Gli ultimi piani industriali prevedono circa 22mila esuberi e intanto calano anche gli sportelli. Grazie al Fondo di categoria, le uscite saranno però solo su base volontaria. Sileoni: “Ecco perché il nostro ammortizzatore sociale non si tocca”.
ESUBERI E SITUAZIONE MPS IL SERVIZIO DEL TG 3 CON I DATI DELLA FABI
Il servizio del TG3 di RAI 3 sulla situazione degli esuberi previsti nel settore del credito, il Fondo Esuberi e la situazione del Gruppo MPS con i dati forniti dalla FABI. Il servizio è andato in onda su RAI 3 sabato 12 agosto 2017 nel TG3 delle ore 19.
Avvenire 13/08/2017
Sindacati contrari a modifiche al Fondo per gestire gli esuberi – Bancari in ansia per il Fondo esuberi – Mazza Luca
Banche Sindacati contrari a modifiche al Fondo per gestire gli esuberi MAllA A PAGINA 15 Bancari in ansia peril Fondo esuberi Il sindacato Fabi: non si tocchi o sarà guerra. Nei piani previste 22mila uscite II sistema si è autofinanziato l’ammortizzatore per anni, poi le difficoltà hanno richiesto anche un contributo pubblico inserito in legge di Stabilità LUCA MAZZA per adesso è solo un sospetto, nulla di più. Ma il dubbio crea uno stato d’ansia che su •edscedisegnalare per tempo il pericolo. Per mettere in chiaro che un’eventuale cancellazione dello strumento – con cui finora le uscite anticipate dei lavoratori sono state accompagnate in maniera “morbida” – scatenerebbe un vero e proprio putiferio. Nel pieno dell’estate la Federazione autonoma dei bancari italiani (Fabi) lancia l’allarme sul futuro occupazionale del settore. Il Fondo esuberi dei bancari «non deve essere toccato» altrimenti «sarà guerra», è l’annuncio che ha il sapore dell’avvertimento del segretario generale della Fabi, Lando Maria Sileoni. 11 sindacato alza le barriere contro le incognite sollevate da qualche banchiere sulla sostenibilità di questo strumento, frutto di un accordo con le parti sociali datato 2000, e completamente finanziato dalle banche. Di fronte alla possibilità di rivederne i termini o trovare un’alternativa Sileoni è netto: «II Fondo esuberi non si tocca – ribadisce – e se qualcuno vuole metterlo in discussione troverà il muro». La Federazione sottolinea come «grazie a questo Fondo» siano stati evitati licenziamenti dolorosi e realizzato invece un minimo di ricambio generazionale. Con un’assunzione ottenuta in cambio di una certa quantità di uscite. Non solo: i prepensionamenti sono avvenuti «senza forzare la situazione, con un assegno previdenziale pari aquasi 1’80% dello stipendio e c’è anche un guadagno dell’azienda perché ha delle agevolazioni fiscali». Per molto tempo le banche si sono autofinanziate tale “ammortizzatore”, poi la crisi del sistema ha richiesto l’intervento pubblico. Proprio per questa ragione nella legge di bilancio 2017 è stato inserito un contributo da 650 milioni di euro per la gestione delle uscite del personale bancario. Del resto, siamo di fronte a numeri di una certa entità. In base ai dad forniti dalla Fabi all’Agi sono oltre 22.000 gli esuberi già definiti nel settore dagli ultimi piani industriali dei principali gruppi italiani, a fronte di quasi 3.600 nuove assunzioni. Sul totale incidono soprattutto i tagli delle banche più grandi. In Unicredit l’ultimo piano (2019-2014) prevede 3.900 uscite volontarie. A febbraio scorso è stata infatti sottoscritta l’intesa su questo numero di dipendenti usando il Fondo di solidarietà fino a 54 mesi. Le nuove assunzioni invece ammontano a 2.000. Il gruppo Intesa-Popolari venete nel piano 2017-2019 contempla 3.900 uscite volontarie di cui circa 1.000 nelle Popolari venete e la chiusura di 600 sportelli. L’acconto raggiunto con Intesa Sanpaolo, nell’ambito dell’integrazione con le venete, estende l’uso del Fondo fino a 84 mesi per la prima parte da 1.000 esuberi e a 60 mesi per la seconda tranche da 3.000 uscite. Mps nel piano al 2021 conta ben 5.500 uscite volontarie di cui 1.800 già