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Il Giornale di Vicenza, lunedì 26 giugno 2017
«Operazione condivisa Salvati i posti di lavoro»
«Bene il decreto del governo sulle banche venete, così sono stati scongiurati i licenziamenti che voleva l’Europa». Il segretario generale del sindacato dei bancari Fabi, Lando Maria Sileoni plaude al Governo «perché è riuscito a risolvere un problema che avrebbe avuto pesanti impatti sull’intero settore». «Non ci saranno traumi – prosegue – perché nessun lavoratore perderà il posto e tutto sarà gestito attraverso uscite volontarie, un sistema che ha assicurato in questi 10 anni anche un ricambio generazionale. E chiaro che ora ci aspettiamo una convocazione da parte di Intesa Sanpaolo per tutelare al meglio i lavoratori delle due banche venete. L’intervento del Gruppo guidato da Carlo Messina garantirà stabilità all’intero settore bancario, anche se siamo consapevoli che adesso ci attendono altre due vertenze in Mps e in Carige». «La positiva soluzione raggiunta in extremis, grazie alla disponibilità di Intesa Sanpaolo – dice Giulio Romani, segretario generale di First Cisl – consente al Paese di tirare un sospiro di sollievo ed evidenzia la completa carenza di un progetto di sistema a salvaguardia del settore finanziario italiano». Giudizio positivo anche di Agostino Megale (Fisac Cgil), «mala verifica dei contenuti sarà indispensabile per un giudizio di merito compiuto». «Alla Uilca preme ribadire – ha detto il segretario Massimo Masi – che il progetto di Intesa Sanpaolo non solo è percorribile, maè anche l’unico sul tappeto».
Nuova Venezia-Mattino di Padova-Tribuna di Treviso, lunedì 26 giugno 2017
Intervista a Lando Maria Sileoni – La Fabi: «Salvati i posti di lavoro»
di Luigi Dell’Olio PADOVA «Si sono salvati i posti di lavoro che l’Europa voleva tagliare in maniera pesante e si è evitato un effetto a catena su tutto il sistema bancario nazionale. Non resta che fare un plauso all’intervento di Intesa SanPaolo e al decreto del Governo». Lando Maria Sileoni, segretario generale della Fabi (il più importante tra i sindacati dei bancari), mette da parte per una volta le contrapposizioni. Anche se le questioni aperte nel settore sono numerose sul fronte sindacale, non si accoda a quanti hanno criticato la soluzione trovate per le banche venete. La frase più in voga al momento è: i soldi per salvare le banche si trovano, quelli per i cittadini no. Che ne pensa? «Che il populismo non è la soluzione, men che meno in presenza di questioni complesse come questa. In ballo non c’era solo il futuro di due aziende, ma i risparmi dei clienti per 50 miliardi di euro e il posto di lavoro di 11mila persone, con tutto ciò che ne deriva per le famiglie e più in generale l’economia del territorio. Siamo arrivati davvero a un passo dal baratro e il fatto che si sia trovata una soluzione prima della riapertura dei mercati e della ripresa dell’attività lavorativa è sicuramente un fatto positivo». In concreto cosa prevede l’offerta di Ca’ de Sass sul fronte occupazionale? «La banca ingloberà i dipendenti di Veneto Banca e Popolare di Vicenza, quindi proporrà i prepensionamenti secondo criteri più ampi rispetto a quello che si è visto finora in ambito bancario: l’offerta sarà rivolta a coloro che, secondo le norme vigenti, avrebbero diritto ad andare in pensione nei prossimi sette anni e non più solo nei prossimi quattro». A quanto ammonta la platea dei lavoratori interessati e, verosimilmente, in quanti potrebbero accettare? «Una ricognizione puntuale ancora non c’ è, ma per darle una grandezza di massima posso dirle che parliamo di circa 1.700 dipendenti tra Veneto Banca e Popolare di Vicenza. Dato che in pensione si prenderebbe l’80% dell’ultimo stipendio, mi aspetto un’adesione massiccia». Quando partirà l’operazione? «I tempi saranno ristretti. Il confronto si aprirà subito e mi auguro di arrivare in brevissimo tempo alla stipula di un accordo sindacale. Insomma, tra qualche settimana si entrerà nel merito del provvedimento e partiranno le lettere». L’offerta riguarderà anche i dipendenti di Intesa ai quali mancano sette anni alla pensione? «Dopo che si sarà chiusa l’operazione sulle due banche venete, vi sarà un provvedimento analogo per chi già oggi è dipendente del gruppo Intesa SanPaolo. Voglio rimarcare l’impegno dell’acquirente in questa operazione. Senza questa offerta, e stando alle pressioni provenienti dall’Europa, le due banche venete avrebbero dovuto tagliare non meno di 4mila posti di lavoro. O forse anche di più». Vede un atteggiamento anti-italiano a Bruxelles e Francoforte? «No, l’atteggiamento delle autorità comunitarie di fronte alle crisi bancarie è sempre stato questo: tagliare in maniera massiccia l’occupazione. Tuttavia sappiamo che non è la strada giusta. Il settore viene già da una pesante riduzione degli organici e il processo è destinato a proseguire negli anni a venire, ma la concertazione è la strada maestra per evitare soluzioni affrettate». L’accordo raggiunto in Veneto potrebbe rasserenare le relazioni sindacali, rese aspre dalla questione del rinnovo contrattuale e dagli altri fronti della crisi? «Me lo auguro. Le altre urgenze riguardano il Montepaschi e Carige. Spero davvero si possa trovare anche su quei versanti, come nella vicenda del contratto collettivo una mediazione, che sappia prendere atto della situazione di mercato, ma eviti soluzioni troppo drastiche». *** Al fondo Salva-risparmio arrivano 300 milioni I crediti deteriorati e gli altri attivi non ceduti a Banca Intesa potranno essere ceduti alla Società perla Gestione di AttivitàSpa, di proprietà del Tesoro, che dispone delle competenze e dell’esperienza per recuperare al meglio questi crediti. È quanto si legge nel comunicato del consiglio dei ministri. I proventi di questa attività consentiranno alle Banche in liquidazione di onorare gli impegni nei confronti dei propri creditori. Infine, il decreto per il salvataggio di Popolare Vicenza e Veneto Banca prevede che «le risorse necessarie per il sostegno pubblico sono prelevate dal fondo «salva risparmio», costituito con il decreto legge di fine 2016, «incrementate di 300 milioni di euro per l’anno 2018». Lo indica il comunicato di Palazzo Chigi al termine della riunione del consiglio dei ministri presieduto dal premier Gentiloni.
