Si è sempre detto, le banche si devono difendere dall’avanzata del fintech. E, per anni, è stato effettivamente così, un gioco esclusivamente in difesa. Con gli istituti di credito ingessati e impegnati a limitare i danni per la concorrenza sempre più agguerrita di altri soggetti. Prima il BancoPosta ha introdotto nuovi prodotti e servizi finanziari con una presenza capillare sul territorio, poi gli operatori nativi digitali hanno cambiato il mercato, incentivando indirettamente la chiusura di filiali e facendo accumulare esuberi. Ora però il vento ha preso una direzione diversa. Come dimostrano i nuovi piani industriali delle due principali banche italiane, Intesa SanPaolo e Unicredit.

Il fintech non è più solo un mondo fatto di concorrenti ma anche di opportunità. Con un approdo che sarà naturale: le grandi banche saranno anche grandi operatori fintech. E la sfida è accompagnare questa trasformazione con una gestione delle relazioni sindacali che consenta di assecondare il cambiamento senza pagare un costo sociale insostenibile. La chiave devono essere le competenze, con assunzioni mirate e con la formazione, indispensabile per riconvertire il bancario da sportello in un consulente digitale.

Certo, l’operazione non può essere a impatto zero, come dimostra il saldo tra entrate e uscite previste nei principali gruppi bancari. Secondo i dati raccolti dalla Fabi, il sindacato più rappresentativo del settore, Intesa SP nel piano 2022/2025 prevede 4600 assunzioni a fronte di 9200 uscite; Unicredit, nel piano 2022-2024, indica 1725 nuovi ingressi rispetto a 1200 uscite. Proprio l’accordo raggiunto sul piano del nuovo ceo Andrea Orcel dimostra come il fattore umano in una banca che cambia sia fondamentale e come il fintech non possa prescindere da competenze specializzate. Bper, in attesa del nuovo piano industriale, si è mossa in termini di riorganizzazione. Il gruppo è passato da 13mila a 18mila dipendenti per effetto dell’operazione Ubi e prevede extra piano 550 nuovi ingressi a fronte di 1100 uscite. BancoBpm ha trovato un accordo per 1600 uscite a fronte di 800 ingressi (entro il 2022) prima della presentazione del piano industriale a novembre del 2021 che non prevede ulteriori esuberi fino al 2024. Credit Agricole e Mps si muovono su numeri simili: 420 assunzioni e 1100 uscite per il gruppo francese in Italia, 300 ingressi e 1510 esuberi per la banca di Rocca Salimbeni, secondo il piano 2017/2021.

Lando Sileoni, segretario della Fabi, individua le condizioni indispensabili perché questi numeri possano essere gestiti. Primo, lo dice chiaramente, “la sicura guida di Draghi a Palazzo Chigi nei prossimi 14 mesi garantirà, con la sua esperienza e autorevolezza, il buon esito delle aggregazioni che verranno, a partire da quella che riguarderà Mps, e conseguentemente la tenuta complessiva del sistema”. Poi, ragiona il sindacalista, “vanno garantiti i nuovi mestieri, per non scendere sotto la soglia dei 250mila addetti”. Si può fare. “Se i prepensionamenti restano volontari, se si evitano i licenziamenti e si ragiona in termini di una assunzione ogni due uscite, siamo disponibili a trovare le soluzioni”.

Se il quadro è sicuramente complesso, il piano di Intesa Sanpaolo appena presentato presenta alcuni elementi di novità significativi. Tra i principali obiettivi indicati, la riduzione strutturale dei costi grazie alla tecnologia: saranno rafforzate le proposte omnicanale, sarà creata una nuova banca digitale (Isybank) e si continuerà ad investire fortemente in tecnologia, anche attraverso partnership con top fintech e player di intelligenza artificiale. È un percorso che si può fare estendendo a tutti le competenze che servono. Le assunzioni di 4.600 giovani saranno mirate e la formazione, tra reskill e upskill, riguarderà 8mila bancari: circa 2.600 persone saranno destinate alla Filiale Digitale, 4.000 alla tecnologia (digitale, dati e analytics), 3.500 alle iniziative prioritarie (Pnrr, crescita dell’attività, riduzione del profilo di rischio) e 2.500 ad altro (Esg/Impact Banking, funzioni di controllo, turnover).

Anche guardando più nello specifico alla prima banca italiana, Sileoni è piuttosto chiaro. “Vanno garantiti i posti di lavoro in Italia, a differenza di quanto avvenuto nel resto d’Europa dove si sono persi 400mila addetti negli ultimi 7 anni. Poi vanno portate le nuove professioni all’interno del contratto nazionale, che va cambiato”. E questo è un passo importante. “I tempi della discussione del piano di Intesa e la scadenza del contratto, a fine 2022, coincidono. Devono essere garantiti tutti i lavoratori, quelli che scelgono lo smart working e quelli che vengono ricollocati, come gli 8mila previsti dal piano di Intesa. Alla instabilità, ai licenziamenti come in Europa, preferiamo la stabilità e la sicurezza dei posti di lavoro in tutti i gruppi a cominciare da Intesa”, spiega il segretario della Fabi.

Resta però un tema che riguarda gli altri, perché le banche di medie dimensioni sono in affanno, proprio nella transizione verso il fintech. E se l’emergenza della pandemia ha imposto una accelerazione, “ha spinto a trovare il tempo e le risorse necessarie per difendersi dalle aggressioni esterne” sintetizza Sileoni, la trasformazione digitale delle banche passa per le professionalità che si riescono a portare dentro e per quelle che si riescono a far crescere. I bancari servono alle banche anche per diventare fintech.