concordate con i sindacati. Il Gruppo Ubi da qui al 2020 mette in conto 2.750 uscite volontarie a cui si devono sommare le 1.500 delle tre good bank (ex banca Marche, Banca Etruria e Carichieti). Anche il gruppo Banco-Bpm mette nero su bianco nel piano 2016-2019 1.800 uscite a fronte di 400 nuove assunzioni. Numeri meno pesanti, ma pur sempre da segnalare, sono presenti nel piano al 2020 del gruppo Bnl che definisce 783 uscite. Mentre sono 650 nel gruppo Carige e 585 in Bper. Forte preoccupazione per il calo della forza lavoro nelle banche era stata esternata, prima ancora che della Fabi, poche settimane fa, dalla Fast Cisl, che aveva calcolato circa 17.500 esuberi definiti soltanto nei primi sette mesi dell’anno. «È un’ecatombe occupazionale», aveva sottolineato il segretario generale, Giulio Romani. Il costo netto stimato per il sistema bancario è superiore ai 2 miliardi, escluse le uscite di Intesa Sanpaolo sostenute da 1,2 miliardi del governo per il salvataggio delle banche venete. O i.iowno. mienu *** II gruppo Intesa-Popolari venete nel piano 2017-2019 prevede 3.900 uscite volontarie di cui circa 1.000 nelle Popolari venete e la chiusura di 600 sportelli. L’accordo raggiunto con Intesa Sp, nell’ambito dell’integrazione con le venete, estende l’uso del Fondo fino a 84 mesi per la prima parte da 1.000 esuberi e a 60 mesi per la seconda tranche da 3.000 uscite Monte Paschi di Siena nel piano al 2021 conta ben 5.500 uscite volontarie di cui 1.800 già concordate con i sindacati. L’intervento pubblico, dopo il fallimento della ricapitalizzazione privata da 5 miliardi, ha garantito la stabilità dei conti della banca ed evitato il crac In Unicredit l’ultimo piano (2019-2014) prevede 3.900 uscite volontarie. A febbraio scorso e stata infatti sottoscritta l’intesa per l’uscita di guesto numero di dipendenti usando il Fondo di solidarietà lino a 54 mesi. Le nuove assunzioni invece ammontano a 2.000. ***
Giornale 13/08/2017
Le banche proseguono la dieta 22mila esuberi e meno sportelli
I PROBLEMI DEL CREDITO Le banche proseguono la dieta 22mila esuberi e meno sportelli Dopo la statalizzazione di Mps, resta il nodo delle 3 Casse 7.000 Sono gli sportelli bancari chiusi negli ultimi sette anni, per una flessione del 26,2 per cento Il Monte Paschi sta per finire nelle mani dello Stato, salvato dal baratro del bail-in utilizzando 5,3 miliardi dei contribuenti italiani, e Intesa Sanpaolo ha da poco rilevato per un euro la parte «sana» di Veneto Banca e di Popolare Vicenza, ma a circa venti mesi dal deflagrare della crisi di Etruria e C (era novembre 2015) il nostro sistema bancario non ha ancora risolto tutti i suoi problemi. Non solo c’è il contraccolpo sui bilanci degli istituti di credito (come ha dimostrato anche il giro di boa delle semestrali) delle perdite subite dal Fondo Atlante, ma restano da sistemare le tre Casse di risparmio in crisi (Rimini, Cesena e San Miniato) – per le quali si è fatto avanti il Credit Agricole, che in Italia già controlla Cariparma. Senza dimenticare che in autunno la Borsa dovrà affrontare la ricapitalizzazione di Carige, che necessita di 560 milioni per rispettare i paletti della Vigilanza Unica. Più in generale l’intero sistema del credito continua poi a essere al centro della «rivoluzione industriale» avviata qualche anno fa con l’affermarsi delle nuove tecnologie, delle mutate abitudini della clientela e (soprattutto) della stringente esigenza di tagliare i costi. A dimostrarlo sono i numeri: oltre 22mila – calcola la Fabi – gli esuberi definiti dagli ultimi piani industriali dei big sel settore a fronte di 7mila sportelli chiusi negli ultimi sette anni, per un taglio del 26 per cento. Una severa cura dimagrante, resa possibile dal Fondo esuberi. Ecco il principale sindacato dei bancari alza i toni dello scontro davanti ai dubbi emersi sulla sostenibilità dell’ammortizzatore sociale del settore: il Fondo esuberi «non