Corriere del Veneto Venezia e Mestre, lunedì 26 giugno 2017
Banche, salvi due milioni di clienti – C’è il decreto, popolari venete a Intesa Unindustria: «La scelta ci rassicura» – Favero Gianni
«Non ho letto il decreto ma non riesco ad immaginare cosa sarebbe successo se questa mattina le filiali di Veneto Banca e della Popolare di Vicenza non avessero alzato le serrande. Un più che possibile attacco speculativo contro l’Italia, in un momento delicato come questo, sarebbe stato un rischio troppo pesante». E’ il commento a caldo di Maria Cristina Piovesana, presidente di Unindustria Treviso, alla lettura dei primi titoli delle agenzie e dei giornali on line sul via libera del governo, decretato ieri a metà pomeriggio, per consentire a Intesa di acquisire le ex popolari venete. Ma per dipendenti e clienti questo lunedì mattina sarà uguale a tutti gli altri. Nessuna interruzione della attività di sportello, nessuna alterazione alla normale operatività. Semplicemente l’impiegato o il direttore tanto familiari ai quali il comune correntista si rivolgerà nel corso del week end è diventato dipendente e quindi rappresentante di Banca Intesa e le insegne all’ingresso non dicono più nulla. Il Consiglio dei ministri, che sabato non aveva avuto tempo di perfezionare il provvedimento, ha impiegato venti minuti, dalle 16,10 alle 16,30, a firmare il decreto per legittimare la «liquidazione ordinata», più precisamente la «liquidazione coatta amministrativa» delle due ex popolari venete e permettere così il trasferimento delle loro componenti sane, alleggerite di ogni criticità, al gruppo guidato da Carlo Messina. Il quale amministratore delegato, sempre ieri, in tarda mattinata aveva ricevuto dal suo consiglio il mandato di chiudere la partita ed acquisire i due istituti falliti, attraverso un percorso tecnico che spetterà ai commissari di nomina di Banca d’Italia (fra cui gli ad di Vicenza e Montebelluna, Fabrizio Viola e Cristiano Carrus) accompagnare. Il quanto costerà alle casse pubbliche l’operazione è il tema che più infiamma il dibattito politico, anche se in conferenza stampa il ministro dell’Economia e delle Finanze, Pier Carlo Padoan, oltre a ribadire l’inesistenza di soluzioni alternative, ha messo bene in chiaro che con i soldi che lo Stato ci mette si ottiene immediatamente il ripristino dei due istituti della capacità di erogare credito grazie a 4,785 miliardi come anticipo cassa che serviranno anche alla gestione di circa 4 mila prepensionamenti. Dei quasi 1.100 sportelli delle ex popolari ne dovranno scomparire 600, gli esuberi previsti sono nell’ordine delle 5 mila unità ma in tutto questo, è la seconda rassicurazione-chiave, nessuno passerà attraverso dei licenziamenti. «Soltanto fuoriuscite su base volontaria», ha ricordato Messina, sottolineando che l’operazione salva due milioni di clienti e duecentomila imprese rendendo possibile da subito l’apertura di una nuova stagione. E comunque l’offerta di Intesa, insiste Messina, è stata «d’unica significativa presentata nell’asta competitiva indetta dal Governo». «Non ho certo visto la coda per acquistare Veneto Banca e Bpvi — riconosce Piovesana — e le condizioni di Intesa erano chiare. Non so se in questo modo si sia fatto un regalo al gruppo nazionale, certo va compresa la necessità dei vertici di non mettere in pericolo una banca che oggi ha solide fondamenta. Anzi, il fatto che la partita sia stata chiusa con Intesa ci rassicura». Ma le perplessità della leader degli industriali trevigiani – probabilmente l’associazione imprenditoriali più preoccupata data la frequente presenza di associati con affidamenti sia da Vicenza sia da Montebelluna – si estende alle autorità di controllo. «Non più tardi del 2o15 – ricorda – la Bce aveva sottoposto entrambi gli istituti agli stress test e gli esami erano stati superati. Come è possibile che in seguito, con il lavoro di nuovi consiglieri di amministrazione dotati di grande preparazione, i parametri si siano compromessi fino al fallimento? In Europa c’è stato evidentemente un cambio di regole troppo repentino e questo merita una riflessione molto approfondita». In ogni caso occorrerà conoscere meglio i dettagli dello schema di Intesa che mette sul tavolo da subito anche «un rimborso di circa 40o milioni a copertura di garanzie», ha sottolineato ieri Padoan, risolvendo quindi un’incognita nata nelle ultime ore rispetto ad un pacchetto di crediti « in bonis» per 2,5 miliardi che Ca’ de Sass non avrebbe inteso incorporare. Il Governo, infatti, ha deciso di tutelare l’eventuale retrocessione della qualità dei crediti (la quale sarà esaminata attraverso una due diligence) con una copertura all’8o per cento per un ammontare massimo di 6,3 miliardi e fino a 4 miliardi per crediti ad alto rischio benché attualmente in bonis. In sostanza, è il conto che fa Padoan stesso, il governo con il decreto «mobilizza risorse fino a 17 miliardi». Fra chi esprime soddisfazione per il provvedimento di Palazzo Chigi c’è intanto Lando Maria Sileoni, segretario generale della Fabi. «Il Governo – dice – è riuscito a risolvere un problema che avrebbe avuto pesanti impatti sull’intero settore bancario italiano». Troppo poco per Renato Brunetta, presidente dei deputati di Fi: Padoan sulle banche ha sbagliato tutto». Non meno clemente è il giudizio di Enrico Zanetti, segretario di Scelta Civica, che ritiene «incomprensibile» come il ministro possa sostenere che, per la Ue, nell’operazione non ci sia alcun aiuto di Stato. Da oggi, intanto, sono già a Vicenza Stefano Barrese ed Eliano Omar Lodesani, i primi di una task force di 3o dirigenti incaricati di far partire il sistema veneto con le sigle di Intesa. (altri servizi sul Corriere della Sera) Gianni Favero
Gazzetta del Mezzogiorno 26/06/2017
Banche venete, subito 5,2 miliardi dello Stato – …
- Dallo Stato arrivano 5,2 miliardi subito per salvare le banche venete, garantire l’apertura degli sportelli, ed evitare il caos che si sarebbe creato con un «fallimento disordinato». II governo ieri pomeriggio ha dato il via libera al decreto per la liquidazione coatta amministrativa di Veneto Banca e Popolare Vicenza, con un provvedimento che complessivamente mobilizza 17 miliardi. II decreto che permette il passaggio a Banca Intesa delle due Venete, ripulite delle sofferenze consentirà non solo di «rassicurare e stabilizzare la situazione», ha detto Paolo Gentiloni, ma anche di «risanare il sistema in un momento in cui il suo stato di salute è cruciale perla ripresa». E per questo il premier auspica il «massimo sostegno» al testo in Parlamento. Dando il via libera della commissione Ue la commissaria Vestager ha spiegato come L’Italia consideri «l’aiuto di Stato necessario ad evitare turbolenze economiche nel Veneto». La scelta «non aveva alternative, solo lo «spezzatino», scandisce il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan spiegando che il provvedimento divide gli istituti in «bad e good bank». La «banca buona», sottolinea il ministro, va a Intesa dopo «un processo di offerta trasparente e aperto» e facendo partire una «operazione di liquidazione accompagnata dall’utilizzo di fondi pubblici alle condizioni previste per il burden sharing, non per il bail in». Proteggere il territorio e i correntisti è stato uno dei leit motive su cui si è mosso l’esecutivo che, anche in questo caso, procederà al rimborso dei risparmiatori retail azzerati per effetto del burden sharing. Ci sarà, ha spiegato Padoan, un rimborso al 100% cui contribuirà con una quota de120 % la stessa Intesa. L’intervento «consentirà di mettere in sicurezza oltre 50 miliardi di risparmi affidati alle due banche» ha detto il numero uno di Intesa Carlo Messina, assicurando che gli esuberi saranno gestiti «senza licenziamenti ma solo attraverso uscite volontarie». All’istituto di Cà de Sass il governo verserà un anticipo di cassa di 4,785 miliardi che serviranno a garantire il capital ratio del gruppo e a gestire l’intera operazione di ristrutturazione, compresi gli esuberi che