cresceranno comunque meno dell’ mentre per una vera svolta sulle sofferenze si dovrà attendere il 2017. Patuelli prevede, invece, «un aumento» entro dicembre delle cessioni dei crediti deteriorati.

LIBERO MERCATO martedì 24 novembre 2015

Il primo Bail-in ne bastona 100 – Il salvataggio di Banca Etruria, Marche, Chieti e Carife anticipa per metà le norme Ue. Migliaia di azionisti e obbligazionisti lasciano sul terreno 700 milioni. Unicredit, Intesa e Ubi recupereranno il 27,5 % di sgravio Ires. Niente soldi per i futuri crac

FRANCESCO DE DOMINICIS

–  Non è un’operazione di fronte alla quale togliersi il cappello, ma è il solito pasticcio all’italiana Forse il male Il salvataggio di Banca Marche, Carife è stato messo a punto dai gruppi bancarie dalla Banca d’Italia Sul tavolo del governo, domenica, è arrivato un pacchetto a scatola chiusa, solo per dare l’ok a un decreto necessario a rendere utilizzabili, in anticipo rispetto al 2016, le regole Ue sulla risoluzione delle crisi bancarie. La soluzione prevede la creazione di una bad bank per di oltre l’ %) e di quattro banche fresche (avranno il vecchio nome, preceduto da «Nuova») operative da ieri. Ma ecco alcuni aspetti di rilievo. 1) Il paracadute aperto ieri è di fatto il primo caso di b in in Non è che il meccanismo «interno» di salvataggio delle banche: di euro), in linea con le nuove norme Ue, sono azionisti e possessori di obbligazioni subordinate investitori); mentre non è previsto un sacrificio per i bond «normali» né per i conti correnti con saldo superiore a 100 euro. 2) Le banche non sono diventate filantropiche all’improvviso Nessun atto di generosità, ma solo calcoli di convenienza: il quadruplo fallimento degli istituti avrebbe costretto il resto del sistema finanziario a garantire, così come previsto per legge, i depositi fino a 100 euro. sarebbe stato un bagno di sangue: in ballo c’erano oltre 12 miliardi di euro, molto meno rispetto ai 3,6 miliardi complessivi versati a partire di di Bankitalia. Il «sì» dei banchieri, dunque, è arrivato da un lato guardando al risparmio miliardi), guardando al terremoto, sul versante della fiducia, che sarebbe stato cagionato dal default: Obiettivo: evitare la corsa agli sportelli. 3) Il piano di salvataggio ha un impatto negativo sui conti pubblici (nonostante il «verbo» di palazzo Chigi): gli istituti recuperano sotto forma di sgravi Ires una parte dei 3,6 miliardi di girati via L’aliquota per la defiscalizzazione è pari al 27,5 %. Ne consegue che quest’anno lo Stato incasserà meno Ires per 990 milioni. Ma il governo non avrebbe dovuto individuare coperture finanziarie ? Mettiamola così: l’ammontare esatto dei versamenti non è stato definito nel provvedimento dell’esecutivo (anche già e Chigi hanno fatto finta di non accorgersi (tant che nel decreto non si menzionano gli apporti finanziari precisi, citati solo in un comunicato stampa di Bankitalia). fine anno, si tireranno le somme: ma è certo è un «buco» da 1 miliardo. 4) Spuntano aiuti di Stato, sotto forma di garanzia pubblica. Lo dice ufficialmente una nota della Commissione Ue che ha comunque avallato il sussidio: «Il beneficio connesso a garanzia è 400 milioni ulteriore supporto del fondo risoluzione. Tali di aiuti di Stato ai sensi delle norme europee sugli aiuti di stato». Comprese le minori entrate Ires, le risorse pubbliche ammontano a 1,4 miliardi. 5) Il futuro è al buio e senza scudi. 3,6 miliardi sono stati chiesti dei contributi (3 o 4 anni). Vuol dire che il Fondo di risoluzione ha bruciato risorse future. se una banca sarà vicina al fallimento l’anno prossimo ? Serviranno versamenti extra. 6) manovra, concertata in quattro giorni di negoziati segreti tra banchieri e regolatori col silenzio del governo, mortifica il mercato. twitter@DeDominicisF

IL CENTRO (SU 6 EDIZIONI) martedì 24 novembre 2015

La Fabi: si indaghi sulla possibilità di illeciti commessi in passato

CHIETI. «Consideriamo positivo l’intervento del Governo, oltre a quello di Intesa, Unicredit e Ubi, per risolvere l’impasse delle quattro banche in crisi: Banca Marche, Banca Etruria, Cassa di risparmio di Ferrara e Cassa di risparmio di Chieti. Ai nuovi amministratori degli istituti, designati oggi dalla Banca d’Italia chiediamo di non imporre ulteriori sacrifici ai dipendenti e che le banche in questione non vengano utilizzate come dei “laboratori” in cui sperimentare forme di deroghe al contratto nazionale, che noi non accetteremo e contrasteremo con tutti i mezzi». Lo dichiara Lando Maria Sileoni, segretario generale della Fabi, sindacato di maggioranza dei lavoratori bancari. giudizio di Sileoni i lavoratori del comparto bancario «si stanno già facendo carico da tempo del risanamento degli istituti con le giornate di solidarietà e i prepensionamenti, negoziati su base volontaria e incentivata grazie agli accordi con i sindacati aziendali». Il segretario generale della Fai anche se considera positivo l’intervento del governo per mettere in salvo le banche in crisi auspica «l’intervento della magistratura per garantire la necessaria chiarezza sulle gestioni passate delle quattro banche istituti e siamo convinti che la stessa Bankitalia e i suoi commissari agiranno con la massima trasparenza e nell’interesse collettivo per segnalare alle autorità giudiziarie eventuali illeciti commessi dalle precedenti gestioni».

IL CENTRO (SU 6 EDIZIONI) martedì 24 novembre 2015

Sindacati: sugli esuberi la trattativa è ancora lunga – Il dubbio delle associazioni: il pre accordo raggiunto resta valido? La trattativa riprende oggi con il primo incontro del nuovo corso

«Siamo tutti un po’ più tranquilli». La frase del sindacalista della Fiba Cisl, Claudio Bellini, riassume il clima che si vive all’indomani del salvataggio della banca tra i sindacati che stanno portando avanti la delicata trattativa sugli esuberi in Carichieti. Caduta la spada di Damocle delle nuove regole in vigore dal primo gennaio (con la direttiva del Bail in che chiama i correntisti con depositi superiori a 100 mila euro a partecipare al risanamento della banca), si tira un sospiro di sollievo anche per quanto riguarda i tempi della trattativa. Sforare nel 2016 ora non è più un problema. Ciò nonostante, sono molti ancora i nodi da sciogliere. «Si apre un nuovo momento storico che dovremo gestire comunque con attenzione altissima», dice Antonella Sboro sindacalista della Fabi, «il contesto si è sviluppato in una maniera veloce, è necessario dunque fare approfondimenti legislativi». Se è vero che i due commissari inviati da Banca d’Italia sono decaduti, è anche vero, però, che uno dei due, Salvatore Immordino, rimane in qualità di amministratore delegato della nuova banca e, dunque, anche con molti più poteri rispetto al passato. Si era partiti da quel 2 settembre scorso quando ai sindacati arrivò una comunicazione ufficiale da parte della struttura commissariale che parlava di 135 esuberi sui circa 600 dipendenti. Numeri che sono tuttora al vaglio della trattativa, che dopo i primi momenti di difficoltà si era comunque incardinata sui binari giusti, arrivando a un decisivo pre- Ma ora, cambiamenti avvenuti, quell’intesa importantissima perché fissava le basi per l’accordo finale, è ancora valida? Gli stessi sindacati non riescono a dare una risposta. «La questione è di tipo giuridica», risponde Francesco Trivelli, Fisac Cgil, «abbiamo già allertato la nostra struttura nazionale perché ci aiuti a dirimere la questione. Intanto possiamo lavorare con un po’ più di serenità, sebbene la strada da fare sia ancora molta. Non abbiamo più la scadenza del 31 dicembre, sebbene prima risolviamo la questione esuberi e prima rimettiamo la banca sul mercato. Non dimentichiamo che in 18 mesi deve poter camminare da sola». I sindacati, che sin dall’inizio hanno sempre lavorato per cercare di evitare allarmismi, adesso inviano anche messaggi rassicuranti ai risparmiatori: «Con questa operazione», dice Alessandro Roselli della Uilca, classici depositanti, titolari di conto corrente, sono del tutto tutelati. Ci sarà solo un piccolo sacrificio richiesto ai titolari di alcune obbligazioni subordinate. Ma si tratta di percentuale ridottissima». Intanto la trattativa sindacale riprendere oggi pomeriggio con una riunione già convocata in Carichieti alla Colonnetta. La data ultima era stata fissata al primo dicembre. Data che, però, può anche slittare un po’ più avanti, sebbene Immordino abbia fatto capire che preferirebbe mantenere il limite del primo dicembre. (a.i.)