deve essere toccato», altrimenti «sarà guerra», ha attaccato il leader della Fabi, Lando Maria Sileoni. Il fondo assicura ai prepensionati, quasi l’80% dell’assegno Inps. Dando uno sguardo ai piani dei singoli gruppi, Unicredit prevede 3.900 uscite volontarie, così come il «neo gruppo» Intesa Sanpaolo/Popolari: circa mille uscite sono nelle due ex banche del nord est a fronte della chiusura di 600 sportelli (l’accordo estende l’uso del Fondo fino a 84 mesi per le prime mille uscite e a 60 mesi per le altre 3.000). Mps nel piano al 2021 conta invece 5.500 uscite, di cui 1.800 già concordate, mentre Ubi calcola 2.750 tagli, a cui sommare i 1.500 esuberi dalle ex Banca Marche, Etruria e Carichieti. Infine il Banco Bpm previsto 1.800 uscite, Bnl 783 e Carige 650. ***
La Verita’ 13/08/2017
Il circolo vizioso di mattone e banche In sette anni chiusi 7.000 sportelli – Antonelli Claudio
II circolo vizioso di mattone e banche In sette anni chiusi 7000 sportelli Il mercato immobiliare commerciale resta ancora in negativo, a differenza di quello residenziale. Gli istituti perdono garanzie e allo stesso tempo contribuiscono al calo dei prezzi con le continue dismissioni di filiali In 36 mesi hanno perso il lavoro 12.000 bancari. Altri 22.000 a raschio entro i12020 di CLAUDIO ANTONEW • Crac, salvataggi pubblici, bail in. Gestioni pessime o virtuose. Le banche sono sempre al centro delle cronache finanziarie, e per smorzare i picchi di rischio si è provato un po’ di tutto. Alla fine di uno degli anni più delicati (Mps e istituti veneti), resta il fatto che il modello bancario è intrinsecamente in crisi. Oggi allo sportello si va sempre meno: Internet ha soppiantato le funzioni di migliaia di bancari e così succede che ogni anno i sindacati, col coltello tra i denti, si trovano costretti ad arginare un’emorragia di lavoratori senza precedenti. Secondo i dati della mag giore sigla della categoria, la Fabi (Federazione autonoma dei bancari italiani), il settore, dal 2013 al 31 marzo 2.016, ha perso per strada u.g88 lavoratori. Un numero che si aggiunge (sempre dati Fabi) ai 22.252 dipendenti delle principali banche italiane che non avranno più il loro impiego entro il 2020. A questi, poi, si sommano altre 1520.000 persone in uscita dagli istituti minori. L’unica consdlazione è che, nel quadriennio 2o16-2020, a fronte di un’uscita di oltre 22.000 persone, sono previste nuove assunzioni per 3.57o unità. Pallottoliere alla mano, entro il 2020 oltre 50.000 persone dovranno cambiare lavoro. O riconvertirsi. I NUMERI L’altro dato impressionante riguarda il numero di sportelli chiusi. Negli ultimi sette anni le agenzie bancarie che hanno visto sbarrare le cler sono state 7.000 con una flessione del 26%. Circa un migliaio all’anno. «Non Secondo Bankitalia le attività economiche collegate alla casa valgono i140% del Fil sono scelte di strategia aziendale», ha sottolineato ieri il segretario generale della Fabi, Lando Maria Sileoni, «ma scelte obbligate per non affogare. Non chiudono per una scelta oculata, chiudono indiscriminatamente per abbattere il costo della gestione. E fino a ora se ne avvantaggiano le banche di credito cooperativo e le Poste». In realtà, a pesare sui tagli immobiliari ci sono due aspetti. Il primo è l’innovazione tecnologica e il secondo è il livello di saturazione che il nostro Paese aveva raggiunto nel 2007, quando ancora si assisteva alla corsa forsennata agli sportelli senza che ci fossero numeri a dimostrare realmente l’apporto di marginalità derivato dalle acquisizioni (e su questo i sindacati non hanno mai avuto nulla da dire). Nel 2007 le filiali erano infatti 59,1 ogni 100.000 abitanti, ogni sono 48. Numeri che evidenziano ancora oggi la forte frammentazione del sisterna del credito del Belpaese, criticata più volte dalle istituzioni internazionali e anche dal Fmi guidato da Christine Lagarde. Basti pensare che negli Stati Uniti