resteranno però in capo alle banche in liquidazione (circa 4mila per i quali sarà destinato fmo a 1,285 miliardi). A queste ultime resteranno anche le obbligazioni senior, che saranno rimborsate a scadenza, e i crediti deteriorati, che saranno ceduti alla Sga del Tesoro per lo smaltimento. Altri 400 milioni il governo li impegna subito per la garanzia sui crediti in bonis che Intesa si porta a casa – uno dei punti di «caduta» delle estenuanti trattative delle ultime ore – e sui quali sarà avviata la due diligence. In totale il decreto «mobilizza risorse fino a 17 miliardi», ha chiarito Padoan, spiegando appunto che ci sono garanzie a copertura del rischio di retrocessione dei crediti che non risultino in bonis, fino a 6,3 miliardi, e fino ad altri 4 per i crediti «attualmente in bonis ma ad alto rischio». II decreto, ha chiarito il ministro, non avrà impatto sul deficit perché si tratta di risorse già a bilancio, i 20 miliardi stanziati a Natale con il decreto salva-risparmio che ora il nuovo provvedimento urgente consente di utilizzare anche fuori dal perimetro delle ricapitaliz7azioni precauzionali. II cda di Intesa, intanto, aveva dato mandato a Carlo Messina di formalizzare l’operazione, con la firma del contratto presentato dai commissari dei due istituti nominati dalla Banca d’Italia (tra i nomi in pole Fabrizio Viola). *** II nuovo gruppo nato ieri ha 4mila esuberi II prezzo simbolico di 1 euro che muove miliardi Più di 6.100 sportelli e oltre 100 mila lavoratori: sono queste le dimensioni del gruppo nato ieri, con l’acquisto da parte di Intesa San Paolo di Popolare Vicenza e Veneto Banca. Un’operazione alla cifra simbolica di un euro per il colosso di CA de Sass ma che metterà in moto in realtà diversi miliardi. Quelli che il governo impegna subito sono 4,785 come anticipo cassa e per gestire il pacchetto dei circa 4.000 prepensionamenti (fino a 1,285 mid) e 400 milioni che servono come fair value a garanzie che potranno raggiungere fino a 12 miliardi così suddivisi: per la copertura del rischio di una retrocessione di crediti che non risultino in bonis al termine della due diligence, per un ammontare massimo 6 miliardi e 300 milioni; fino a 4 miliardi per crediti attualmente in bonis ma ad alto rischio. Intesa Sanpaolo ha annunciato che metterà a disposizione dell’economia reale dei territori in cui operano le due banche un plafond di 5 miliardi di erogazioni di nuovo credito, a valere sul secondo semestre 2017. A 60 milioni ammonta invece il contributo del gruppo al ristoro degli investitori retail di obbligazioni subordinate. C’è poi il nodo degli sportelli che in qualche provincia dovranno essere ridotti per evitare concentrazioni superiori a quelle consentite dal mercato: ne dovranno scomparire circa 600. Ecco in sintesi i numeri principali dei tre gruppi al centro dell’operazione (il numero di dipendenti è quello complessivo ad oggi dei gruppi in totale e senza le uscite calcolate per le tre realtà da qui al 2020 che sono (dati Fabi) per Pop. Vicenza 700, per Veneto Banca 180, per Intesa 1.018). Intesa Pop. Vicenza Veneto banca Patrimonio netto 43,5 mld 2,1 mld* 1,8 mld** impieghi con clientela 365 mld 22,5 mld 19,3 mld Raccolta diretta bancaria 394 mld 18,8 mld 20 mld Raccolta indiretta 469 mld 11,5 mld 21,8 mld Sportelli 5.163 502 480 Dipendenti 89.126 5.366 5.944. ***
Gazzetta di Modena-Reggio-Nuova Ferrara 26/06/2017
Un gruppo da 100mila lavoratori – …
ROMA Più di 6.100 sportelli e oltre 100mila lavoratori: sono queste le dimensioni del gruppo che nasce con l’acquisto da parte di Intesa Sanpaolo di Popolare Vicenza e Veneto Banca. Ecco in sintesi i numeri principali dell’operazione: per quanto riguarda Intesa si parla di patrimonio netto stimabile in 43,5 miliardi con una raccolta bancaria diretta di 394 miliardi e una indiretta di 469 miliardi. Gli sportelli di Intesa sono 5.163 e i dipendenti quasi 90mila (il numero di dipendenti è quello complessivo ad oggi dei gruppi in totale e senza le uscite calcolate per le tre realtà da qui al 2020 che sono per Pop. Vicenza 700, per Veneto Banca 180, per Intesa 1.018, dati Fabi). La Popolare di Vicenza il patrimonio netto è di 2,1 miliardi, un dato che tiene conto delle perdite nette che sono 1,9 miliardi, una raccolta bancaria diretta di 18,8 miliardi (tenendo conto delle perdite nette di 1,5 miliardi) e una indiretta di 11,5. I dipendenti sono 5.366 con 502 sportelli. E infine Veneto Banca che dispone di un patrimonio netto di 1,8 miliardi, una raccolta diretta di 20 miliardi, una indiretta di 21,8 e ha 5.944 dipendenti e 480 sportelli. Numeri importanti quindi che, seppur ridotti, fanno del nuovo gruppo uno dei più importanti istituti bancari italiani ed è anche per questo che il segretario generale del sindacato dei bancari Fabi, Lando Maria Sileoni, applaude il governo per aver «scongiurato i licenziamenti che voleva l’Europa. Consideriamo – dice – positivo il decreto perché è riuscito a risolvere un problema che avrebbe avuto pesanti impatti sull’intero settore bancario italiano. Non ci saranno traumi perché nessun lavoratore perderà il posto di lavoro e tutto sarà gestito attraverso uscite volontarie. È chiaro che ora ci aspettiamo una convocazione da parte di Intesa Sanpaolo per tutelare al meglio i lavoratori delle due banche venete».
Gazzettino 26/06/2017
Banche salve con 5,2 miliardi Via libera al piano di Intesa – Banche salvate con 5,2 miliardi – Mancini Umberto
Umberto Mancini ROMA Banche Venete salve per decreto. Con una operazione da 17 miliardi che evita in extremis il fallimento, mette in sicurezza correntisti e depositanti, salvaguarda le attività economiche di una delle zone più ricche del Paese e, giurano il premier Paolo Gentiloni e il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, rispetta in tutto e per tutto le regole europee. Si è conclusa così, dopo soli 20 minuti a Palazzo Chigi, la riunione del Consiglio dei ministri che ha approvato il salvataggio di Veneto Banca e Popolare di Vicenza. La vigilia è stata invece faticosa e travagliata con un negoziato durato oltre 72 ore. Il provvedimento – a cui hanno continuato a lavorare per tutta la notte i tecnici del Tesoro, insieme ai legali di Intesa Sanpaolo e in stretto contatto con la Ue – mette in campo, come accennato, un impegno fino a 17 miliardi. Una cifra più teorica che reale, almeno negli auspici del Tesoro che spera di spendere molto meno, recuperando una quota dei crediti deteriorati che finiranno nella “bad bank” pubblica. Da subito però lo Stato staccherà un assegno da 5,2 miliardi ad Intesa Sanpaolo – che si fa carico della parte sana delle due banche incorporandole nel gruppo. Nella cifra – definita tecnicamente da Padaon un anticipo di cassa «che non pesa sulle finanze pubbliche» – sono compresi anche 400 milioni a garanzia dei crediti dubbi che l’istituto di Ca’de Sass si accollerà. In questo modo la banca guidata da Carlo Messina, che ha visto riconoscere buona parte delle sue richieste, non dovrà fare aumenti di capitale e manterrà intatti, cioè super solidi, i propri indici patrimoniali. Gentiloni oltre ad esprimere apprezzamento per l’intervento di Intesa, «vera banca di sistema e asset del Paese», può quindi archiviare la pratica che rischiava di mettere in crisi il governo. «Questo decreto – ha spiegato il presidente del Consiglio in conferenza stampa – rassicura, dà stabilità al sistema bancario, evita un fallimento disordinato ed è cruciale per la ripresa, i dipendenti e i risparmiatori». Sulla stessa linea Padoan che, piccato per le critiche, ribadisce come non ci fossero alternative a questa soluzione. «Anzi – sottolinea – l’alternativa era solo il fallimento, a costi molto maggiori. Da oggi – aggiunge – la due banche saranno operative per effetto di un intervento che, ribadisco, rispetta le regole europee». In effetti per i correntisti delle due banche venete, inglobate da Intesa, non cambia nulla, così per i possessori delle obbligazioni, ristorati al 100;ó. Gli sportelli saranno operativi su tutto il