IL MESSAGGERO ABRUZZO (SU 3 EDIZIONI) martedì 24 novembre 2015

Carichieti, la beffa per 400 risparmiatori – `Il Salva- ordina di azzerare le obbligazioni subordinate Via Colonnetta aveva emesso bond per 25 milioni di euro – In fumo anche le azioni della Fondazione. sindacati ora temono i ricorsi: «Tutelare i colleghi nei confronti dei clienti» – IL DISTINGUO DELLA SBORO (FABI) «NON AMMETTEREMO ULTERIORI SACRIFICI A CARICO DEI LAVORATORI

Il commissario uscente di Carichieti, Salvatore Immordino, è stato nominato dalla Banca d’Italia amministratore delegato della Nuova Carichieti, nata dalle ceneri dell’istituto dopo il piano di salvataggio. Presidente è Roberto Nicastro, che ricopre la stessa carica presso gli altri istituti di credito salvati (Banca delle Marche, Popolare dell’Etruria e Cariferrara). L’altro componente del consiglio di amministrazione è Maria Pierdicchi, ex responsabile S& Italia. Entrano a far parte del Collegio sindacale della banca, invece, Paola Leone (presidente), Leonardo Patroni Griffi e Maria Teresa Bianchi. PAGA PER L’OPERAZIONE Chi paga per l’intera operazione? In primo luogo, non paga il contribuente e il carico finanziario ricade in prevalenza sul complesso del sistema bancario italiano. Sono salvi depositi, conti correnti e obbligazioni ordinarie. Una parte dell’onere tuttavia, viene posto innanzitutto a carico degli azionisti e dei titolari delle obbligazioni subordinate. una disposizione Ue recepita da Banca d’Italia Nel caso di Carichieti, una quota di 7,5 milioni di euro è andata già persa, mentre un’altra di circa 17- milioni è in procinto di essere azzerata: il perimetro è in via di definizione ma si parla di un numero di clienti beffati che varia da 300 a 500. A repentaglio la Fondazione Carichieti (ieri il presidente Di Frischia non era raggiungibile), che ha un patrimonio netto di 89,2 milioni e detiene l’ del capitale della Cassa che è iscritta in bilancio per 77,1 milioni. Ieri mattina c’è stato un vertice tra i sindacati, Pescara, per valutare la situazione dopo il via libera del governo. «Sono state ribadite da parte nostra le prerogative di tutela occupazionale nella continuità lavorativa – si legge in un documento a firma di Fabi, First Cisl, Fisac Cgil, Uilca e Unisin – Nel sottolineare la novità dell’operazione affermiamo la necessità di sostenere e tutelare, sotto ogni profilo, colleghi nell’affrontare eventuali situazioni di criticità che dovessero sorgere nei confronti della clientela». Chiaro il riferimento alle obbligazioni subordinate andate in fumo. «Non ammetteremo ulteriori gravi sacrifici a carico dei lavoratori – ribadisce Antonella Sboro della Fabi – Anche noi stiamo effettuando approfondimenti legali sulla nuova norma emanata per poter incontrare i nuovi vertici della banca». Il pre accordo sugli esuberi, raggiunto nelle scorse settimane con i commissari, prevede una cinquantina di uscite al posto di 135. «Ma non è ancora chiaro se la trattativa andrà avanti nel segno della continuità oppure se, con la nascita della Nuova Carichieti, bisognerà ricominciare da zero», dice Francesco Trivelli, segretario regionale della Fisac Cgil. Reazioni sono arrivate anche dalla politica. «Speriamo che a questo punto si vigili anche sul futuro e, eventualmente, su chi interverrà per l’avvenire della Carichieti», dice il deputato Fabrizio Di Stefano (Fi). «È un provvedimento di responsabilità che tutela lavoratori e risparmiatori», aggiunge il deputato e capogruppo in commissione finanze di Scelta civica, Giulio Sottanelli. Gianluca Lettieri © RIPRODUZIONE RISERVATA

IL RESTO DEL CARLINO (SU 15 EDIZIONI) LA NAZIONE (SU 14 EDIZIONI) IL GIORNO (SU 9 EDIZIONI) LA CITTA (ED. TERAMO) martedì 24 novembre 2015

I NOSTRI SOLDI – OPERAZIONE SALVATAGGIO – Soddisfatti i sindacati – «Ora il rilancio degli istituti» – I sindacati, Fabi e First- e Fisac- in testa, promuovono il salvataggio – E ora chiedono il rilancio dei 4 istituti, senza ulteriori sacrifici per i lavoratori – Banche salve, Fondazioni in rosso I tre colossi anticipano 4 miliardi Sale il conto di Intesa, Unicredit e Ubi. Padoan: vicina la bad bank

