Per il segretario generale Fabi “non c’è più bisogno di aggregazioni, il sistema italiano funziona bene così com’è” perché “il buon andamento dei conti dimostra la buona salute degli istituti”. Proposta all’Abi per il nuovo contratto.
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– di Mauro Romano
Le semestrali 2018 delle banche hanno finalmente tutte numeri positivi, e Lando Maria Silenoni, segretario generale della Fabi, il principale sindacato dei lavoratori bancari, non manca di registrare con soddisfazione il dato. «Oggi è indispensabile una sana e corretta gestione delle banche: lo chiede la Bce e lo chiedono i cittadini. Lo chiediamo da sempre anche noi perché vogliamo mantenere e rilanciare i livelli occupazionali. È evidente che la crisi decennale con forti perdite per effetto delle rettifiche dei crediti in sofferenza è ormai finita. E questo non può che farci piacere. Le banche hanno saputo resistere grazie allo sforzo dei lavoratori e degli azionisti. Sono stati sottoscritti aumenti di capitale dal 2007 per oltre 70 miliardi di euro. E poi ci sono stati gli esuberi volontari per prepensionamento (senza licenziamenti di massa grazie al fondo di solidarietà del settore voluto fortemente dal sindacato) per 40mila bancari, stiamo parlando di oltre il 10% della forza lavoro con un risparmio di costi per il sistema di 3 miliardi».
Domanda. Quello del costo del lavoro è ancora un problema?
Risposta. No, perché la caduta dei ricavi è stata compensata proprio dal taglio dei costi. Oggi la struttura di conto economico è efficiente con le prime due banche italiane che hanno un cost/income (è il principale indicatore di redditività di una banca: più è basso e più è positivo) ben al di sotto della media delle banche europee. Intesa è scesa nel secondo trimestre sotto il 50%, un record a livello continentale. UniCredit è vicina alla soglia del 50%. Mentre Ubibanca, Banco Bpm e Mps sono oggi in linea con la media europea. Conseguentemente al prossimo rinnovo del Contratto nazionale chiederemo adeguati aumenti economici per tutti i lavoratori.
D. Resta il nodo delle sofferenze. E la vigilanza europea continua a chiedere una marcata riduzione agli istituti italiani.
R. Il calo delle svalutazioni delle sofferenze è forte ed è continuato anche nella prima metà del 2018. Se non ci saranno ottuse strette normative sulla cessione degli Npl, il percorso verso il rientro a parametri in linea con l’Europa è atteso entro 2-3 anni. Si chiude la forbice con l’Europa e il rischio Npl torna nella normalità.
D. Vede pericoli particolari, all’orizzonte?
R. I ricavi sono tornati a crescere grazie soprattutto alla spinta delle commissioni da risparmio gestito. I pericoli sono ora solo esterni. Oggi solo un’impennata violenta dello spread o un irrigidimento regolatorio ulteriore sugli Npl possono far deragliare il percorso di ritrovata salute delle banche italiane. L’aumento dello spread avrebbe impatto sui valori dei Btp in pancia alle banche con perdite implicite e un irrigidimento regolatorio sugli Npl porterebbe a cessioni frettolose con nuove perdite a conto economico.
D. Come valuta gli assetti odierni e futuri dell’industria bancaria?
R. Oggi il sistema è tripartito. Due colossi del credito Intesa e UniCredit; un plotone di banche medie e la rete delle banche del territorio, poi le bcc. Intesa e UniCredit sono nella serie A europea da tempo e ci rimarranno: fanno insieme metà del mercato dei prestiti a famiglie e imprese, metà dell’attivo bancario del Paese. In scala europea sono ben posizionate e superano per qualità delle performance i colossi tedeschi e inglesi. Il Roe (risultato netto rispetto al capitale) di UniCredit si avvicina al 10% e quello di Intesa è all’8%. Il Roe medio in Europa è al 5-6% con le banche tedesche Deutsche e Commerz con redditività vicina a zero.
D. Entriamo nel dettaglio, a cominciare da Intesa e Unicredit.
R. Intesa vanta solidità, liquidità e redditività tra le prime in Europa. Unico vincolo strategico per il futuro è che Intesa è molto concentrata sul mercato italiano. Oggi è la banca con la più forte capacità di cross selling, cioè vendere più prodotti possibili allo stesso cliente, e vuole diventare un protagonista del mercato assicurativo. Ma prima o poi dovrà trovare uno sbocco in Europa. Lo potrà fare da una posizione di forza, ma occorre trovare la banca giusta perché l’operazione sia di successo. Unicredit ha vocazione internazionale, soffre meno della dipendenza dal mercato domestico e sotto Mustier ha fatto una profonda pulizia di bilancio. Ma ha l’azionariato estero dominante e i vertici pensano a una fusione transnazionale (in Francia) che potrebbe portare il gruppo fuori dei confini domestici.