territorio, cambieranno solo i nomi sulle insegne: Nuova Popolare di Vicenza e Nuova Veneto Banca. Per prestiti, depositi e le altre operazioni bancarie tutto resta immutato. Da gestire invece il capitolo spinoso della bad bank. Il veicolo in cui confluiranno i crediti deteriorati dei due istituti e per il quale il Tesoro ha mobilitato risorse per 12 miliardi, di cui 6 per i prestiti difficilmente recuperabili, 4 per quelli ad alto rischio e il resto per le partite difficili. Nei 17 miliardi complessivi, ha sottolineato Padoan. Nelle risorse stanziate dallo Stato per il salvataggio delle banche venete ci sono fino a 1,285 miliardi per la gestione degli esuberi delle venete (4mila addetti). Parte del personale resterà alle banche in liquidazione che gestiranno la ristrutturazione. Plaude Lando Sileoni, numero uno della Fabi, che vede così scongiurati migliaia di licenziamenti. Soddisfatto Carlo Messina, dominus dell’operazione: «Senza l’offerta di Intesa la crisi delle due banche avrebbe avuto un grave impatto sull’intero sistema bancario italiano, metteremo a disposizione un plafond di 5 miliardi per nuovo credito. Metteremo in sicurezza oltre 50 miliardi di risparmi affidati alle due banche e tuteleremo 2 milioni di clienti, di cui 200.000 aziende. L’integrazione sarà gestita senza licenziamenti ma solo con uscite volontarie». Intesa risarcirà anche gli investitori retail di obbligazioni subordinate per 60 milioni. riproduzione riservata LA SCHEDA • Che cosa succede adesso • ESUBERI • L’acquisizione delle attività delle banche venete porta nel gruppo Intesa anche llmila dipendenti. Alcune delle banche acquisite verranno cedute (Banca Nuova dovrebbe però rimanere in Intesa) e quindi gli esuberi saranno circa 4000 e resteranno a capo delle banche in liquidazione. Il governo ha destinato per i prepensionamenti volontari 1,285 miliardi. • ANTICIPO Lo Stato verserà 4,785 miliardi a Banca Intesa che serviranno a garantire i parametri di capitale del gruppo e a gestire gli oneri di ristrutturazione. Intesa ha previsto che per mantenere la liquidità delle nuove banche del gruppo dovrà mettere a disposizione 5 miliardi. • RIMBORSI Gli obbligazionisti subordinati retail cioè piccoli risparmiatori e famiglie, di Popolare Vicenza e Veneto Banca verranno rimborsati dal governo all’80%. Il resto della cifra (20%) verrà versato da Intesa, che calcola l’impegno in 60 milioni. La cifra potrebbe essere coperta anche dall’emissione di azioni. DEPOSITI L’amministratore delegato di banca Intesa Carlo Messina avverte: «Questo intervento ha permesso di mettere in sicurezza 50 miliardi di risparmi affidati alle due banche». Per i detentori di conti correnti non cambia nulla. Sono garantiti da Intesa e dallo Stato. *** Nessun problema per clienti e correntisti – ROMA – Il passaggio degli attivi di Veneto Banca e Popolare Vicenza al gruppo Intesa Sanpaolo non avrà ripercussioni sulla rete di pagamenti e l’operatività questa mattina sarà regolarmente assicurata per i clienti, privati e imprese dei due istituti. Le transazioni on line e agli sportelli quindi non subiranno contraccolpi negativi al punto di vista tecnico. Altra cosa è certo il comportamento dei clienti ma la soluzione decretata dal governo dovrebbe contribuire a rasserenare gli animi ed evitare la temuta corsa agli sportelli. È quanto assicurano diverse fonti del settore secondo cui, come in altre occasioni di fusioni o acquisizioni nel settore bancario, i sistemi dei diversi istituì di credito possono coesistere senza problemi fin quando si decida la migrazione a uno, di solito quello della banca acquirente. Codici Iban e prodotti (come carte di debito o pagamento) restano quindi gli stessi fino al momento in cui l’acquirente decida di, dopo aver informato i clienti, ritirarli sostituendoli con i propri. Dipenderà, spiegano le fonti, dalla tabella di marcia e dai piani che si è data Intesa. A volte, ricordano, queste operazioni richiedono alcuni mesi e vengono effettuate con gradualità. ***
Mattino 26/06/2017
Banche, dallo Stato 5 miliardi – Banche venete, via al decreto per il salvataggio – Mancini Umberto – Bassi Andrea
Umberto Mancini Andrea Bassi ROMA Banche Venete salve per decreto. Con una operazione da 17 miliardi che evita in extremis il fallimento, mette in sicurezza correntisti e depositanti, salvaguarda le attività economiche di una delle zone più ricche del Paese e, giurano il premier Paolo Gentiloni e il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, rispetta in tutto e per tutto le regole europee. Si è conclusa così, dopo soli 20 minuti a Palazzo Chigi, la riunione del Consiglio dei ministri che ha approvato il salvataggio di Veneto Banca e Popolare di Vicenza. La vigilia è stata invece faticosa e travagliata con un negoziato durato oltre 72 ore. Il provvedimento – a cui hanno continuato a lavorare per tutta la notte i tecnici del Tesoro, insieme ai legali di Intesa Sanpaolo e in stretto contatto con la Ue – mette in campo, come accennato, un impegno fino a 17 miliardi. Una cifra più teorica che reale, almeno negli auspici del Tesoro che spera di spendere molto meno, recuperando una quota dei crediti deteriorati che finiranno nella “bad bank” pubblica Da subito però lo Stato staccherà un assegno da 5,2 miliardi ad Intesa Sanpaolo – che si fa carico della parte sana delle due banche incorporandole nel gruppo. Risorse che serviranno a rafforzare il patrimonio e, contestualmente, a garantire un adeguato livello di capital ratios, ovvero una capitalizzazione in linea con il nuovo assetto. Nella cifra – definita tecnicamente da Padaon un anticipo di cassa «che non pesa sulle finanze pubbliche» – sono compresi anche 400 milioni a garanzia dei crediti dubbi che l’istituto di Ca’de Sass si accollerà. In questo anodo la banca guidata da Carlo Messina, che ha visto riconoscere buona parte delle sue richieste, non dovrà fare aumenti di capitale e manterrà intatti, cioè super solidi, i propri indici patrimoniali. Gentiloni oltre ad esprimere apprezzamento per l’intervento di lntesa, «vera banca di sistema e asset del Paese», può quindi archiviare la pratica che rischiava di mettere in crisi il governo. «Questo decreto – ha spiegato il presidente del Consiglio in conferenza stampa – rassicura, dà stabilità al sistema bancario, evita un fallimento disordinato ed è cruciale per la ripresa, i dipendenti e i risparmiatori». Sulla stessa linea Padoan che, piccato per le critiche, ribadisce come non ci fossero alternative a questa soluzione. «Anzi – sottolinea – l’alternativa era solo il fallimento, a costi molto maggiori». «Da oggi – aggiunge – la due banche saranno operative per effetto di un intervento che, ribadisco, rispetta le regole europee». In effetti per i correntisti delle due banche venete, inglobate da Intesa, non cambia nulla, così per i possessori delle obbligazioni senior, che verranno ristorati al 100%. Gli sportelli saranno operativi su tutto il territorio, cambieranno solo i nomi sulle insegne: Nuova Popolare di Vicenza e Nuova Veneto Banca. Per prestiti, depositi e le altre operazioni bancarie tutto resta immutato. Da gestire invece il capitolo spinoso della bad bank. Il veicolo in cui confluiranno i crediti deteriorati dei due istituti e per il quale il Tesoro ha mobilitato risorse per 12 miliardi, di cui 6 per i prestiti difficilmente recuperabili, 4 per quelli ad alto rischio e il resto per le partite difficili. Nei 17 miliardi complessivi, ha sottolineato Padoan, non ci sono invece i soldi per il rifinanziamento del Fondo esuberi che vale circa 4,7 miliardi. Un tema non trattato dal decreto, ma che rientra nel piano di salvataggio visto e considerato che le eccedenze di personale delle due venete sfiorano quota 4 mila. Plaude Lando Sileoni, numero uno della Fabi, che vede così scongiurati migliaia di dolorosi licenziamenti. Soddisfatto Carlo Messina, dominus dell’operazione: «Senza l’offerta di Intesa la crisi delle due banche avrebbe avuto un grave impatto sull’intero sistema bancario italiano, con conseguenze drammatiche sull’economia nazionale, mettendo anche a rischio le prospettive di ripresa del Paese. 