nel 2015 si contavano 32,87 filiali ogni 1oo.000 abitanti, un numero stabile rispetto ai 34,58 del 2oo7 e questo nonostante la crisi finanziaria sia nata proprio il crac di Lehman Brothers. In Spagna, prima della cura portata avanti in parallelo con la bad bank di Stato, gli sportelli attivi erano 104 ogni 100.000 abitati, meno di uno ogni 1.o0o residenti. Oggi sono 63, e secondo molti analisti il rapporto dovrà scendere almeno di un’altra dozzina di punti In tutta questa razionalizzazione di costi e consolidamento non si tiene conto perd di un aspetto che riguarda il mercato immobiliare. La continua immissione di spazi e uffici pregiati (quali generalmente sono gli sportelli bancari) impatta negativamente sul settore commerciale. Creando una sorta di inflazione. Gli ultimi dati dimostrano che nel 2016 si è assistito lungo la penisola a una crescita dei contratti di locazione ( 15%), mentre c’è stato uno ampiamente negativo (-7,7%) nel comparto commerciale e (-6,7) negli uffici. In parole povere, il mattone rappresenta in questo momento un circolo vizioso, al quale le banche da un lato partecipano come vittime e dall’altro contribuiscono con le continue dismissioni di immobili. D’altronde è risaputo che sussiste un forte legame tra evoluzione del mercato immobiliare e stabilità finanziaria. Gli investimenti in immobili hanno orizzonti lunghi e sono finanziati dalle banche attraverso prestiti garantiti dalle stesse proprietà acquistate o costruite. Variazioni negative dei prezzi degli immobili determinano una riduzione del valore delle garanzie prestate e aumentano i rischi per le banche che hanno finanziato gli investimenti. La diminuzione della redditività delle imprese del settore si traduce in un aumento delle insolvenze. «In Italia le attività economiche collegate al settore immobiliare», scrive Bankitalia in un report dello scorso anno, .rappresentano poco meno del 40% del Pil. Il 18% del complesso dei prestiti bancari è diretto alle faie per l’acquisto di abitazioni e un ulteriore 14% è concesso alle imprese di costruzione e a quelle che svolgono attività immobiliari. La prolungata debolezza del settore immobiliare, avviatasi alla fine del 2oo6 e poi divenuta più intensa, soprattutto per gli effetti recessivi della crisi del debito sovrano, ha avuto un forte impatto sui bilanci bancari». In aggiunta, la caduta dei ricavi delle imprese di costruzione e di quelle che operano nel comparto dei servizi immobiliari si è riflessa in un forte incremento dell’incidenza del flusso dei prestiti in sofferenza sul capitale delle banche. LE FAMIGLIE «E stata invece limitata la crescita delle sofferenze delle famiglie, grazie al loro basso indebitamento», prosegue Bankitalia, «e a numerose forme di sostegno concesse negli ultimi anni ai mutuatari in difficoltà. Alcuni indicatori economici e finanziari hanno buone capacità previsive delle perdite per le banche italiane riconducibili al settore immobiliare. Analisi statistiche mostrano che l’andamento dell’incidenza dei flussi di sofferenze può essere anticipato con una buona accuratezza, per le famiglie, dal rapporto tra valore aggiunto delle costruzioni e Pil e dalla componente ciclica del numero di compravendite residenziali». Le conclusioni di Palazzo Koch sono positive. Ritiene che sulla base di tali indicatori il graduale e lento miglioramento delle condizioni del mercato immobiliare in atto da dicembre 2015 dovrebbe «portare nei prossimi trimestri a una significativa riduzione dei rischi per il sistema bancario derivanti dal settore immobiliare, sia per le famiglie sia per le imprese edili». L’ottimismo si è dimostrato molto elevato e forse un po’ eccessivo. Sebbene il trend tracciato da Bankitalia sia, a livello teorico, ineccepibile, resta da capire quanti anni ci vorranno a smaltire case vuote e costruirne di nuove senza che le banche continuino a piazzare sul mercato cartelli «vendesi».