ROMA . Anno tenuto aperto il portone, ripulite e rinnovate, le quattro banche salvate in extremis grazie al decreto domenicale del governo. Nuova Banca delle Marche da ieri mattina dispone di un capitale fresco di 1 miliardo, Nuova Banca Etruria di 400 milioni, Nuova Carife di 200 e Nuova Carichieti di 100. Il capitale delle quattro nuove entità, le cui attività sono diverse da quelle dei crediti in sofferenza (confluiti nella bad bank unica e svalutati da 8,5 a 1,5 miliardi), è stato ricostituito in misura pari a circa il 9% dell’attivo ponderato per il rischio. «Dalle zone basse a quelle alte della classifica, quasi in zona Uefa», scrivono ai dipendenti dell’istituto marchigiano il presidente Roberto Nicastro e il neo ad Luciano Goffi per annunciare il nuovo corso, «un male minore» non esente da sacrifici. SÌ, PERCHÉ il salvataggio da 3,6 miliardi non ha toccato lo Stato (cioè i contribuenti), correntisti e i detentori delle obbligazioni senior dei quattro istituti, ma ha lasciato a bocca asciutta i possessori di obbligazioni subordinate e gli azionisti, quali si sono visti azzerare le proprie partecipazioni. Risveglio amaro, dunque, come per lo jesino Walter Darini, primo azionista Banca Marche, in un colpo solo ha visto polverizzarsi 20 milioni di euro. Ma a rischiare grosso sono anche le Fondazioni che, nel volgere di un weekend, hanno perso un patrimonio di 575 milioni. La Fondazione Cassa di Pesaro dovrà cancellare dal bilancio 94,67 milioni, la Fondazione di Macerata 80,22 e quella di Jesi 48,8 Sopravvivenza a rischio per Fondazione di Ferrara, che si vede azzerare una partecipazione da 72,4 milioni nel bilancio chiuso con un disavanzo di 17 milioni e un patrimonio di soli 55. Non va meglio per Chieti che, con un patrimonio di 89,2 milioni, ne vede sfumare 77,1 E poi ha pagato il sistema bancario nel suo complesso. «L’onere pesa ma non ci preoccupa», sottolinea il presidente dell’Abi Antonio Patuelli, che ieri ha riunito il comitato di presidenza per valutare gli aspetti tecnico- dell’operazione di risoluzione, messa a punto da Bankitalia e Mef con l’ok di Bruxelles. a margine della presentazione del suo libro a Bologna, punta il dito contro «i governi passati che non sono intervenuti prima per collaborare e sostenere le banche a differenza di altri Paesi». Risultato: un salvataggio molto più oneroso. L’impegno di Ubi, Intesa e Unicredit, in termini di affidamenti al Fondo di risoluzione per permettergli di intervenire direttamente, è di 1,3 miliardi ciascuna. Poi ci sono i contributi diretti al Fondo da parte di tutte le banche (spa e popolari), in particolare ulteriori 300 milioni per Unicredit, 470 per Intesa, 91 per Ubi. Un impegno attenuato da alcune agevolazioni fiscali: le Dta (imposte differite attive) presenti nei bilanci delle vecchie banche potranno essere trasformate in crediti di imposta per le nuove e, inoltre, contributi al Fondo di risoluzione saranno deducibili ai fini Ires. MENTRE i listini europei chiudono in rosso, Piazza Affari brinda ai salvataggi con i titoli bancari che trainano il Ftse Mib su dello 0,70 Nel frattempo, schiarite in vista sul fronte delle sofferenze bancarie: «Nessun problema con l’Ue assicura il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan. Anzi, «siamo alla fase finale delle condizioni tecniche, della definizione di meccanismi di prezzo ‘ombra’ per far partire le transazioni». Poiché un mercato specializzato sui crediti deteriorari in Italia non c’è una bad bank di sistema è lo scatto decisivo.

L’ECO DI BERGAMO martedì 24 novembre 2015

Accordo Ubi- sindacati per il 2016 – Assenze pagate al 40% e congedi al 50

Battistini (First): coniugate le esigenze dei lavoratori e della banca. Citterio (Fabi): evitata la disdetta dell’integrativo – Un accordo raggiunto dopo una maratona terminata a notte fonda che coniuga esigenze della banca e necessità dei lavoratori. È stato sottoscritto tra il gruppo Ubi e i sindacati Fabi, First- Uilca- Sinfub, Ugl Credito e Unisin e riguarda i 17.800 dipendenti del gruppo (tra i quali i 3.600 della Banca Popolare di Bergamo). Grazie all’intesa il gruppo bancario, in un contesto economico ancora sfavorevole, nel corso del 2016 potrà contenere il costo del lavoro mediante l’utilizzo di strumenti volontari come il congedo volontario e l’assenza parzialmente retribuiti, il part time (rinnovabile per altri 4 anni). lavoratori possono chiedere singole giornate o mesi di assenza (anche tutto l’anno per le proprie esigenze personali e familiari: si chiama «Social day» e prevede una retribuzione al 40% per il periodo passato a casa (stessa percentuale per la contribuzione previdenziale). Ancora più vantaggioso, per chi ha figli, il congedo parentale, dato che prevede, oltre al 30% corrisposto dall’Inps un altro 20% da parte della banca (si arriva così al 50% della retribuzione), una contribuzione Inps del 100% (per un massimo di 6 mesi per entrambi i genitori). L’accordo per il 2016 prosegue e migliora le precedenti analoghe intese (l’ultima esattamente un anno fa), che hanno riscontrato un notevole consenso tra i dipendenti: nel 2015 vi ha fatto ricorso il 30% dei bancari Ubi (in tutto 5.300 e addirittura il 60% di quelli della Popolare Bergamo. L’architrave dell’accordo è la garanzia da parte di Ubi del mantenimento del contratto integrativo fino al 31 dicembre 2016. «Questa garanzia – dice Andrea Battistini, coordinatore del gruppo Ubi per First- – ha rappresentato il faro, senza il quale non si sarebbe raggiunta l’intesa È importante, quando altri istituti di credito hanno deciso di disdettare la contrattazione di secondo livello. L’accordo in un’ottica di conciliazione vita- bilancia la necessità aziendale di un contenimento del costo del lavoro ai bisogni dei lavoratori per motivi personali, familiari, di cura, o per problematiche di salute. L’azienda risparmia offrendo ai dipendenti che lo vogliono, e solo a loro, la possibilità di prendere dei periodi di assenza retribuiti». «Si tratta di un buon accordo conferma Paolo Citterio, coordinatore del gruppo Ubi per la Fabi – perché contempera le esigenze dell’azienda con quelle dei lavoratori ma sulla base della volontarietà, evitando l’obbligatorietà degli strumenti di solidarietà o interventi, come successo in altre banche, di disdetta dell’integrativo Siamo così arrivati a un risultato molto equilibrato che permette a Ubi di continuare una politica di attenzione alle istanze dei lavoratori. Siamo ormai al quarto anno e questi strumenti stanno entrando nella mentalità sia dell’azienda che dei colleghi». P. S.

CORRIERE ADRIATICO (ED. PESCARA) martedì 24 novembre 2015

Fabi e Cisl: “Ora va garantita l’occupazione

ROMA. “Consideriamo positivo l’intervento del Governo, oltre a quello d’Intesa Unicredit e Ubi, per risolvere l’impasse delle quattro banche in crisi: Banca Marche, Banca Etruria, Cassa di risparmio di Ferrara e Cassa di risparmio di Chieti”. Lo dichiara Lando Maria Sileoni, segretario generale della Fabi, la Federazione autonoma bancari italiani. “Ai nuovi amministratori degli istituti, designati dalla Banca d’Italia chiediamo di non imporre ulteriori sacrifici ai dipendenti e che le banche in questione non vengano utilizzate come dei laboratori in cui sperimentare forme di deroghe al contratto nazionale, che noi non accetteremo e contrasteremo con tutti i mezzi”. “Ricordiamo, infatti, che i lavoratori si stanno già facendo carico da tempo del risanamento degli istituti con le giornate di solidarietà e i prepensionamenti, negoziati su base volontaria e incentivata grazie agli accordi con i sindacati aziendali”. “Auspichiamo, infine, l’intervento della magistratura per garantire la necessaria chiarezza sulle gestioni passate delle quattro banche istituti e siamo convinti che la stessa Bankitalia e i suoi commissari agiranno con la massima trasparenza e nell’interesse collettivo per segnalare alle autorità giudiziarie eventuali illeciti commessi dalle precedenti gestioni”. Anche Giulio Romani, segretario Generale First Cisl, commenta il piano di risoluzione e salvataggio e avverte: ora va garantita l’occupazione “La continuità operativa di Bm, Banca Popolare dell’Etruria e del Lazio, Carife e CariChieti è garantita”. “Giova ricordare come i lavoratori, sottoponendosi a sacrifici economici, abbiano concretamente contribuito alla riduzione dei costi operativi a fronte di situazioni gravissime prodotte dalle amministrazioni succedutesi nel tempo”.