11 nostro intervento consentirà di mettere in sicurezza oltre 50 miliardi di risparmi affidati alle due banche e di tutelare 2 milioni di clienti, di cui 200.000 aziende operanti in aree tra le più dinamiche del Paese. L’integrazione delle due banche e del relativo personale sarà gestita senza licenziamenti ma solo attraverso uscite volontarie». Infine, Intesa contribuirà al ristoro degli investitori retail di obbligazioni subordinate per un ammontare complessivo di 60 milioni. Dunque, per la terza volta in pochi mesi, il governo italiano riesce a dribblare il «bail-in», la normativa europea che impone agli Stati di far pagare anche ai risparmiatori e ai correntisti con depositi oltre i 100 mila euro il conto delle crisi bancarie. E lo fa, ancora una volta, riuscendo a navigare tra le vie strette della normativa europea. Se con le quattro banche (Etruria, CariChieti, Marche e CariFe) era stato usato il cosiddetto «burden sharing», creando poi un percorso per indennizzare fino all’80% anche gli obbligazionisti, e se per Mps la via è stata quella della ricapitalizzazione precauzionale, una nazionalizzazione a tempo della banca, il percorso scelto per le venete è una liquidazione sostenuta con aiuti di Stato indirizzati soprattutto verso il compratore della parte sana degli istituti, ossia Intesa San Paolo. Anche questa volta è stato necessario ottenere un via libera da parte della Commissione europea, che nella serata di ieri ha fatto sapere con un lungo comunicato le ragioni per le quali ha dato il suo disco verde al piano del Tesoro. «L’Italia», ha spiegato la commissaria alla concorrenza, Margrethe Vestager, «considera l’aiuto di Stato necessario ad evitare turbolenze economiche nel Veneto» in seguito all’uscita dal mercato della Popolare di Vicenza e Veneto Banca «dopo un lungo periodo di difficoltà». Il sì di Bruxelles, ha spiegato Vestager, è arrivato perché azionisti e detentori di debito subordinati hanno «pienamente contribuito» e le misure «rimuovono» 18 miliardi di crediti “cattivi”, contribuendo al consolidamento del sistema. A pagare dazio, in realtà, è stato in primis il fondo Atlante, il veicolo finanziato dal sistema bancario che ha bruciato nel precedente tentativo di salvataggio delle banche venete 3,5 miliardi. La nuova pezza, quella messa dallo Stato, vale invece 4,8 miliardi di euro, ma con garanzie per altri 12 miliardi e che per ora comportano un esborso di “soli” 400 milioni. Lo scudo potenziale dello Stato, insomma, vale 17 miliardi di euro. A cosa serviranno gli aiuti pubblici? Banca Intesa, che verserà simbolicamente un euro per rilevare le due banche, riceverà un supporto finanziario di 3,5 miliardi per evitare che l’acquisizione dei crediti peggiori i suoi parametri patrimoniali. Circa 1,3 miliardi di euro, invece, saranno trasferiti a Intesa, per gestire gli esuberi del personale, parte del quale resterà alle banche in liquidazione che potranno contare su un prestito della stessa Intesa. I crediti deteriorati verranno invece trasferiti alla Sga, Società per la gestione di attività, il veicolo che ha gestito con successo la liquidazione del vecchio Banco di Napoli, e che oggi è controllata dal Tesoro. I proventi del recupero crediti da parte della Sga, serviranno per “tappare” i buchi lasciati dalle due vecchie banche. Tra Intesa e le banche in liquidazione resteranno aperte un paio di “sliding doors”. L’istituto guidato da Carlo Messina farà una due diligere sui crediti che le saranno trasferiti, e quelli che dovessero risultare non «in bonis» potranno essere ritrasferiti alle vecchie banche fino ad un massimo di 6,3 miliardi di euro. Non solo. Intesa potrà ritrasferire, entro tre anni, anche i crediti considerati «ad alto rischio». Su questi ci sarà una garanzia statale fino a 4 miliardi di euro. *** Le tutele Depositi e conti al riparo La soluzione della liquidazione dei due istituti mette al riparo i risparmiatori da qualsiasi tipo di problema. Se fosse passato il bail-in i conti correnti sarebbero stati al sicuro fino a 100 mila euro grazie alla tutela del fondo interbancario di garanzia. Al di sopra di questa cifra i depositanti sarebbero stati chiamati a condividere l’onere del salvataggio. Ma questo rischio potenziale è stato scongiurato dal tipo di soluzione individuata, ovvero la procedura di liquidazione secondo la legge italiana. In altre parole, i depositi presso le due banche sono al riparo da qualsiasi pericolo indipendentemente dall’entità, sopra o sotto i 100 mila euro. La linea scelta dal governo italiano, ovvero quella di evitare conseguenze per i risparmiatori, è stata condivisa e accettata dalle autorità di Bruxelles. Inoltre, non vi sarà nessuna interruzione dell’attività di sportello: il decreto entrerà subito in vigore per garantire la normale attività bancaria. I clienti Nessuna interruzione dell’attività di sportello: il decreto entra subito in vigore Gli oneri Conto salato agli azionisti Nessuna speranza per gli azionisti delle due banche: l’investimento andrà totalmente perduto senza possibilità di recupero. A pagare il conto, in sostanza, oltre alle migliaia di vecchi azionisti sarà il Fondo Atlante gestito da Queastio Sgr che, fino a ieri, era praticamente il proprietario unico di Veneto Banca e Popolare di Vicenza. Il Fondo si era fatto carico della ricapitalizzazione dei due istituti e ora i circa 3,4 miliardi impegnati vanno in fumo. A loro volta gli azionisti privati, indipendentemente dalla liquidazione coatta decisa dal governo, avevano già pagato il conto del dissesto delle Venete vedendo progressivamente svanire il valore delle azioni. Le loro quote, ormai ridotte a pochi spiccioli, saranno azzerate essendo capitale di rischio. Nessuna delle due ex popolari era quotata in Borsa. Le perdite Per migliaia di vecchi soci e anche per il Fondo Atlante l’investimento è saltato Le garanzie Obbligazioni senior salve Può dormire sonni tranquilli anche chi possiede le cosiddette obbligazioni “senior”, che sono le più garantite nella scala del rischio delle emissioni bancarie. Così come per i depositi e i conti correnti, i bond emessi dalle due banche venete non saranno chiamati a coprire i buchi di bilancio degli istituti. Una nota del ministero dell’Economia ricorda che gli obbligazionisti appartenenti a questa categoria saranno rimborsati alla scadenza naturale. Nei giorni scorsi il valore di mercato delle obbligazioni senior aveva registrato forti oscillazioni nel timore che venisse adottata la soluzione del bail-in che avrebbe invece avuto conseguenze devastanti anche su questo tipo di emissioni. Con la scelta di procedere attraverso il burden sharing, questo rischio si è allontanato e le quotazioni dei bond senior sono tornate ad avvicinarsi alla parità. La soluzione Niente rischi per questa categoria di titoli: pagati alla loro scadenza naturale La decisione Bond subordinati: ristori Per i possessori di obbligazioni subordinate (junior) il discorso è diverso. ll governo ha infatti deciso di tutelare i piccoli risparmiatori-persone fisiche attraverso un doppio binario: il rimborso dal Fondo Interbancario di Tutela dei Depositanti e un contributo di Intesa Sanpaolo, la banca cioè che ha acquistato i due istituti veneti. Ma la tutela vale solo per questa categoria di risparmiatori: gli investitori istituzionali possessori di bond subordinati saranno infatti chiamati a condividere l’onere del salvataggio insieme agli azionisti. Nel dettaglio, si tratta di 180 milioni di bond subordinati in mano al retail e a circa un miliardo in capo agli investitori istituzionali per un totale di 1,2 miliardi di bond spalmati su 14 emissioni delle due banche. Il principio adottato dal governo per salvare i piccoli risparmiatori è quello della presunzione del raggiro: in altre parole, una vendita impropria da parte della banca che non ha tenuto conto dell’effettivo livello di propensione al rischio dell’investitore.