Secolo XIX 13/08/2017
Nei piani industriali delle banche 22.000 esuberi e 3.600 assunzioni
I DATI DEL SINDACATO FABI Nei piani industriali delle banche 22.000 esuberi e 3.600 assunzioni ROMA. Oltre 22.000 esuberi già definiti nel settore bancario dagli ultimi piani industriali dei principali gruppi bancari, a fronte di quasi 3.600 nuove assunzioni. I dati aggiornati sono dlla Fabi (Federazione autonoma dei bancari italiani). II segretario generale Lando Maria Sileoni sottolinea che sono «numeri importanti, ma si tratta di uscite volontarie con l’obiettivo raggiunto di evitare i licenziamenti perpetrati in tutta Europa e di garantire il ricambio generazionale». I numeri più pesanti sono quelli riferiti dalle banche più grandi. In Unicredit l’ultimo piano (2019-2014) prevede 3.900 uscite volontarie. A febbraio scorso è stata infatti sottoscritta l’intesa per l’uscita di questo numero di dipendenti usando il Fondo di solidarietà fino a 54 mesi. Le nuove assunzioni invece ammontano a 2.000. II gruppo Intesa/Popolari venete nel piano 2017-19 contempla 3.900 uscite volontarie di cui circa 1.000 nelle Popolari venete e la chiusura di 600 sportelli. Numeri meno pesanti per Bnl, che definisce 783 uscite, mentre 650 sono gli esuberi di Carige e 585 di Bper. ***
Banche, 22 mila esuberi
Banche, 22 mila esuberi Oltre 22.000 esuberi già definiti nel settore bancario dagli ultimi piani industriali dei principali gruppi bancari italiani, a fronte di quasi 3.600 nuove assunzioni. I dati aggiornati della Fabi (Federazione autonoma dei bancari italiani). In oltre 7 anni in Italia sono stati chiusi quasi 7.000 sportelli bancari, con un flessione del 26,22%. I numeri più pesanti sono quelli riferiti dalle banche più grandi. In Unicredit l’ultimo piano (20192014) prevede 3.900 uscite volontarie. II Gruppo Intesa/ Popolari venete nel piano 201719 contempla 3.900 uscite volontarie. Monte Paschi di Siena nel piano a12021 conta ben 5.500 uscite volontarie di cui 1.800 già concordate con i sindacati ***
Il Tempo 13/08/2017
Così tecnologia e globalizzazione hanno ucciso il mito del bancario – Caleri Filippo
Fine di un’epoca Da posto di lavoro sicuro per antonomasia a scommessa Così tecnologia e globalizzazione hanno ucciso il mito del bancario Cambio Ruoli L’home banking ha portato Sempre meno contabili in banca alla chiusura di 7 mila sportelli Ora ci sono ingegneri e consulenti Filippo Caleri f.caleri@iltempo.it IN 11 posto sicuro non esiste quasi più. Resiste in alcune piccole oasi del lavoro pubblico, ma globalizzazione e tecnologia, lo hanno sicuramente già fatto estinguere nelle banche italiane. Insomma il posto in filiale, per decenni considerato una delle migliori collocazioni dal punto di vista professionale, ha perso appeal, soprattutto per le profonde trasformazioni che sta subendo il suo modello di business con l’arrivo dell’internet banking, il cui sempre maggiore utilizzo ha cambiato anche la geografia del settore. In oltre 7 anni in Italia sono stati chiusi quasi 7 mila sportelli bancari, con un flessione del 26,22%. I dati sono della Fabi (Federazione autonoma dei bancari italiani). «Non sono scelte di strategia aziendale – ha sottolineato il segretario generale Lando Maria Sileoni – ma scelte obbligate per non affogare. Non chiudono per una scelta oculata, chiudono indiscriminatamente per abbattere il costo della gestione. E fino a ora se ne avvantaggiano le banche di credito cooperativo e