D. A parte i big, che hanno i fondamentali a posto, bisogna capire qual è il destino delle medie: molti spingono nella direzione delle fusioni.
R. Le fusioni a tutti i costi sono un errore strategico. Analisti, osservatori e regolatori spingono per un’ondata di fusioni tra le banche sotto la taglia dei due big del credito. Il modello è quello europeo. Poche grandi banche universali come in Francia, Spagna e Gran Bretagna. Ma è una visione da capitalismo anglosassone puntato tutto sull’efficienza, sulle economie di scala e sui tagli di costo. In sintesi pochi grandi oligopoli tesi solo alla profittabilità. Questo accontenta gli azionisti, ma non i lavoratori e il rapporto con la clientela.
D. Sta dicendo che i matrimoni sono un comodo alibi per tagliare personale e costi?
R. Spesso è così. E di fronte a quest’atteggiamento va rimarcata tutta la perplessità del sindacato. Le fusioni non sempre sono storie di successo. Inoltre non si fanno i conti con la realtà italiana. Rispetto al resto d’Europa il sistema produttivo italiano è frammentato e molto dipendente dal credito bancario. Il 90% dell’industria italiana è fatto di piccole e medie imprese con pochi milioni di euro di fatturato. Il rapporto con questi clienti è personalizzato da chi li conosce. Immaginate un colosso del credito con mille miliardi di attivo che si occupa del merito di credito di miriadi di aziende con pochi milioni di euro di fatturato. Quel cliente non sarà seguito e sarà abbandonato a se stesso. Solo le banche che stanno sul territorio hanno capacità e conoscenza per seguirli. Il modello delle mega-aggregazioni sarebbe un danno per il Paese. L’intervento del Governo rispetto alle banche di credito cooperativo è positivo.
D. Si parla di una nuova commissione d’inchiesta sulle banche. È d’accordo?
R. Rispettiamo le scelte del Parlamento, che è sovrano. La Commissione, però, non deve diventare uno strumento per criminalizzare permanentemente il settore. Anche perché ci sono 285mila lavoratori in Abi e 37mila lavoratori nelle bcc che sono bancari, ma anche elettori. Sui recenti scandali mi auguro che la magistratura faccia presto e punisca severamente chi ha commesso reati. In giro c’è ancora chi urla al complotto e alle presunte manovre di poteri forti. Molto spesso le teorie complottistiche vengono utilizzate per coprire le proprie incapacità. Presentare i «poteri forti» come la causa di tutti i mali mi sembra semplicistico, soprattutto quando serve a giustificare comportamenti chiaramente inopportuni.
D. Questa stagione è stata caratterizzata ancora una volta dal risparmio tradito. Gli indennizzi alla clientela sono ancora in alto mare.
R. Abbiamo fatto qualche ragionamento attorno ai conti dormienti, che scadono a ottobre e potrebbero essere utilizzati proprio per completare i rimborsi a risparmiatori e investitori truffati. La stima del denaro che dovrebbe confluire al fondo statale è di un miliardo e la cifra mi pare adeguata.
D. Tra poco entra nel vivo la trattativa per il rinnovo del contratto nazionale di lavoro. Avete già in mente proposte precise?
R. Saranno tre i temi centrali, che approfondiremo dal 3 al 5 dicembre a Milano quando – in occasione del 124° Consiglio nazionale – festeggeremo il 70° compleanno della Fabi: aumenti economici, difesa e rilancio dell’occupazione (nuove professioni e nuovi mestieri), difesa e rilancio dell’area contrattuale. Fin qui il merito e vedremo cosa aggiungere insieme ai nostri duemila delegati sindacali presenti. Poi abbiamo una proposta anche sul metodo delle trattative: chiederemo che tutte le sedute del negoziato siano videoregistrate e accessibili ai diretti interessati. Così gli impegni presi tutti insieme, non potranno essere smentiti appena usciti dalla porta. Tutte le sedute dei Consigli comunali, dei Consigli regionali, dei cda delle banche vengono registrate e non capisco perché non si possa fare lo stesso in Abi. Sono curioso di vedere chi accetterà questa proposta e chi si tirerà indietro.