Messaggero 26/06/2017
Banche Venete salvate da Intesa lo Stato mette subito 5,2 miliardi – Salve le banche venete la parte sana a Intesa dal Tesoro 5,2 miliardi – Mancini Umberto
ROMA Banche Venete salve per decreto. Con una operazione da 17 miliardi che evita in extremis il fallimento, mette in sicurezza correntisti e depositanti, salvaguarda le attività economiche di una delle zone più ricche del Paese e, giurano il premier Paolo Gentiloni e il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, rispetta in tutto e per tutto le regole europee. Si è conclusa così, dopo soli 20 minuti a Palazzo Chigi, la riunione del Consiglio dei ministri che ha approvato il salvataggio di Veneto Banca e Popolare di Vicenza. La vigilia è stata invece faticosa e travagliata con un negoziato durato oltre 72 ore. Il provvedimento – a cui hanno continuato a lavorare per tutta la notte i tecnici del Tesoro, insieme ai legali di Intesa Sanpaolo e in stretto contatto con la Ue – mette in campo, come accennato, un impegno fina 17 miliardi. GLI IMPEGNI Una cifra più teorica che reale, almeno negli auspici del Tesoro che spera di spendere molto meno, recuperando una quota dei crediti deteriorati che finiranno nella “bad bank” pubblica. Da subito però lo Stato staccherà un assegno da 5,2 miliardi ad Intesa Sanpaolo – che si fa carico della parte sana delle due banche incorporandole nel gruppo. Risorse che serviranno a rafforzare il patrimonio e, contestualmente, a garantire un adeguato livello di capital ratios, ovvero una capitalizzazione in linea con il nuovo assetto. Nella cifra – definita tecnicamente da Padaon un anticipo di cassa «che non pesa sulle finanze pubbliche» – sono compresi anche 400 milioni a garanzia dei crediti dubbi che l’istituto di Ca’de Sass si accollerà. In questo modo la banca guidata da Carlo Messina, che ha visto riconoscere buona parte delle sue richieste, non dovrà fare aumenti di capitale e manterrà intatti, cioè super solidi, i propri indici patrimoniali. Gentiloni oltre ad esprimere apprezzamento per l’intervento di Intesa, «vera banca di sistema e asset del Paese», può quindi archiviare la pratica che rischiava di mettere in crisi il governo. «Questo decreto – ha spiegato il presidente del Consiglio in conferenza stampa – rassicura, dà stabilità al sistema bancario, evita un fallimento disordinato ed è cruciale per la ripresa, i dipendenti e i risparmiatori». Sulla stessa linea Padoan che, piccato per le critiche, ribadisce come non ci fossero alternative a questa soluzione. «Anzi – sottolinea – l’alternativa era solo il fallimento, a costi molto maggiori». «Da oggi – aggiunge – la due banche saranno operative per effetto di un intervento che, ribadisco, rispetta le regole europee». In effetti per i correntisti delle due banche venete, inglobate da Intesa, non cambia nulla, così per i possessori delle obbligazioni senior, che verranno ristorati al 100%. Gli sportelli saranno operativi su tutto il territorio, cambieranno solo i nomi sulle insegne: Nuova Popolare di Vicenza e Nuova Veneto Banca. Per prestiti, depositi e le altre operazioni bancarie tutto resta immutato. Da gestire invece il capitolo spinoso della bad bank. Il veicolo in cui confluiranno i crediti deteriorati dei due istituti e per il quale il Tesoro ha mobilitato risorse per 12 miliardi, di cui 6 per i prestiti difficilmente recuperabili, 4 per quelli ad alto rischio e il resto per le partite difficili. Nei 17 miliardi complessivi, ha sottolineato Padoan, non ci sono invece i soldi per il rifinanziamento del Fondo esuberi che vale circa 4,7 miliardi. Un tema non trattato dal decreto, ma che rientra nel piano di salvataggio visto e considerato che le eccedenze di personale delle due venete sfiorano quota 4 mila. Plaude Lando Sileoni, numero uno della Fabi, che vede così scongiurati migliaia di dolorosi licenziamenti. Soddisfatto Carlo Messina, dominus dell’operazione: «Senza l’offerta di Intesa la crisi delle due banche avrebbe avuto un grave impatto sull’intero sistema bancario italiano, con conseguenze drammatiche sull’economia nazionale, mettendo anche a rischio le prospettive di ripresa del Paese. Il nostro intervento consentirà di mettere in sicurezza oltre 50 miliardi di risparmi affidati alle due banche e di tutelare 2 milioni di clienti, di cui 200.000 aziende operanti in aree tra le più dinamiche del Paese. L’integrazione delle due banche e del relativo personale sarà gestita senza licenziamenti ma solo attraverso uscite volontarie». Infine, Intesa contribuirà al ristoro degli investitori retail di obbligazioni subordinate per un ammontare complessivo di 60 milioni. Umberto Mancini RIPRODUZIONE RISERVATA
Repubblica 26/06/2017
Il decreto – …
Con il via libera al decreto “banche venete”, il Governo ha messo in moto il meccanismo che porterà Popolare Vicenza e Veneto Banca a fondersi all’interno di Intesa Sanpaolo. La procedura è stata avviata venerdì scorso, quando la Bce ha stabilito che i due istituti erano di fatto falliti ma anche che non ci fossero le condizioni per un salvataggio secondo le regole europee che chiamano in causa correntisti ( sopra i 100mila euro ) e gli obbligazionisti perché le due banche non vengono considerate “sistemiche” per l’Eurozona, In pratica, sono troppo “piccole” per creare ricadute sulla stabilità finanziaria dell’Unione. Ora, dopo l’approvazione del decreto, cosa succede? I due istituti verranno messi in liquidazione coatta amministrativa e saranno nominati i commissari straordinari ( due dei quali dovrebbero essere gli amministratori delegati che hanno tentato un salvataggio in extremis, Fabrizio Viola e Cristiano Carrus. Il decreto, come si legge in una nota del ministero dell’Economia, dispone «la continuazione dell’esercizio dell’impresa» nonché «la cessione dell’azienda bancaria o rami di essa a un acquirente». Di fatto, da questa mattina non cambia niente, gli sportelli possono riaprire regolarmente anche grazie alla garanzia di «misure di sostegno pubblico alla cessione». Cosa succede ai correntisti di Popolare Vicenza e Veneto Banca? E a chi ha sottoscritto un mutuo? E agli obbligazionisti? Di fatto, non rischiano nulla. Non avendo attivato la procedura con le regole europee, non perderanno un euro sia i correntisti con depositi sopra i 100mila euro sia gli obbligazionisti senior. I primi, di fatto, diventano correntisti di Intesa Sanpaolo, mentre i secondi verranno rimborsati per il 100 per cento alla scadenza. Anche i risparmiatori che hanno sottoscritto obbligazioni subordinate (junior) verranno rimborsate del loro valore dal Fondo interbancario di tutela dei depositanti e da un contributo di Banca Intesa. Nessuna conseguenza anche per chi ha sottoscritto un mutuo o un prestito: d’ora in poi la loro controparte diventerà Intesa Così come non ci sono conseguenze per chi ha sottoscritto un fondo di investimento o titoli di stato attraverso Popolare Vicenza o Veneto Banca: non ci sarebbero stati comunque, perché la proprietà è del risparmiatore. A perdere il loro investimento sono ovviamente gli azionisti, per Veneto Banca sono 88mila e quelli di Popolare Vicenza 111 mila, anche coloro che sono stati “indotti” ad acquistare azioni delle due banche magari in connessione con la sottoscrizione di un mutuo o di un prestito. *** L’occupazione In arrivo quattromila esuberi e un taglio di quasi 600 sportelli Cosa succederà agli sportelli e soprattutto ai dipendenti di Popolare Vicenza e Veneto Banca? II governo ha stanziato risorse per limitare l’impatto perché – come si legge in una nota- si tratta di «due aziende bancarie importanti per un territorio importante». Questo non vuol dire che non ci saranno ricadute. Nel caso di doppioni, ovvero dove sono presenti anche sportelli di Intesa, si andrà a una razionalizzazione. Per evitare concentrazioni superiori a quelle consentite dalle regole sulla concorrenza: ne dovranno scomparire circa 600. Più complesso il discorso per il personale, ci sarà una serie di prepensionamenti che si allargheranno anche ai dipendenti di Intesa Sanpaolo e che riguarderà fino a 4mila addetti. Non per nulla, il decreto prevede una «erogazione fino a 1,285 miliardi alle banche in liquidazione perla gestione del personale» che sarà gestita proprio da Intesa Sanpaolo. Soddisfatti i sindacati dei bancari, a cominciare dalla Fabi perché «sono stati scongiurati i licenziamenti che voleva l’Europa». La First Cisl chiede, invece, al Parlamento di «istituire il reato di disastro bancario con specifiche aggravanti previste per i casi di danno al risparmio privato, di danno all’occupazione e di eccesso di retribuzione». Le risorse Il costo a carico del contribuente potrebbe teoricamente triplicare Ma a quanto ammonta l’intervento finanziario del governo nell’ambito del salvataggio di Popolare Vicenza e Veneto Banca? Al di là delle polemiche che inevitabilmente proseguiranno anche nei prossimi giorni, vediamo i numeri contenuti nella nota di chiarimenti del governo. Nel testo si scrive che «gli aiuti di Stato ammontano a 4,785 miliardi in termini di anticipo di cassa e 400 milioni di garanzie», per un totale di 5,2 miliardi. A cui si aggiungono «impegni per un importo massimo per 12 miliardi». Ma come sono suddivise queste voci? I primi 3,5 miliardi sono di «supporto finanziario a Banca Intesa per evitare che l’acquisizione di crediti ne peggiori i ratio patrimoniali». Poi ci sono 1,285 miliardi alle banche in liquidazione «per la gestione del personale». Si aggiunge una «garanzia» fino a 6,35 miliardi per crediti che potrebbero essere «retrocessi a seguito a nuove verifiche. Un’altra garanzia riguarda crediti al momento non a rischio ma che potrebbero diventarlo (e Intesa ha la facoltà di «ritrasferili alle banche in liquidazione» da qui a tre anni ). Infine, c’è una terza garanzia sui «rischi legali che sono in capo alle due banche in liquidazione», il cui computo totale è ancora da accertare ma che si aggira tra 1,5 e 2 miliardi. ***