LA NUOVA FERRARA martedì 24 novembre 2015

«Siano perseguiti i colpevoli dei dissesti» sindacati bancari: in futuro massima trasparenza nei confronti di clientela e opinione pubblica

Carife nella giornata di ieri, rassicurava tutto il personale: «Non sono previsti nè esuberi nè altro». Ma la preoccupazione c’è concreta , all’indomani del decreto «salva banche», con i sindacati che puntano i peidi: «Non si azzardino a introdurre nuove forme contrattuali». Ossia il jobs- deve star fuori. Questo il futuro prossimo, su cu i sindacati nazionali riflettono. «Consideriamo positivo l’intervento del Governo, oltre a quello d’Intesa Unicredit e Ubi, per risolvere l’impasse delle quattro banche in crisi» spiega Lando Maria Sileoni, segretario Fabi. «Ai nuovi amministratori degli istituti, designati da Banca d’Italia chiediamo di non imporre ulteriori sacrifici ai dipendenti e che le banche in questione non vengano utilizzate come dei “laboratori” in cui sperimentare forme di deroghe al contratto nazionale, che noi non accetteremo e contrasteremo con tutti i mezzi». Apprezzamento anche dal segretario di Unisin, Emilio Contrasto, che ricorda i contrasti precedenti ma ora «è fondamentale limitare le ricadute sul personale su cui non può e non deve essere scaricato il costo delle ristrutturazioni». Giudizio favorevole anche da parte di Massimo Masi, segretario Uilca: «Ora risparmiatori, clientela, tessuto sociale, lavoratrici e lavoratori delle banche interessate possono stare più tranquilli». «Da oggi continua – però deve partire un’ondata moralizzatrice sulla conduzione delle banche italiane. Vogliamo che i colpevoli dei dissesti, siano perseguiti e che la trasparenza sia massima, sia nei confronti della clientela che dell’opinione pubblica». Per Giulio Romani, segretario First Cisl, «la continuità operativa delel 4 banche è garantita». «Giova ricordare co- i lavoratori, sottoponendosi a sacrifici economici, abbiano concretamente contribuito alla riduzione dei costi operativi a fronte di situazioni gravissime prodotte dalle amministrazioni succedutesi nel tempo». «Era ora – conclude per tutti il segretario Fisac- Agostino Megale – di dare certezze ai correntisti e ai lavoratori delle quattro banche. Ora bisogna velocemente mettere mano al loro rilancio, imprese e famiglie ne hanno bisogno: vanno tempestivamente riprese e qualificate le relazioni industriali, nel rispetto degli accordi sottoscritti».

AVVENIRE martedì 24 novembre 2015

Il sistema bancario si salva quasi da solo

MASSIMO LONDINI

MILANO. Missione compiuta. Il domenicale decreto del governo ha salvato in extremis le quattro banche che stavano affondando. È andata come previsto e auspicato, con l’ok della Commissione europea all’intervento del Fondo di risoluzione e l’esborso di due miliardi di euro da parte dello stesso sistema bancaria, sotto l’egida della Banca d’Italia Non si tratta dunque di aiuto di Stato, come temuto nei giorni scorsi dall’Ue Ma da chi verranno in particolare questi soldi salva- Sono tre i grossi istituti di credito che metteranno mano al portafogli: Ubi Banca, Unicredit e Intesa San Paolo. Il salvataggio di Banca Marche, Banca Etruria, Carife e Carichieti ha richiesto un piano che impegna il Fondo di risoluzione per complessivi 3,6 miliardi. Al momento Intesa San Paolo, Unicredit e Ubi anticipano con finanziamenti l’intera somma distinta in due tranche. Una prima da 2,350 miliardi verrà rimborsata alle tre banche entro il 2015 con i contribuiti obbligatori versati al Fondo da tutti gli istituti. Una seconda tranche da 1,65 miliardi dovrebbe invece essere rimborsata con i proventi di cessioni «in tempi brevi al miglior offerente, con procedure trasparenti e di mercato», come ha detto la Banca d’I che vorrebbe ricavare almeno 1,8 miliardi dalle cessioni e inoltre recuperare una piccola parte degli 1,7 miliardi utilizzati per coprire le perdite delle quattro banche in crisi. Le banche italiane versano ogni anno circa 600 milioni a questo Fondo. Contributo che crescerà dal 2016 per arrivare a formare una dotazione da circa 6 miliardi entro 8 anni. Positive nel complesso le reazioni il giorno dopo il decreto salva- soprattutto da parte della Borsa. Ma un po’ di disappunto tra chi si farà carico dell’intervento «Non possiamo essere soddisfatti – commenta il consigliere delegato di Ubi, Victor Massiah – per il semplice motivo che comunque l’operazione è onerosa. Però, nei limiti della decenza, va bene così». Soddisfazione piena sulla riuscita operazione di salvataggio arriva da Assopopolari. Per il presidente Corrado Sforza Fogliani, «ancora una volta le banche private italiane, che non godono e non hanno mai goduto di aiuti di Stato, dimostrano la propria solidità e la propria capacità di affrontare tempestivamente le situazioni critiche». Idem il presidente dell’Abi Antonio Patuelli, che sottolinea come anche quest’ultima operazione è avvenuta «in un Paese nel quale, differenza di Francia e Germania, Inghilterra e altri paesi d’Europa lo Stato non ha dato contributi di aiuto alle banche. Le banche anche in questo modo sostengono la fiducia internazionale verso l’Italia E aggiunge: «Preoccupato da questo onere? Non ci preoccupa, ma ci pesa. Nel senso che è un ingente o- che si assomma ai costi della crisi». Preoccupazioni invece tra i sindacati, con Piero Peretti (Ugl Credito) che, temendo che tra Jobs Act e contratto a tutele crescenti i bancari dei quattro istituti «pagheranno in maniera salatissima il provvedimento», chiede al governo «una modifica al decreto». se per Fisac- il de- è ok ma occorre rilanciare le banche, Fabi teme futuri sacrifici per i lavoratori.

CORRIERE DI AREZZO martedì 24 novembre 2015

Il segretario provinciale della Fabi Faltoni: “Confermati tutti gli accordi sindacali”

AREZZO. Fabio Faltoni, segretario provinciale della Fabi, la Federazione autonoma bancari italiani, esprime la propria soddisfazione “per un’operazione che, pur non indolore nei confronti dei soci e dei titolari di obbligazioni di BancaEtruria salvaguarda i livelli occupazionali”. “Operazione che conferma – sottolinea ancora Faltoni – tutti gli accordi sindacali preesistenti nella loro intera efficacia”.

ANSA lunedì 23 novembre 2015

Banche:Sileoni (Fabi),ok salvataggio,no sacrifici lavoratori

(ANSA) – ROMA, 23 NOV – “Consideriamo positivo l’intervento del Governo, oltre a quello d’Intesa, Unicredit e Ubi, per risolvere l’impasse delle quattro banche in crisi: Banca Marche, Banca Etruria, Cassa di risparmio di Ferrara e Cassa di risparmio di Chieti”. Lo dichiara Lando Maria Sileoni, Segretario generale della Fabi.

  “Ai nuovi amministratori degli istituti, designati oggi dalla Banca d’Italia, chiediamo di non imporre ulteriori sacrifici ai dipendenti e che le banche in questione non vengano utilizzate come dei “laboratori” in cui sperimentare forme di deroghe al contratto nazionale, che noi non accetteremo e contrasteremo con tutti i mezzi”. “Ricordiamo, infatti, che i lavoratori si stanno già facendo carico da tempo del risanamento degli istituti con le giornate di solidarietà e i prepensionamenti, negoziati su base volontaria e incentivata grazie agli accordi con i sindacati aziendali”.