gli uffici postali». Nel dettaglio dal 2009 al settembre del 2016 gli sportelli sono passati da 26.431 a 19.500, con 6.931 chiusure. Una conseguenza determinata comunque dal cambio di paradigma del settore. Oggi, infatti, gli utenti sono più competenti, con la tecnologia smartphone sono sempre interconnessi, e usano i social network per interagire. Così si sono modificate le regole dell’approccio con gli utenti sempre meno presenti nelle filiali. Così in banca l’impiegato tradizionale è sempre meno necessario. Il bisogno dei consumatori non si intercetta più nelle sedi fisiche ma nei canali virtuali. E non solo per le operazioni. Anche per la tutela della reputazione aziendale, ad esempio, visto che sempre più spesso il reclamo per un disservizio non si fa allo sportello ma sulle pagine di Facebook o del social media di turno. Insomma è la multicanalità che consente maggiore velocità, servizi personalizzati e più autonomia nelle transazioni, a mettere all’angolo il core business della vecchia banca. Secondo le stime nei prossimi 5 anni il contatto tra cliente e banca avverrà dalle 20 alle 30 volte al mese con lo smartphone, 5-10 volte con un contact center, 3-5 attraverso un Atm e solamente una o due volte allo sportello. Le transazioni classiche (versamenti, prelievi, assegni), registreranno una tendenza decrescente, genereranno minor valore aggiunto, e dunque saranno marginali nel contributo al conto economico, rendendo meno necessario il contabile vecchia maniera. Una speranza c’è. Gli uomini alla scrivania e allo sportello saranno sempre meno. Ma quelli che ci andranno a lavorare faranno un alto mestiere. Sta, infatti, crescendo da parte dei clienti la richiesta di un contatto nelle sedi fisiche su temi più complessi che necessitano di consulenza specifica. Una situazione che comporterà anche il ripensamento del concetto di filiale che sarà e costruita attorno a una serie di competenze specializzate, disponibili a richiesta della clientela, e che giustificheranno un prezzo più elevato da richiedere. Usciranno i ragionieri insomma ma entreranno consulenti specializzati e tecnici informatici per adeguarsi alla spinta che arriva dalla competizione di nuovi soggetti che entrano nel mercato. Ad esempio in quello dei finanziamenti all’economia. Le esperienze di nuovi player con i quali confrontarsi non mancano. Un colosso delle vendite on line come Amazon eroga già oggi prestiti alle Pmi che operano sul suo sito auraverso Amazon lending. Il servizio concede fidi, oggi solo negli Stati Uniti e in Giappone ma presto anche in Italia, per un importo compreso tra mille a 600 mila dollari che arrivano all’impresa attraverso un meccanismo a invito. I venditori non possono chiedere direttamente il prestito, è Amazon che sceglie le aziende a cui concederlo, in base a calcoli interni che prendono in esame la popolarità dei prodotti e la frequenza con cui si esauriscono le scorte. Una rivoluzione. Ma ci sono altri esempi. Kabbage, fondato ad Atlanta (Usa) è una piattaforma on line che ha erogato, dal 2009 a oggi, 4 miliardi di dollari di impieghi a 100 mila aziende. E gli esempi sono ormai decine. Con una morale: la banca intesa in senso tradizionale sta finendo, chi ci lavora oggi tra qualche anno farà all’interno un altro mestiere. La rivoluzione è in atto. *** ***
Il Tempo 13/08/2017
Bancari a casa Addio al sogno del posto fisso – Non c’è posto nel credito. Già fuori in 22mila – Fil. Cal.