ILSOLE24ORE.COM 25/06/2017
Intesa, due anni per riportare in utile gli asset veneti – …
Il primo responso è arrivato l’altro ieri notte tempo da Standard & Poor’s: l’offerta di Intesa Sanpaolo sulle due ex popolari venete, se verrà accolta così come costruita, non avrà alcun effetto sul rating di Ca’ de Sass, attualmente BBB- (allineato a quello dello Stato). In pratica, gli analisti ritengono realistiche le promesse formulate da Carlo Messina: in fatto di capitale, destinato a rimanere all’attuale 12,8% di Cet1, ma anche di «politica dei dividendi». Una presa di posizione che arriva dopo quella del mercato, che da quando ha conosciuto i termini della «disponibilità» di Intesa ha premiato il titolo più degli altri bancari, ma che ora sposta la palla nel campo della banca. Che dovrà dimostrare, con i fatti, di essere in grado di estrarre valore da due banche che dal 2014 in avanti hanno sempre chiuso in rosso; alleggerendo la struttura (con il contributo dello Stato)?e agganciando alla rete di filiali il business per lo più commissionale – wealth management, assicurazione, crediti – che finora ha consentito a Intesa Sanpaolo di distribuire 6,6 miliardi di dividendi negli ultimi tre anni. Da domani mattina, se tutto va come dovrebbe andare, i clienti “buoni” di Popolare Vicenza e Veneto Banca diventeranno clienti di Intesa Sanpaolo. Che così inizierà la settimana da leader di mercato in Veneto, scavalcando in un colpo solo UniCredit e BancoBpm. Da quel momento sportelli e masse saranno annegati in quelli del gruppo, ma la sfida sarà quella di riportare in utile il perimetro appena acquisito: un traguardo che secondo gli analisti potrebbe essere raggiunto ragionevolmente nello spazio di due anni. Ma, come ha fatto Ubi nella recente acquisizione delle good banks, i conti ha senso farli in un orizzonte triennale, ed è così che nel 2020 – con l’integrazione a regime – gli asset in via di acquisizione potrebbero generare un contributo all’utile di gruppo pari a 389 milioni, secondo le stime di un accurato report elaborato da Equita Sim. Secondo il team guidato da Giovanni Razzoli, nel 2018 l’impatto dell’acquisizione sarà negativo per 114 milioni sull’ultima riga del bilancio:?l’utile netto di gruppo, così, potrebbe scendere dai 3,39 miliardi attualmente previsti a quota 3,27, scontando un impatto di 33 punt base sul RoTE. I primi effetti positivi potrebbero invece registrarsi nel 2019: 116 milioni il contributo all’utile dei nuovi asset (pari a 33 punti base in più di RoTE), che consentirebbero al gruppo di sfondare quota 4 miliardi. Nel 2020, si diceva, l’apporto dovrebbe salire a quota 389 milioni, per un RoTE di gruppo pari al 13%, di cui 108 punti base riconducibili agli asset veneti in fase di acquisizione. A regime, Equita calcola in 690 milioni le sinergie complessive, di cui 312 milioni riconducibili al taglio dei costi (strutture centrali e, soprattutto, esuberi): di qui l’importanza della trattativa condotta fino all’ultimo con il Tesoro e la Commissione europea sui contributi pubblici, destinati – in base alle ricostruzioni di queste ore – ad accompagnare all’uscita oltre 4mila persone, tra personale delle ex popolari venete e di Intesa Sanpaolo. Più del doppio di quanto previsto negli attuali piani di uscite anticipate formulati dai tre istituti: a Vicenza il piano al 2019 prevedeva circa 700 uscite, con 575 lavoratori potenzialmente prepensionabili con fondo esuberi, secondo la stima del sindacato dei bancari Fabi; a Montebelluna le uscite nel piano al 2020 erano 180, mentre Intesa Sanpaolo – che oggi conta oltre 89.100 dipendenti in Italia e estero – contempla circa mille uscite previste nel piano al 2020 e 332 lavoratori prepensionabili con fondo esuberi. A conti fatti, la nuova realtà vedrà oltre 100 mila posti di lavoro e 6mila sportelli. Inevitabili, secondo quanto risulta a Il Sole 24 Ore, alcuni alleggerimenti per rispettare la soglia Antitrust che prevede una concentrazione massima del 30% delle masse in capo a un solo operatore. Un parametro che la nuova Intesa rischia di superare senz’altro in alcune aree del Veneto, Padova e Rovigo in testa, dove la presenza era già storicamente radicata: oltre alla chiusura di filiali ci sarà anche da mettere in conto qualche cessione, probabilmente, ma anche su questo versante la banca avrebbe chiesto di poter operare in tempi ragionevoli. © Riproduzione riservata
LIBEROQUOTIDIANO.IT 25/06/2017
Tutta la verità sul salvataggio delle banche bollite. Esclusiva Libero: ecco i numeri definitivi del piano – …
Lo schema per l’accordo tra Intesa Sanpaolo e il governo era stato trovato definito la scorsa settimana. Ma ci sono voluti più di 10 giorni per chiudere la partita, col decreto legge che oggi sarà approvato dal governo in un consiglio dei ministri straordinario, sulle banche venete comprate dal colosso comandato da Carlo Messina. Chi si interroga sui motivi dell’inatteso ritardo potrebbe trovare le risposte “sfogliando” il registro telefonico della segreteria tecnica del ministero dell’Economia. Gli sherpa di alcuni importanti istituti di credito italiani ostili a Intesa, secondo fonti ben informate, hanno tentato di far saltare l’acquisto di Popolare di Vicenza e Veneto Banca lavorando sotto traccia. Continue telefonate nelle quali venivano sollevati dubbi e perplessità sull’operazione, anche in relazioni a presunti dubbi dell’Unione europea che, in realtà, non ha evidenziato criticità insormontabili. Un attacco sotterraneo che è apparso subito come un gesto di gelosia, al quale tuttavia qualcuno ha dato credito a via Venti Settembre. Ecco perché Messina, quando si è accorto delle azioni di disturbo, ha sparigliato il tavolo convincendo definitivamente il governo e soprattutto dando al ministro Pier Carlo Padoan motivi validi per chiudere la questione coi detrattori interni. E in tempi rapidi. Il piano, dunque, è pronto. Ecco i dettagli. Secondo quanto appreso da Libero, il perimetro oggetto di acquisto include crediti in bonis diversi da quelli ad alto rischio per circa 26,1 miliardi di euro, attività finanziarie per circa 8,9 miliardi di euro, le partecipazioni in Banca Apulia e Banca Nuova oltre quelle in Sec Servizi e in Servizi Bancari. Intesa rileverà pure le quote delle banche con sede in Moldavia, Croazia e Albania. Nell’operazione finiranno anche 28,5 miliardi di debiti verso la clientela, 11,8 miliardi di obbligazioni sentire e 23 miliardi di raccolta. Quanto alla rete, il gruppo presieduto da Gian Maria Gros Pietro comprerà circa 900 sportelli in Italia (60 all’estero, inclusa la rete di filiali in Romania) e circa 10mila persone in Italia su quasi 14mila e circa 900 all’estero. Sul personale, subir, le eccedenze per le venete sono 4.000, ma solo 1.500 lavoratori hanno i requisiti (età anagrafica e contributi previdenziali) per i prepensionamenti a sette anni. I 2.500 extra verranno gestiti con la riapertura del fondo esuberi nel gruppo Intesa. Manovra grazie alla quale Ca de’ Sass potrà liberarsi di altri suoi dipendenti: quelli di Intesa che hanno i requisiti per accedere al fondo sono 8.200. La situazione – nel settore – è considerata gestibile. L’ad di Intesa ha stretto infatti un patto coi sindacati di categoria e in particolare con la Fabi. Patto che è raccontato, tra altro, anche dalla lunga sequenza di comunicati stampa diramati con tempistica chirurgica dall’organizzazione guidata da Lando Maria Sileoni. L’asse di ferro tra il primo gruppo bancario