  “Auspichiamo, infine, l’intervento della magistratura per garantire la necessaria chiarezza sulle gestioni passate delle quattro banche istituti e siamo convinti che la stessa Bankitalia e i suoi commissari agiranno con la massima trasparenza e nell’interesse collettivo per segnalare alle autorità giudiziarie eventuali illeciti commessi dalle precedenti gestioni”. (ANSA).

RADIOCOR lunedì 23 novembre 2015 – 15:17

Banche: da sindacati valutazioni positive sui quattro salvataggi FIN

 (Il Sole 24 Ore Radiocor) – Roma, 23 nov – I segretari di alcuni tra i maggiori sindacati dei bancari, Fabi, First e Uilca, commentano in modo positivo l’intervento di risoluzione delle quattro banche del centro Italia realizzato dal Governo e dalla Banca d’Italia.

 ‘Consideriamo positivo l’intervento del Governo, oltre a quello d’Intesa, Unicredit e Ubi, per risolvere l’impasse delle quattro banche in crisi” commenta il segretario generale della Fabi Lando Sileoni. “Ai nuovi amministratori degli istituti chiediamo di non imporre ulteriori sacrifici ai dipendenti e che le banche in questione non vengano utilizzate come dei ‘laboratori’ in cui sperimentare forme di deroghe al contratto nazionale, che noi non accetteremo e contrasteremo con tutti i mezzi’ aggiunge il segretario della Fabi. “Auspichiamo, infine, l’intervento della magistratura per garantire la necessaria chiarezza sulle gestioni passate delle quattro banche e siamo convinti che la stessa Bankitalia e i suoi commissari agiranno con la massima trasparenza e nell’interesse collettivo per segnalare alle autorita’ giudiziarie eventuali illeciti commessi dalle precedenti gestioni’. com-Ggz

AGI lunedì 23 novembre 2015

Salva banche: Fabi, no a ulteriori sacrifici lavoratori

(AGI) – Roma, 23 nov. – “Consideriamo positivo l ‘intervento del Governo, oltre a quello di Intesa, Unicredit e Ubi, per risolvere l ‘impasse delle quattro banche in crisi: Banca Marche, Banca Etruria, Cassa di risparmio di Ferrara e Cassa di risparmio di Chieti. Ai nuovi amministratori degli istituti, designati oggi dalla Banca d ‘Italia, chiediamo di non imporre ulteriori sacrifici ai dipendenti e che le banche in questione non vengano utilizzate come dei ‘laboratori ‘ in cui sperimentare forme di deroghe al contratto nazionale, che noi non accetteremo e contrasteremo con tutti i mezzi”. Lo dichiara Lando Maria Sileoni, segretario generale della Fabi, sindacato di maggioranza dei lavoratori bancari, secondo cui “i lavoratori si stanno gia ‘ facendo carico da tempo del risanamento degli istituti con le giornate di solidarieta ‘ e i prepensionamenti, negoziati su base volontaria e incentivata grazie agli accordi con i sindacati aziendali. Auspichiamo, infine, l ‘intervento della magistratura per garantire la necessaria chiarezza sulle gestioni passate delle quattro banche istituti e siamo convinti che la stessa Bankitalia e i suoi commissari agiranno con la massima trasparenza e nell ‘interesse collettivo per segnalare alle autorita ‘ giudiziarie eventuali illeciti commessi dalle precedenti gestioni”, conclude Sileoni. (AGI) Mau 231441 NOV 15 NNNN

ADNKRONOS lunedì 23 novembre 2015

BANCHE: FABI, BENE INTERVENTO GOVERNO E GRANDI GRUPPI

Sileoni, ma no a ulteriori sacrifici per i lavoratori

Roma, 23 nov. (Adnkronos/Labitalia) – ‘ ‘Consideriamo positivo l ‘intervento del governo, oltre a quello d ‘Intesa, Unicredit e Ubi, per risolvere l ‘impasse delle quattro banche in crisi: Banca Marche, Banca Etruria, Cassa di risparmio di Ferrara e Cassa di risparmio di Chieti”. Così Lando Maria Sileoni, segretario generale della Fabi, sindacato dei lavoratori bancari commenta il cosiddetto decreto ‘salva-banche ‘. “Ai nuovi amministratori degli istituti, designati oggi dalla Banca d ‘Italia, chiediamo di non imporre ulteriori sacrifici ai dipendenti -aggiunge Sileoni- e che le banche in questione non vengano utilizzate come dei ‘laboratori ‘ in cui sperimentare forme di deroghe al contratto nazionale, che noi non accetteremo e contrasteremo con tutti i mezzi ‘ ‘. ‘ ‘Ricordiamo, infatti, che i lavoratori si stanno già facendo carico da tempo del risanamento degli istituti con le giornate di solidarietà e i prepensionamenti, negoziati su base volontaria e incentivata grazie agli accordi con i sindacati aziendali”, avverte Sileoni. Il leader della Fabi, infine, auspica “l ‘intervento della magistratura per garantire la necessaria chiarezza sulle gestioni passate delle quattro banche istituti e siamo convinti che la stessa Bankitalia e i suoi commissari agiranno con la massima trasparenza e nell ‘interesse collettivo per segnalare alle autorità giudiziarie eventuali illeciti commessi dalle precedenti gestioni ‘ ‘. (Map/Adnkronos) 23-NOV-15 14:50 NNNN

IL VELINO lunedì 23 novembre 2015

Banche, Fabi: no a ulteriori sacrifici per lavoratori e a deroghe contrattuali

VEL0415 3 ECO /R01 /ITA Banche, Fabi: no a ulteriori sacrifici per lavoratori e a deroghe contrattuali (ilVelino/AGV NEWS) Roma, 23 NOV – “Consideriamo positivo l ‘intervento del governo, oltre a quello d ‘Intesa, Unicredit e Ubi, per risolvere l ‘impasse delle quattro banche in crisi: Banca Marche, Banca Etruria, Cassa di risparmio di Ferrara e Cassa di risparmio di Chieti. Ai nuovi amministratori degli istituti, designati oggi dalla Banca d ‘Italia, chiediamo di non imporre ulteriori sacrifici ai dipendenti e che le banche in questione non vengano utilizzate come dei ‘laboratori ‘ in cui sperimentare forme di deroghe al contratto nazionale, che noi non accetteremo e contrasteremo con tutti i mezzi”. Lo dichiara Lando Maria Sileoni, segretario generale della Fabi, sindacato di maggioranza dei lavoratori bancari. “Ricordiamo, infatti, che i lavoratori si stanno gia ‘ facendo carico da tempo del risanamento degli istituti con le giornate di solidarieta ‘ e i prepensionamenti, negoziati su base volontaria e incentivata grazie agli accordi con i sindacati aziendali. Auspichiamo, infine, l ‘intervento della magistratura per garantire la necessaria chiarezza sulle gestioni passate delle quattro banche istituti e siamo convinti che la stessa Bankitalia e i suoi commissari agiranno con la massima trasparenza e nell ‘interesse collettivo per segnalare alle autorita ‘ giudiziarie eventuali illeciti commessi dalle precedenti gestioni” conclude Sileoni. (com/mpi) 144923 NOV 15 NNNN NNNN

MF-MILANO FINANZA martedì 24 novembre 2015

Soluzione in extremis per colpa di una compilation di autogol

di Angelo De Mattia

Chi bisogna ringraziare (si fa per dire) se è stato necessario varare in extremis, da parte del governo con il determinante apporto tecnico della Banca d’Italia – con particolare impegno di Fabio Panetta- il piano di salvataggio di Banca delle Marche, Carife, Popolare dell’Etruria e Cassa di Chieti? Esaminando i meriti (anche qui si fa per dire), al primo posto troviamo la Commissione europea e, in specie, la Direzione Concorrenza che, con una pervicacia degna di miglior causa, si è opposta all’impiego del Fondo di tutela dei depositi interbancari con la motivazione secondo la quale, essendo stato il Fondo introdotto da una legge ed essendo prevista la presenza di un esponente di Bankitalia nel vertice dell’organismo, l’intervento di quest’ultimo avrebbe integrato una violazione del divieto di aiuti di Stato: una tesi che abbiamo tante volte considerata strampalata e pericolosa per l’ampliamento a macchia d’olio del concetto di aiuto di Stato che d’ora innanzi si potrebbe estendere a qualsiasi iniziativa promossa con risorse private solo che fosse anche indirettamente prevista dalla legge.

