IL TEMPO, martedì 15 dicembre 2015
L’accusa – Il segretario Fabi, Lando Sileoni, spiega che i vertici hanno approfittato della fedeltà agli istituti dei lavoratori – «Hanno fregato anche i dipendenti» – titoli venduti agli impiegati di Etruria senza comunicare lo stato di crisi della banca
-Filippo Caleri-
Anche molti dipendenti delle quattro banche salvate dal crac con il decreto del governo sono rimasti con il cerino in mano. A molti di loro infatti sono state proposte le obbligazioni subordinate e le azioni andate in fumo.
«E la cosa grave è che anche a loro i vertici hanno nascosto la situazione di crisi in cui versava l’istituto» spiega a Il Tempo il segretario generale della Fabi, Lando Sileoni. Non è escluso insomma che, per raccogliere liquidità che mancava nelle casse, sia stato sfruttato il senso di appartenenza che i dipendenti hanno in istituti così piccoli scaricando su di loro prodotti rischiosi. O quantomeno tacendo l’elevata rischiosità determinata dalle sofferenze nei bilanci. Così, tanti, anche tra gli impiegati delle banche, sono rimasti scottati dal crac. «Nel gruppo Etruria, ad esempio – segnala Sileoni – su 1700 dipendenti, 1200 erano soci, 100 avevano obbligazioni subordinate in proprio e circa 400 nel nucleo familiare. Il controvalore perso è di circa 3,8 milioni». Ma così è stato per le altre banche andate in default. Su circa 1000 dipendenti Carife, ad esempio, oltre il 50% è possessore di azioni il cui valore è oggi pari a zero. Insomma la fedeltà aziendale e il senso di appartenenza sono costati caro.
«Un tradimento bello e buono perché le obbligazioni subordinate servono ad autofinanziarsi, portare liquidità in cassa, e spesso questa è stata usata per dare prestiti facili agli amici degli amici» chiosa Sileoni. Dunque, per continuare la gestione “allegra”, ai dipendenti, come ai clienti, veniva negata la trasparenza su quanto veniva offerto, visto che la banca non li informava dello stato di crisi che viveva. Non è escluso comunque che ci siano state anche pressioni per far sottoscrivere i titoli. Ma le prove certe in questo caso non si hanno. Quello che è certo che «ai dipendenti di banca spesso viene applicata una politica commerciale che gli impone di vendere polizze assicurative, mutui, scoperto di conto corrente, carte di credito e anche obbligazioni subordinate. In gergo tecnico sono definite pressioni commerciali che abbiamo sempre contrastato» spiega Sileoni che tiene a ribadire con forza «che non sono previsti a livello contrattuale premi in denaro a chi vende più prodotti finanziari alla clientela». Una pratica del genere, che trasforma i bancari in venditori, è stata sempre rigettata. Ma questo non esclude che alcune direzioni generali unilateralmente, senza il consenso del sindacato, abbiano contrattato queste gratifiche a livello individuale. «Questo per dire – spiega il segretario Fabi Sileoni – che non è vero che siano i bancari a spingere la vendita di prodotti anche rischiosi per raggiungere i budget prefissati dalle direzioni ignorando o tralasciando gli aspetti informativi. Al contrario i dipendenti sono le prime vittime e non i complici di questo stato di cose». Dopo il crac, infatti, i bancari degli istituti salvati da decreto del governo sono giornalmente soggetti a minacce e aggressioni da parte di azionisti e obbligazionisti correntisti infuriati. Quanto alla situazione attuale Sileoni riconosce che il decreto del governo è stato comunque positivo perché ha salvato i depositi, le banche e 6 mila posti di lavoro ma ha soprattutto evitato l’effetto domino su tutto il sistema bancario. «Che sarebbe stato più pericoloso» conclude Sileoni.