del Paese e il principale sindacato del settore si è rivelato politicamente strategico nel corso dei negoziati che si sono protratti per tutta questa settimana. Nei momenti critici la Fabi ha giocato di sponda con Intesa che lavorava da mesi, a fari spenti, sul dossier riuscendo a non far trapelare nulla all’esterno. Fatto sta che l’offerta di acquisto di Vicenza e Montebelluna alla cifra simbolica di un euro, formalizzata martedì dal consiglio di amministrazione dell’istituto, non è stata digerita facilmente dai banchieri italiani. E in questo senso, Sileoni ha sostanzialmente aiutato Messina a mettere tutti d’accordo, intessendo una fitta rete di contatti ai piani alti dell’industria creditizia del Paese. La soluzione di sistema – ecco il problema – di fatto non era condivisa, anche se a parole in tanti hanno dato la disponibilità, come Unicredit, Iccrea sostenuta da Mediobanca e Bnp Paribas. Tra i nodi principali dell’operazione c’erano gli esuberi e la Fabi ha convinto gli attori in campo che non esistevano alternative percorribili: qualsiasi soluzione diversa al piano Intesa avrebbe cagionato un terremoto nel settore a livello occupazionale e i licenziamenti avrebbero portato allo scontro col sindacato. E quando Padoan ha preso atto del quadro complessivo, venerdì ne ha immediatamente parlato col premier, Paolo Gentiloni, e hanno concordato il cdm straordinario inizialmente previsto per ieri e poi slittato a oggi. di Francesco De Dominicis
NEWSRSS24.COM 25/06/2017
Intesa, due anni per riportare in utile gli asset veneti – …
Il primo responso è arrivato l’altro ieri notte tempo da Standard & Poor’s: l’offerta di Intesa Sanpaolo sulle due ex popolari venete, se verrà accolta così come costruita, non avrà alcun effetto sul rating di Ca’ de Sass, attualmente BBB- (allineato a quello dello Stato). In pratica, gli analisti ritengono realistiche le promesse formulate da Carlo Messina: in fatto di capitale, destinato a rimanere all’attuale 12,8% di Cet1, ma anche di «politica dei dividendi». Una presa di posizione che arriva dopo quella del mercato, che da quando ha conosciuto i termini della «disponibilità» di Intesa ha premiato il titolo più degli altri bancari, ma che ora sposta la palla nel campo della banca. Che dovrà dimostrare, con i fatti, di essere in grado di estrarre valore da due banche che dal 2014 in avanti hanno sempre chiuso in rosso; alleggerendo la struttura (con il contributo dello Stato)?e agganciando alla rete di filiali il business per lo più commissionale – wealth management, assicurazione, crediti – che finora ha consentito a Intesa Sanpaolo di distribuire 6,6 miliardi di dividendi negli ultimi tre anni. Da domani mattina, se tutto va come dovrebbe andare, i clienti “buoni” di Popolare Vicenza e Veneto Banca diventeranno clienti di Intesa Sanpaolo. Che così inizierà la settimana da leader di mercato in Veneto, scavalcando in un colpo solo UniCredit e BancoBpm. Da quel momento sportelli e masse saranno annegati in quelli del gruppo, ma la sfida sarà quella di riportare in utile il perimetro appena acquisito: un traguardo che secondo gli analisti potrebbe essere raggiunto ragionevolmente nello spazio di due anni. Ma, come ha fatto Ubi nella recente acquisizione delle good banks, i conti ha senso farli in un orizzonte triennale, ed è così che nel 2020 – con l’integrazione a regime – gli asset in via di acquisizione potrebbero generare un contributo all’utile di gruppo pari a 389 milioni, secondo le stime di un accurato report elaborato da Equita Sim. Secondo il team guidato da Giovanni Razzoli, nel 2018 l’impatto dell’acquisizione sarà negativo per 114 milioni sull’ultima riga del bilancio:?l’utile netto di gruppo, così, potrebbe scendere dai 3,39 miliardi attualmente previsti a quota 3,27, scontando un impatto di 33 punt base sul RoTE. I primi effetti positivi potrebbero invece registrarsi nel 2019: 116 milioni il contributo all’utile dei nuovi asset (pari a 33 punti base in più di RoTE), che consentirebbero al gruppo di sfondare quota 4 miliardi. Nel 2020, si diceva, l’apporto dovrebbe salire a quota 389 milioni, per un RoTE di gruppo pari al 13%, di cui 108 punti base riconducibili agli asset veneti in fase di acquisizione. A regime, Equita calcola in 690 milioni le sinergie complessive, di cui 312 milioni riconducibili al taglio dei costi (strutture centrali e, soprattutto, esuberi):?di qui l’importanza della trattativa condotta fino all’ultimo con il Tesoro e la Commissione europea sui contributi pubblici, destinati – in base alle ricostruzioni di queste ore – ad accompagnare all’uscita oltre 4mila persone, tra personale delle ex popolari venete e di Intesa Sanpaolo. Più del doppio di quanto previsto negli attuali piani di uscite anticipate formulati dai tre istituti: a Vicenza il piano al 2019 prevedeva circa 700 uscite, con 575 lavoratori potenzialmente prepensionabili con fondo esuberi, secondo la stima del sindacato dei bancari Fabi; a Montebelluna le uscite nel piano al 2020 erano 180, mentre Intesa Sanpaolo – che oggi conta oltre 89.100 dipendenti in Italia e estero – contempla circa mille uscite previste nel piano al 2020 e 332 lavoratori prepensionabili con fondo esuberi. A conti fatti, la nuova realtà vedrà oltre 100 mila posti di lavoro e 6mila sportelli. Inevitabili, secondo quanto risulta a Il Sole 24 Ore, alcuni alleggerimenti per rispettare la soglia Antitrust che prevede una concentrazione massima del 30% delle masse in capo a un solo operatore. Un parametro che la nuova Intesa rischia di superare senz’altro in alcune aree del Veneto, Padova e Rovigo in testa, dove la presenza era già storicamente radicata:?oltre alla chiusura di filiali ci sarà anche da mettere in conto qualche cessione, probabilmente, ma anche su questo versante la banca avrebbe chiesto di poter operare in tempi ragionevoli. © Riproduzione riservata Fonte: ilsole24ore.com –
TWEETIMPRESE.COM 25/06/2017
Banche: ok del Consiglio dei ministri al salvataggio di popolare Vicenza e Veneto Banca – …
Via libera del consiglio dei ministri, secondo quanto si apprende, al decreto che crea la cornice normativa per la ‘liquidazione ordinata’ (liquidazione coatta amministrativa) di Veneto Banca e Popolare Vicenza, con il conseguente passaggio della parte sana delle due venete a Intesa Sanpaolo. Gia nella notte tra sabato e domenica sarebbe stato raggiunto l’accordo con il gruppo guidato da Carlo Messina, che ha poi avuto dal Consiglio di Amministrazione il mandato a concludere l’operazione. E’ una corsa contro il tempo quella per salvare le banche venete e garantire che lunedì mattina gli sportelli riaprano regolarmente, dopo che la Bce le ha dichiarate ‘fallite’. Il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan è stato per tutto il pomeriggio di sabato con il suo staff a Palazzo Chigi, un lavoro febbrile per definire tutti i dettagli ‘in punta di diritto’, in modo da ‘blindare’ l’operazione. Ed è così slittato di un giorno il Consiglio dei ministri che ha varato decreto con la ‘cornice’ di regole. Il gruppo guidato da Carlo Messina potrà ora acquistare al prezzo simbolico di 1 euro le attività di Veneto Banca e Popolare Vicenza dopo la separazione delle ‘attività malate’ dei due istituti, garantendo allo stesso tempo gli obbligazionisti senior e i depositanti. In Europa c’è chi vuole i licenziamenti ha detto il segretario della Fabi, Lando Maria Sileoni. Altro nodo è il ‘no’ di Intesa alla richiesta del governo di partecipare al rimborso dei titolari di bond subordinati, che saranno praticamente azzerati insieme agli azionisti. C’è poi la necessità, per Intesa, di avere la certezza che vi sarà corrispondenza fra il decreto e la legge in cui verrà convertito. Il governo ha fatto presente che può garantire il suo impegno e che i tempi saranno veloci, ma non risulta che ci siano tecnicismi normativi in grado di blindare il testo. Intanto, i cda delle venete hanno fatto il punto della situazione in due riunioni lampo, nel pomeriggio. Tutti adesso pensano basti un euro – ha detto Gianni Mion, presidente della Popolare di Vicenza a margine di un evento a Milano – Io non posso valutare la proposta, non mi posso lamentare dei professori, io sono stato bocciato. È stato bocciato tutto, le persone, il piano e pure io. Fiducioso il presidente emerito di Intesa, Giovanni Bazoli, secondo il quale l’offerta di Ca’ de Sass avvia il problema verso una soluzione finale e rapida del problema, che è quello che tutti ci auspichiamo. Anche per il presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia, l’offerta è buona. Quindi, ha aggiunto, accontentiamoci pragmaticamente di un’offerta e di una grande banca senza la quale avremmo avuto molti più problemi.