Il paradosso è che all’ipotesi del ricorso al predetto Fondo la Commissione non ha mai dato un riscontro formale negativo per l’ovvio timore che questo sarebbe stato poi impugnato immediatamente davanti alla Corte di giustizia europea con ottime probabilità di ottenere una dichiarazione di illegittimità del veto posto.

Il governo, da parte sua, ha lungamente temporeggiato, quando, dopo i primi informali ostacoli frapposti dalla Commissione con argomentazioni che il peggiore leguleio non avrebbe usato, avrebbe dovuto intervenire al massimo livello e sollevare la questione che aveva e tuttora ha riflessi incontestabili di carattere generale. Quanto meno avrebbe dovuto stanare la Commissione per farle emettere un pronunciamento ufficiale. Se vi è stata inerzia, probabilmente è perché, allora, si era concentrati su come sarebbe stata accolta la legge di stabilità e sull’esito che avrebbe avuto la richiesta di avvalersi delle tre flessibilità nell’applicazione delle norme in materia di conti pubblici ( per le riforme, per gli investimenti e per gli oneri delle migrazioni). Una discutibile priorità.

Un altro per così dire merito spetta ad alcune banche minori che apparentemente concordavano con la soluzione, alternativa (non attraverso il Fondo interbancario), di impegno diretto degli altri istituti nel salvataggio delle banche in dissesto, stanti i rischi sistemici incombenti, ma poi in sostanza si sono tirate indietro, magari allegando la complessità dell’operazione e le presunte posizioni degli azionisti. Visioni meramente corporative, incapaci di vedere i riflessi a catena che avrebbe potuto avere un processo degenerativo della situazione delle quattro banche.

Meritorio, per continuare con gli eufemismi, inizialmente è stato anche l’agire del presidente del Fondo in questione, Salvatore Maccarone, quando, nella sede parlamentare, evidentemente incurante dei probabili impatti quanto meno psicologici, ha segnalato i gravi pericoli che si sarebbero corsi non affrontando subito la sistemazione delle banche in questione: dichiarazioni poi recisamente smentite, ma che sul momento hanno indubbiamente creato allarmismo.

Di merito particolare (altro eufemismo) andrebbe insignito il governo Monti che, aiutato da una parte del settore bancario, non volle a ogni costo che l’Italia facesse ricorso ai fondi europei per il sistema bancario: oggi saremmo stati in ben diverse condizioni.

Al punto in cui si era arrivati è stato, dunque, necessario passare alla soluzione deliberata, poi, dal Consiglio dei ministri domenica scorsa, ma tecnicamente costruita a Via Nazionale e che ha avuto l’approvazione della Commissione (sarebbe stato assurdo se, a questo punto, avesse sfoderato altri niet) e della Bce.

Un altro «merito» ancora va riconosciuto al Governo per il modo, assai criticabile, in cui ha negoziato la direttiva Ue Brrd sul risanamento e la risoluzione degli intermediari accettando che i depositi, sia pure superiori a 100 mila euro, possano essere coinvolti nella procedura di bail-in (quando dagli anni trenta nessun depositante in Italia ha mai perso un centesimo), ancorché in posizione postergata rispetto ad altri crediti, ma fino al 2018, con l’affermazione del pari passu, in eguale collocazione con le obbligazioni.

Stante così la situazione e intendendosi prevenire giustamente il bail-in che scatta dal primo gennaio prossimo, l’operazione di risoluzione, per 3,6 miliardi, che applica la suddetta direttiva, ma non il salvataggio interno, realizzata domenica, non aveva alternative. Ricorda, tale misura con la creazione di quattro good bank o bridge bank e di una sola bad bank, dove saranno allocati i crediti deteriorati per tutti e quattro gli istituti, la ristrutturazione dell’Ambrosiano che, più di trenta anni fa, da un giorno all’altro si trasformò in Nuovo Banco Ambrosiano.

Si tratta di una costruzione giuridica e finanziaria complessa, che andrà attentamente esaminata e che esclude un intervento dello Stato (a parte dovremo esaminare i profili fiscali); essa si fonda sulla chiamata a concorrere del sistema. È stata possibile perché solo pochi giorni fa la direttiva in questione, che avrebbe dovuto essere recepita entro lo scorso dicembre – sicché a essa sarebbe stato possibile il ricorso ben prima – è stata completamente introdotta nel nostro ordinamento. Gli azionisti e, se si vuole, gli obbligazionisti subordinati, sarebbero stati comunque coinvolti, quali che fossero le procedure seguite. Ciò sarebbe accaduto, per gli azionisti, anche quando tutti in poteri erano nella disponibilità delle Autorità nazionali, essendo pienamente salvaguardati soltanto i depositanti, a prescindere dall’importo.

Resta, tuttavia, il vulnus della balzana tesi sugli aiuti di Stato e, più in generale, del comportamento della Commissione Ue che non può rimanere senza seguito, da parte del governo. Restano i problemi, che andranno affrontati, riguardanti il futuro delle quattro banche, il personale, le strategie, il territorio. Prima ancora andrà verificato l’assetto con l’unicità della presidenza dei quattro istituti. (riproduzione riservata)

MF-MILANO FINANZA martedì 24 novembre 2015

Da gennaio via alle acquisizioni – Le valutazioni saranno influenzate dal turnaround dei prossimi due mesi. Bper e Ubi i possibili cavalieri bianchi. Il rebus delle estere. Assopopolari: prova di forza per le banche private italiane

di Luca Gualtieri

Anche se il decreto di domenica 22 non ha fissato una scadenza precisa, i tempi per la dismissione delle quattro good bank nate da Banca Marche, Carife, Etruria e Carichieti saranno serrati. Già nelle prossime settimane potrebbero essere selezionati gli advisor per l’asta, attesa nei primi mesi del 2016.

Al momento comunque le modalità della procedura sono ancora tutte da definire, a partire dal metodo di valutazione dei quattro istituti di credito che finiranno sul mercato. Anche perché multipli e transazioni comparabili non sono molto indicativi in un caso assai particolare come questo. «Il fatto che le good bank siano state completamente ripulite dagli asset problematici potrebbe determinare perfino un certo premio sul book value, visto che si tratterà a tutti gli effetti di un’occasione di acquisto», spiega un analista a MF-Milano Finanza. Se insomma le quattro good bank potrebbero far gola a molti, chi potrebbero essere i potenziali compratori? In termini generali gli esperti puntano su operatori di medie dimensioni, con una vocazione essenzialmente retail e intenzionati a conquistare quote di clientela sul mercato italiano. L’identikit è quello delle banche popolari, che proprio in questi mesi stanno ragionando su possibili aggregazioni a seguito della riforma Renzi-Padoan.

