Al momento di andare in stampa, disponiamo di un quadro generale sufficientemente chiaro per esprimere una valutazione complessiva sulla manovra economica, varata dal Governo presieduto dal Sen. Prof. Mario Monti. Tuttavia, una volta approvata la versione definitiva, sarà necessario tornare a valutarne diversi singoli aspetti.
La manovra governativa, in linea di principio, è politicamente necessaria, in un quadro di stabilizzazione degli assetti economici europei che, dopo un periodo segnato da una sostanziale inerzia, devono vedere un ritorno del nostro Paese al ruolo che gli compete.
Questo riconoscimento non ci impedisce, però, di evidenziare e stigmatizzare quei provvedimenti e quelle disposizioni che meno convincono sotto il profilo della giustizia, dell’equità sociale, dell’insufficiente orientamento allo sviluppo, dello scarso coraggio nel mettere mano a perduranti contraddizioni determinate dall’evasione fiscale o dai costi della politica, dalla crescente disoccupazione.
Intanto, la credibilità di un Governo, pur battezzato come “tecnico”, si misura dalla sua effettiva capacità di incidere sulla realtà, dal saper essere interlocutore delle forze sociali e del Parlamento e, di conseguenza, di essere percepito come autorevole anche dai mercati. E non il contrario. La rassegna dei provvedimenti dimostra che vi sono misure inique ed ingiuste, misure incomplete, misure mancanti… Iniziamo, quindi, da ciò che non convince: l’inasprimento feroce dei requisiti anagrafici e contributivi per l’accesso alla pensione, in particolare per le donne, ed il blocco del recupero inflattivo; la reintroduzione della tassazione della prima casa con la simultanea rivalutazione delle rendite catastali (senza, per esempio, far pagare l’im- posta anche al Vaticano sugli edifici non adibiti al culto); l’ennesimo aumento dell’imposta su benzina e gasolio e l’incremento dell’addizionale regionale Irpef; i nuovi bolli titoli che colpiscono le diverse forme di risparmio; l’aumento di due punti delle aliquote Iva.
Il capitolo Pensioni risulta particolarmente pesante. Qui, si è materializzato uno spettro, spesso evocato, ma sino ad ora respinto: dal 2012, infatti, l’accesso alla pensione dovrà avvenire con 42 anni ed 1 mese di contributi, 41 ed 1 mese per le donne, oppure con un’età minima di 66 anni. Si aggiunge, inoltre, il blocco della rivalutazione per l’inflazione per gli assegni superiori a 935 euro mensili (!!!). Dopo anni di sacrifici, i lavoratori, compresi quelli che potrebbero vantare diritti maturati secondo le logiche di garanzia proprie dello Stato di diritto, vedono cancellate le legittime aspettative e differito ed allontanato, di anni e senza appello, il momento del giusto ritiro.
All’età avanzata si aggiunge il dimagrimento sostanziale delle rendite percepite che, senza equivoci, si traduce in un impoverimento delle famiglie. Non occorre far ricorso ad espressioni teatrali per constatare, in tutta la loro brutalità, i devastanti effetti sociali di questi provvedimenti, provvedimenti che calano la scure per fare cassa su un sistema previdenziale che, invece, andava corretto con differente gradualità e con un maggiore livello di tutela e salvaguardia dei redditi più bassi.
Va anche considerato che l’allontanamento indiscriminato del momento del pensionamento (e, quindi, del ritiro dall’occupazione) rallenta il ricambio generazionale e l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro, creando un limbo prolungato. Per i giovani, l’attesa del posto di lavoro rischia di trascorrere, logorati dall’ansia, nella delusione per il mancato utilizzo delle proprie risorse intellettuali e con una logica perdita di slancio vitale, mentre, per i più anziani, sarà obbligatorio contrastare il naturale declino psico-fisico.
Che cosa faranno le aziende? Cederanno alla forte tentazione di contrastare, nei fatti, questi fenomeni, suscettibili di determinare fisiologici cali di produttività, con la ciclica individuazione di esuberi e lavoratori “eccedentari”? Queste non sono note profetiche, ma amare deduzioni frutto della difficile esperienza vissuta in questi anni di crisi.