22mila posti in meno agli sportelli Bancari a casa Addio al sogno del posto fisso I dati di Sileoni (Fabi) sulle uscite volontarie dagli sportelli per le ristrutturazioni: «Ma ora non si tocchi il fondo esuberi del comparto» Non c’è posto nel credito. Già fuori in 22mila MI Un’autentica ecatombe quella che ha colpito l’occupazione nel settore bancario negli ultimi anni. Un prezzo pagato alla crisi ma anche alla tecnologia che ha cambiato il rapporto tra cliente e istituto di credito. I numeri sull’emorragia di posti li ha dati ieri il segretario generale della Fabi, Lando Maria Sileoni. Sono stati oltre 22 mila gli esuberi già definiti nel settore bancario dagli ultimi piani industriali dei principali gruppi bancari italiani, a fronte di quasi 3.600 nuove assunzioni. Sileoni, ha sottolineato che sono «numen importanti, ma si tratta di uscite volontarie con l’obiettivo raggiunto di evitare i licenziamenti perpetrati in tutta Europa e di garantire il ricambio generazionale». I numeri più pesanti sono quelli riferiti dalle banche più grandi. In Unicredit l’ultimo piano (2019-2014) prevede 3.900 uscite volontarie. A febbraio scorso è stata infatti sottoscritta l’intesa per l’uscita di questo numero di dipendenti usando il Fondo di solidarietà fino a 54 mesi. Le nuove assunzioni invece ammontano a 2.000. Il Gruppo Intesa/Popolari venete nel piano 2017-19 contempla 3.900 uscite volontarie di cui circa 1.000 nelle Popolari venete e la chiusura di 600 sportelli. L’accordo raggiunto con Intesa Sp, nell’ambito dell’integrazione con le venete, estende l’uso del Fondo fino a 84 mesi per la prima parte da 1.000 esuberi e a 60 mesi per la seconda tranche da 3.000 uscite. Monte Paschi di Siena nel piano al 2021 conta ben 5.500 uscite volontarie di cui 1.800 già concordate con i sindacati. Il Gruppo Ubi prevede nel piano 2017-20 2.750 uscite volontarie a cui si devono sommare le 1.500 delle 3 good bank (ex banca Marche, Banca Etruria e Carichieti). Infine il Gruppo Banco Popolare Bpm mette nero su bianco nel piano 2016-19 1.800 uscite a fronte di 400 nuove assunzioni. Numeri meno pesanti ma sempre rilevanti sono definiti anche dal piano al 2010 del Gruppo Bnl che definisce 783 uscite, 650 nel Gruppo Carige e 585 in Bper. Sileoni ha chiesto che il Fondo esuberi dei bancari «non deve essere toccato», altrimenti «sarà guerra». Il sindacato ha alzato così le barriere contro i dubbi sollevati da qualche banchiere sulla sostenibilità del Fondo, frutto di un accordo sindacale del 2000, e completamente finanziato dalle banche. Di fronte alla possibilità di rivederne i termini o trovare un’alternativa Sileoni è netto: «Il Fondo esuberi non si tocca e se qualcuno vuole metterlo in discussione troverà il muro», ha affermato. Grazie a questo Fondo, aggiunge Sileoni, sono stati raggiunti tre obiettivi: «Sono stati evitati i licenziamenti, è stato garantito il ricambio generazionale – in media ogni 4 persone che escono c’è una nuova assunzione – ed è stato abbattuto il costo del lavoro».