IL SOLE 24 ORE venerdì 27 maggio 2016
Capitale di rischio, private equity, Élite: il nodo dei finanziamenti
Roma. Prima il richiamo ai propri diretti interlocutori. «Le imprese devono utilizzare strumenti alternativi e diventare meno banco-centriche» perché «il nostro obiettivo come imprenditori è raccogliere capitale adeguato ai piani di crescita industriale: più capitale di rischio, meno di debito». Il nuovo presidente di Confindustria, Vincenzo Boccia, batte sulla necessità di un cambio di cultura. E spiega che «l’ingresso di un fondo di private equity nel nostro capitale è un’opportunità, non va guardato con timore». Non basta. Poiché la necessità è di avere imprese eccellenti in ogni funzione aziendale, Boccia ha anche detto che «non dobbiamo rimanere soggiogati dalla paura di perdita del controllo». Di qui, l’assunzione di un impegno preciso: studiare azioni e proposte per favorire questa trasformazione culturale, e agire affinché «al programma “Élite” di Borsa italiana partecipi un numero molto più ampio d’imprese».
Sono terreni sui quali anche il governo è concretamente impegnato, in questo momento. È in preparazione un decreto che conterrà misure per potenziare finanziamenti non bancari alle Pmi. Anche sul tema dei finanziamenti creditizi, però, Boccia è stato netto. «Alle banche – ha dichiarato – vogliamo strappare una promessa. Quella di tornare dentro le imprese a parlare con noi imprenditori. Nei nostri capannoni, non nei vostri uffici». E l’invito è ad attrezzarsi a valutare gli asset intangibili delle aziende, i rapporti con clienti e fornitori, la reputazione, le reti commerciali, tutti elementi qualitativi che in una società in profonda trasformazione vanno valutati al pari del bilancio.
«Diventiamo tutti esperti di futuro, non di passato» ha detto Boccia. Dal mondo del credito, ieri, alcune risposte sono arrivate. Così il presidente dell’Abi, Antonio Patuelli, che nel complesso ha dato un giudizio molto positivo sulla relazione, ha osservato che quello che il presidente di Confindustria chiede alle banche – tornare a parlare con le imprese – «sta già avvenendo, sono i direttori di filiale che rincorrono gli imprenditori veri». «Noi abbiamo un problema – ha affermato ieri Patuelli – l’eccesso di norme che burocratizzano il nostro lavoro, le continue Basilee non ci aiutano». Sulla stessa lunghezza d’onda Carlo Messina, ad di Intesa Sanpaolo: «Con questo presidente di Confindustria abbiamo fatto tutti gli accordi quando era a capo della Piccola di Confindustria, quindi noi siamo abituati a interagire con Vincenzo Boccia e se abbiamo erogato oltre 27 miliardi di crediti a medio e lungo termine l’anno scorso, è perché le nostre persone vanno nei capannoni e sono vicine alle aziende» ha osservato. Secondo Lando Maria Sileoni, segretario generale della Fabi, «alcune rigidità denunciate dal presidente di Confindustria Boccia, che ha detto che “le banche non devono guardare solo i conti ma entrare nei capannoni”, effettivamente esistono, ma il fardello delle sofferenze bancarie certamente non stimola una migliore elasticità nella valutazione del merito creditizio». Il riferimento è ai 196 miliardi e 193 milioni di sofferenze lorde che continuano a gravare sui bilanci delle banche italiane, o meglio, agli 83 miliardi e 634 milioni di sofferenze al netto di accantonamenti e svalutazioni già effettuate. Un’eredità della profonda recessione che, come ha detto il ministro Pier Carlo Padoan, richiederà non meno di tre anni per essere smaltita e che spinge le imprese a ricercare canali di finanziamento alternativi. © RIPRODUZIONE RISERVATA Rossella Bocciarelli