Spesso, dietro intenti “nobili e positivi”, apparentemente motivati da stati di necessità, possono celarsi i disegni cinici e antisociali di coloro che, pretestuosamente, vogliono fermare i diritti dei lavoratori, bloccare le conquiste, incrementare profitti in danno della collettività.
Le stesse ragioni accampate da chi – come nel caso del contratto di Lavoro dei Bancari – ostacola legittimi rinnovi negoziali, giustificando una condotta, di fatto, anti-sociale, con la mendace scusa della crisi.
Atteggiamenti e comportamenti di questo genere vanno smascherati, denunciati e contrastati sul piano sia sindacale sia politico, in nome della responsabilità che sappiamo di portare e della quale siamo perfettamente consapevoli. Così come – potete esserne certi! – solleciteremo modifiche e faremo sentire alta la nostra voce in tutte le diverse situazioni sociali, aziendali e di gruppo nelle quali saremo chiamati a misurarci.
Sarebbe opportuno anche ricordare che cosa manca nella manovra, vedi l’assenza di misure per rilanciare l’economia o politiche efficaci a tutela della famiglia: su questo argomento torneremo sicuramente, molto presto. Indispensabile, invece, a riprova della nostra oggettività, ricordare una norma che esiste e, ci auguriamo, non scompaia o venga emendata: quella sulle incompatibilità.
L’articolo 36 punta a mettere la parola fine agli incarichi incrociati negli organi decisionali di banche, assicurazioni e società del risparmio gestito, vietando di assumere analoghe posizioni in imprese o gruppi concorrenti.
Già l’antitrust aveva, nel 2009, evidenziato che circa l ‘80% dei gruppi esaminati aveva, nei propri organismi consiliari, soggetti con incarichi anche in società concorrenti.
Insomma, se la norma passerà, i doppi e tripli incarichi saranno, finalmente, un ricordo.
Post Scriptum
Non sono uno specialista in profezie, ma…ci sono personaggi che, a volte, ritornano in auge. Ricorderete che, spesso, nel recente passato, ho denunciato gli strani intrecci (eticamente parlando) tra top manager di società di consulenza e dirigenti e amministratori Delegati di Banche e Istituti finanziari. Ebbene, questi intrecci che legano a doppio filo dirigenti e società di consulenza – per esempio, nell’ambito della ricerca di Top manager (executive search) – hanno di recente avuto un’ulteriore conferma. Luca Maiocchi, ex amministratore delegato di Seat Pagine Gialle dal 2003 al 2009 e, prima, manager di spicco in Unicredit (in quota Profumo), è entrato a far parte di “Spencer Stuart”, primaria società, vero colosso, di cacciatori di teste. Qui, il brillante Maiocchi (dirigente tra i più pagati di Piazza affari, con una buonuscita di 7,9 milioni di euro) si occuperà proprio di “sviluppo del business con particolare riferimento ad Istituzioni finanziarie, private equità e media”.
Un privilegio per la comunità economica, che potrà avvalersi del frutto di tante, gloriose, pregresse esperienze professionali, o puro e semplice conflitto di interessi?
Il Governo Monti rimarrà in carica, probabilmente, per tutta la durata del mandato, fino al 2013. Siamo arrivati a dover gestire una situazione di grande crisi anche per colpa di una classe politica che, salvo rarissime eccezioni, si è sempre dimostrata completamente inadeguata. La “storiella”, che tanto ap- passiona i mass-media, che il Governo Monti sia un esecutivo “tecnico”, mi fa semplicemente sorridere: non c’è niente di più politico di un governo che annovera, nei ministeri più importanti, ex banchieri e autorevoli esponenti della finanza. L’abilità, se così posso definirla, dell’ex banchiere Passera, ora Ministro dello Sviluppo Economico e Infrastrutture e Trasporti, è stata anche quella di saper sempre proporsi alla guida di aziende o enti in gravi difficoltà economiche: è stato così in Poste Italiane, nel Gruppo Intesa e, ora, al governo.
Un giorno, non troppo lontano, approfondiremo la gestione Passera nel Gruppo Intesa dal 2000 ad oggi, gestione che ha visto circa 20.000 lavoratori bancari lasciare, volontariamente o no, il proprio posto di lavoro.