Si sa per esempio che lo scorso anno la Banca Popolare dell’Etruria era finita nel mirino della Bper. In quel caso la manifestazione di interesse presentata per Arezzo non aveva avuto seguito, ma non è un mistero che l’istituto modenese guidato da Alessandro Vandelli punti a un’espansione mirata nelle regioni in cui non è ancora saldamente radicato e che, per il momento, non sembra avere in scaletta una fusione alla pari con altre popolari. La trattativa con la Bpm infatti si sarebbe arenata per questioni di governance e oggi Bper potrebbe essere alla ricerca di opportunità di investimento alternative. Una strada diversa per il gruppo modenese potrebbe essere rappresentata da un’acquisizione della Cassa di risparmio di Ferrara (Carife), che già in passato era finita nel radar. Per Banca delle Marche invece è ipotizzabile un interesse di Ubi, che nell’area adriatica è presente con la controllata Popolare di Ancona. Sempre che il gruppo lombardo guidato da Victor Massiah non decida di procedere nelle trattative con il Banco Popolare per la costituzione di un polo bancario sull’asse Brescia-Verona.

Anche Bpm potrebbe essere della partita, come ha garantito ieri il presidente del consiglio di sorveglianza Piero Giarda: «Ogni banca farà la sua parte».

Se le popolari potrebbero giocare un ruolo rilevante nelle acquisizioni, un intervento di Intesa Sanpaolo e Unicredit appare meno probabile. Anche se non bisogna dimenticare che la Ca’ de Sass ha oggi il 5,84% di Banca Marche e il 20% di Carichieti e che in passato è stata spesso indicata come un possibile cavaliere bianco dei due istituti. Quanto ai gruppi esteri, le reti delle quattro good bank appaiono troppo piccole per interessare a un soggetto non ancora presente in Italia. Diverse sarebbero le cose se la cessione avvenisse in blocco, visto che le reti commerciali di Banca Marche, Etruria e Carichieti formano una fascia omogenea che attraversa l’Appennino dal Tirreno all’Adriatico. Semmai è ipotizzabile un interesse di gruppi esteri già presenti nella Penisola, come il Crédit Agricole che con Cariparma-Friuladria presidia già territori attigui alle reti di Banca Marche e Carife.

In ogni caso per gli analisti l’intervento di soggetti esteri appare meno improbabile rispetto a quello di banche italiane. E Assopopolari arriva perfino a escluderlo con forza: «I provvedimenti del consiglio dei ministri e della Banca d’Italia allontanano scenari europei. Ancora una volta le banche private italiane, che non godono e non hanno mai goduto di aiuti di Stato, dimostrano la propria solidità e la propria capacità di affrontare tempestivamente le situazioni critiche», ha spiegato il presidente di Assopopolari, Corrado Sforza Fogliani. (riproduzione riservata)

MF-MILANO FINANZA martedì 24 novembre 2015

Subordinati colpiti dalle norme Ue – Banche e clienti protestano per le perdite. È il prezzo per i risparmiatori del nuovo modello di gestione delle crisi europeo, voluto dai Paesi che hanno utilizzato maggiormente aiuti di Stato

di Francesco Ninfole

Il nuovo modello europeo di gestione delle crisi ha portato novità significative rispetto al precedente sistema italiano. La più importante riguarda la possibilità di perdite per i possessori di bond bancari. Una prima esperienza in tal senso si è avuta nel salvataggio di Banca Marche, Etruria, Carife e Carichieti.

Assieme agli azionisti anche gli obbligazionisti subordinati hanno partecipato alle perdite con svalutazioni per 700 milioni. La notizia ha creato subbuglio ieri nelle banche e tra i clienti che avevano acquistato i bond. Va ricordato che i titoli subordinati, come dice la parola stessa, sono (da sempre) più rischiosi degli altri e hanno un pericolo vicino a quello del capitale: per questo motivo i possessori ottengono in cambio rendimenti più elevati. I risparmiatori avrebbero dovuto acquistare i bond con informazioni adeguate. In molti però sono stati colti di sorpresa, vista la novità della situazione, e ora minacciano iniziative legali. Alcuni operatori osservano che i clienti hanno sottoscritto i titoli anni fa, quando la prospettiva di un coinvolgimento nelle perdite era più remota. Inoltre nel comparto bancario si sperava in una conversione (anche parziale) dei subordinati in titoli delle nuove banche risanate: ora invece, si rileva, le svalutazioni integrali potranno pesare sul mercato dei bond e più in generale sulla fiducia dei clienti. La nota di Banca d’Italia sui salvataggi ha ricordato che «il ricorso alle azioni e alle obbligazioni subordinate per coprire le perdite è espressamente richiesto come precondizione per la soluzione ordinata delle crisi bancarie dalle norme europee (Brrd), recepite nell’ordinamento italiano dal 16 novembre». Per avere l’ok da Bruxelles all’operazione in materia di aiuti di Stato è stato necessario il cosiddetto «burden sharing», in vigore già dall’agosto 2013, in seguito a una comunicazione della Commissione Ue sul settore bancario. L’Italia ha così dovuto abbandonare il modello fondato sugli interventi del Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi (Fitd), che sono stati bloccati dal commissario Ue alla Concorrenza Margrethe Vestager. Per il Paese si tratta di un cambio di prospettiva significativo, considerando che finora nessun risparmiatore aveva mai perso un euro: nel passaggio al nuovo sistema europeo alcuni investitori si sono scottati. Peraltro l’urgenza del salvataggio delle quattro banche (che è stato messo a punto da Tesoro, Banca d’Italia e istituti in meno di una settimana dal recepimento della direttiva Brrd) è legata proprio alla partenza da gennaio del bail-in, che estenderà la partecipazione dei privati nei dissesti bancari anche a obbligazionisti ordinari e depositanti oltre 100 mila euro (quindi non solo ad azionisti e creditori subordinati). Di fatto il salvataggio non aveva alternative migliori, nei limiti posti da Bruxelles. Al contrario le condizioni potevano peggiorare. Per il futuro non bisogna cadere in allarmismi legati al bail in: il dissesto di un istituto di credito resterà un’eventualità rara, ancor di più se ripartirà l’economia. In ogni caso quanto avvenuto per Banca Marche, Etruria, Carife e CariChieti farà aumentare la consapevolezza dei risparmiatori sul nuovo modello di gestione delle crisi. Le banche italiane, che ora potrebbero pagare un prezzo in termini di costo della raccolta, sono chiamate a un maggior sforzo informativo. Riguardo ai bond più rischiosi, Via Nazionale ha invitato gli istituti a «riservare gli strumenti di debito diversi dai depositi agli investitori più esperti, soprattutto quando si tratta di strumenti subordinati». Banche e clienti dovranno perciò adeguarsi alle nuove regole europee, peraltro volute proprio dai Paesi (come la Germania) che hanno utilizzato decine di miliardi di aiuti di Stato per far fronte alle perdite degli istituti domestici. (riproduzione riservata)

MF-MILANO FINANZA martedì 24 novembre 2015

Chi ha sbagliato deve pagare – La direttiva sulla risoluzione dei dissesti bancari impone una sorta di tassa a chi ha affidato i propri risparmi a una banca. Bankitalia dovrebbe avvertire i correntisti dei rischi di crack

di Paolo Savona

La Commissione Europea ha autorizzato l’operazione di salvataggio delle quattro banche italiane in crisi perché riduce «al minimo l’uso dei fondi pubblici e le distorsioni della concorrenza». Il governo ha deciso di varare un decreto che integra il quadro normativo affinché l’operazione potesse realizzarsi.

Guido Carli era solito ripetere che i costi dei ritardi nel prendere decisioni superano di molto quelli del danno da riparare. Nel caso specifico, parte di questi ritardi nascono dall’incontro di due confusioni, la normative italiana per la risoluzione delle crisi e il trattamento previsto dalla nuova direttiva europea, che il commissario Ue alla Stabilità Finanziaria, Jonathan Hill, ha promesso di cambiare. In proposito gli avevo indirizzato una lettera aperta da queste colonne ed egli mi ha fatto contattare dalla sua segreteria chiedendomi chiarimenti; in precedenza il presidente della Bce Mario Draghi mi fece dare precisazioni sul suo operato a seguito dei miei commenti. Sottolineo questi fatti perché in Italia i titolari dei poteri non si sognano minimamente di accettare un dialogo anche su fatti molto importanti. Essi sanno ciò che devono fare perché, come suol dirsi, sono nati preparati. La mia reazione alla notizia che la direttiva sarebbe stata emendata era dovuta all’eccessiva prossimità dell’annuncio rispetto al varo della decisione in materia e alla lunga discussione che l’aveva preceduta; ho quindi chiesto di conoscere chi, a Bruxelles come a Roma, era responsabile d’averla varata in modo così superficiale. Non credo riceverò risposta. Senza questi accertamenti la politica non migliorerà mai, perché resta in mano di chi ha fatto scelte sbagliate, che inevitabilmente opererà per difenderle, integrandole «d’urgenza». Ovviamente non dispongo dei documenti richiestimi, ma ho ben presente i contenuti delle obiezioni che ho sempre rivolto alla direttiva quando era ancora in fieri. A suo tempo ho cercato inutilmente di convincere Tesoro e Banca d’Italia che il meccanismo non poteva funzionare, né quello allora vigente né quello che andava delineandosi a Bruxelles. Le banche sono caricate di un peso potenzialmente imprevedibile; per quelle quotate in borsa il fatto è ancora più grave perché non possono stabilire i fondi riserva da porre in bilancio. Potrebbero esserci gli estremi del falso in bilancio. Questo problema è stato avanzato da banche estere operanti in Italia ed è tuttora privo di risposta. Le mie obiezioni sull’attuale regime di protezione dei depositi riguardano: la definizione di deposito garantito, avendo riscontrato abusi; l’entità e le forme di copertura del rischio garantito; l’esclusione del Fondo in sede di accertamento delle perdite, compito assegnato al commissario straordinario di nomina Banca d’Italia (non mi si vengano a dire che lo fa il Tesoro solo perché firma); la decisione della soluzione delle crisi è in mano alla Banca d’Italia; i modi di costituzione delle riserve finanziarie per gli interventi e soprattutto quelli di loro ricostituzione dopo l’uso, un vero pozzo senza fine (il problema è ignorato anche nel decreto legge varato l’altroieri). Il meccanismo è oggi caratterizzato dalla dissociazione tra chi esercita il potere decisionale e chi sopporta la responsabilità finanziaria, incoerente con la logica dei contratti nel codice civile.

Il caso dell’intervento del Fondo Interbancario di Tutela dei Depositi nella banca Tercas presenta molti aspetti della problematica indicata. La proposta che il commissario della banca in amministrazione straordinaria aveva inoltrato al Fondo, priva di documentazione, era stata considerata irricevibile; questo giudizio è stato messo per iscritto, cosa che, per pavidità, in Italia non si fa mai. L’Abi, che oggi mostra preoccupazione per gli effetti della direttiva europea approvata «di corsa» dal Parlamento, ha le sue responsabilità per non essere stata capace di tenere a freno funzionari delle grandi banche inadeguati a valutare gli interessi generali del sistema bancario, distratti da piccoli particolari gestionali o mossi da interessi personali di vario tipo. L’intervento deciso dalla Banca d’Italia con la collaborazione del Fondo, congiuntamente con le altre tre banche in crisi, è stato inizialmente sommerso da una serie esagerata di obiezioni della Commissione, ora rientrate, ma scripta manent; tra esse ve ne sono alcune di quelle da me sollevate, meno una: che la Banca d’Italia, in qualità di organo vigilante della banche e di co-decisore delle politiche monetarie, non può esercitare la funzione di organo per la soluzione delle crisi, perché queste possono essere il risultato congiunto di errori nell’espletamento di questa sua duplice funzione. Se guida il gioco, come da noi è possibile e come la direttiva europea consente sorvolando sul problema del conflitto di interessi, deve metterci del suo o farsi dare dal governo una quota delle perdite bancarie per ragioni di giustizia distributiva e per salvaguardare la stabilità del sistema bancario, come accadeva in passato con la direttiva Ventriglia, che ha ben operato nella precedente grave crisi.

In breve, chi sbaglia paga e a farlo non debbono essere chiamati solo gli azionisti e gli obbligazionisti, ma tutti quelli che hanno concorso all’evento. La soluzione per un’equa ripartizione è quella degli Stati Uniti, ossia un Fondo Tutela Depositi su basi assicurative e premio stabilito sul rischio statisticamente calcolato; quando le perdite mettono in crisi il Fondo, deve intervenire lo Stato. In questo modo si supererebbe l’obiezione che il sistema attuale è su basi mutualistiche proporzionali; non c’è cosa in Italia che non trascini il problema della solidarietà sociale. È pur vero che lo stesso rifiuto «in via preliminare» della Commissione di dare l’autorizzazione all’intervento era tutto centrato sul tema degli aiuti di Stato e quindi, la mia soluzione di compartecipazione alle perdite bancarie da parte delle autorità incapperebbe in queste obiezioni. Ma appunto per questo è necessaria una revisione della direttiva superficialmente varata e altrettanto superficialmente approvata dall’Italia per dare giusta collocazione alle responsabilità delle crisi. Nessuno forse ricorda che la prima stesura della direttiva precisava che lo scopo era impedire che le crisi bancarie sistemiche si riversassero sui bilanci pubblici e non invece proteggere i risparmiatori «sprovveduti» di informazioni, individuati pragmaticamente nei possessori di un deposito fino a un massimo di 100 mila euro; questo concetto si è perduto per strada, ma deve restare il punto centrale del sistema di garanzia dei depositi, mentre oggi non lo è più. Anzi, è stato introdotto il principio che gli «sprovveduti» possano essere chiamati a concorrere per coprire le perdite di una banca, qualora le altre passività non fossero sufficienti; questa soluzione è stata presa senza aver prima garantito un’informazione adeguata per toglierli dalla sprovvedutezza. Chi dovrebbe provvedere se non Banca d’Italia a informare il depositante, soprattutto se volesse chiamarsi fuori dalle responsabilità? La decisione equivale a porre una potenziale tassa sui depositanti che essi non sono in condizione di conoscere a priori e, per la sola esistenza della possibilità di essere chiamati a versarla, viene violato il principio fondante della democrazia, secondo il quale non può esservi imposizione fiscale se chi la subisce non partecipa alla decisione. Parlamento e presidente della Repubblica hanno valutato tale aspetto? Considero inutile cimentarmi nella presentazione di un progetto sensato che corregga quanto fatto, perché in Italia interessa solo se un’idea proviene da chi ha potere politico ed economico per imporla, vivendo in un periodo in cui tutte le vacche sono nere (e si procede per tamponamenti). Certo, per cortesia farò avere al commissario Hill le mie riflessioni, e scuserà se avanzo in pubblico tali considerazioni, in quanto mosso da un dovere sociale che nessuno adempie.

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