MF-MILANO FINANZA, mercoledì 21 gennaio 2015
Bancari e banchieri presi in contropiede. Tranne uno
Al di là di come finirà questo blitz della presidenza del consiglio sull’assetto delle banche popolari e di credito cooperativo, una cosa è certa: la distanza siderale dei banchieri e di chi li rappresenta dalle autorità di governo. Solo di recente l’attività del Comitato per l’autoriforma delle Popolari, formato da Angelo Tantazzi, Piergaetano Marchetti e Alberto Quadrio Curzio, era stata presentata al ministero dell’Economia per una ricognizione sui lavori e il messaggio ricevuto era stato: bene così, andate avanti. A svegliare il banchier che dorme è stato l’allarme lanciato da Lando Maria Sileoni, leader della Fabi, venerdì 16 gennaio, appena dopo le sibilline dichiarazioni di Matteo Renzi al momento dell’annuncio di un «provvedimento sul credito». Aveva detto Renzi: «Non abbiamo avuto paura di intervenire sul numero di parlamentari, non avremo paura di farlo sul numero dei banchieri. Ci sono tantissime banche e pochissimo credito, soprattutto per le piccole e medie imprese», ammettendo di avere in cantiere una riforma per razionalizzare il settore. La replica di Sileoni era stata immediata: «Se il Presidente Renzi vuole diminuire i banchieri faccia pure, ma riformare le banche popolari, le banche di credito cooperativo e le banche locali che hanno sempre sostenuto l’economia dei territori, trasformandole in spa, è un errore perché inevitabilmente si creerebbero le condizioni per ulteriori tagli del personale ed esuberi in misura importante. Nel totale disinteresse dei partiti abbiamo perso in 15 anni 68 mila posti di lavoro. Ci auguriamo che la sensibilità sociale del Presidente Renzi sia al fianco delle organizzazioni sindacali, che nell’attuale rinnovo contrattuale stanno difendendo, con ogni mezzo, i posti di lavoro». Solo in quel momento è apparso chiaro ai banchieri delle popolari e ai responsabili delle banche di credito cooperativo italiane che la cosa aveva preso una velocità inattesa. (riproduzione riservata)
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CORRIERE DELLA SERA, mercoledì 21 gennaio 2015
I sindacati: «Più rischi per il lavoro»
Negative le reazioni dei sindacati dei bancari alla riforma delle popolari. «Questa decisione mette a rischio posti di lavoro per l’inevitabile avvio di aggregazioni. Inoltre bisogna mettere in conto la possibile perdita fra 18 mesi dell’italianità delle banche a forte rischio di fronte ai
capitali stranieri», ha messo in guardia Lando Sileoni, segretario generale della Fabi, il sindacato più rappresentativo tra i bancari. «Abi e Federcasse – aggiunge Sileoni – dimostrino intelligenza politica rivedendo le loro posizioni di chiusura sui contratti». Dal canto suo Agostino Megale, segretario generale di Fisac Cgil, ricorda che «le difficoltà principali nel settore, individuate anche con gli stress test, riguardano alcune società per azioni, non si capisce perché trasformare le popolari in spa rilancerebbe il sistema». «Con un percorso d’urgenza si liquidano 150 anni di storia – chiude il segretario della Cisl Luigi Sbarra insieme con Giulio Romani, a capo della Fiba Cisl –. Le conseguenze oggi forse non sono valutate a sufficienza». © RIPRODUZIONE RISERVATA
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LA REPUBBLICA, mercoledì 21 gennaio 2015
L’asse tra cattocomunisti e forzaleghisti nella trincea dei resistenti
(cliccare sull’immagine per ingrandire)
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LA GAZZETTA DEL MEZZOGIORNO, mercoledì 21 gennaio 2015
I sindacati: si colpiscono le banche che funzionano Ora fusioni e posti a rischio
“Non capisco l’urgenza urgenza di procedere con decreto sul tema delle banche popolari, che potrebbe tranquillamente far parte di un disegno di legge e favorire così la stessa discussione parlamentare”. Così il segretario generale della Fisac Cgil, Agostino Megale, sul decreto approvato dal Cdm. “Rammento – prosegue – che le difficoltà principali nel settore, individuate anche con gli stress test, riguardano alcune Spa per cui non si capisce il perché trasformare le 10 popolari in Spa rilancerebbe il sistema, semmai mette a rischio l’occupazione occupazione”. Non è l’unica unica voce sindacale preoccupata, quella di Megale. “Se il presidente Grasso deciderà di firmare il decreto, convalidando il percorso di urgenza con cui una questione così importante per l’economia economia e la democrazia nel Paese viene liquidata senza alcun contraddittorio, 150 anni di storia fatta di sussidiarietà e di partecipazione saranno d’un un tratto cancellati, con conseguenze oggi forse non sufficientemente valutate”. Lo affermano in una nota congiunta Luigi Sbarra, Segretario Confederale Cisl e Giulio Romani Segretario Generale Fiba Cisl che chiedono un incontro al presidente Grasso per spiegare che “le ragioni che sostengono il provvedimento del Governo cozzano drammaticamente con i fatti, che dimostrano come il sistema di governance delle Banche Popolari non è mai stato di alcun impedimento né alla salute economica delle stesse, né alla loro capacità di assolvere la funzione sociale di erogazione creditizia e di tutela del risparmio”. Il decreto mette “a rischio posti di lavoro per l’inevitabile inevitabile avvio di aggregazioni” e inoltre apre la strada alla “possibile perdita, fra 18 mesi, del’italianità italianità delle banche, a forte rischio di fronte ai capitali stranieri”. Così il segretario generale della Fabi, Lando Maria Sileoni. “Abi e Federcasse – è l’invito invito di Sileoni – dimostrino intelligenza politica rivedendo le loro posizioni di incomprensibile chiusura sui contratti di lavoro di 350mila mila bancari italiani”. “Prima vedremo se Grasso lo firmerà e cosa ne dirà il Parlamento ma sono estremamente preoccupato delle ripercussioni che ciò avrà sull’occupazione occupazione del credito e così rendiamo le prime 10 banche popolari scalabili da capitali stranieri. Mi viene da pensare che fosse proprio questo l’obiettivo obiettivo”. È il commento in una nota del segretario della Uilca, Massimo Masi. “Renzi – attacca Masi – insiste nell’attribuire attribuire il problema al numero elevato dei banchieri, mentre invece avrebbe potuto intervenire, come hanno fatto altri paesi, ponendo un tetto sulla retribuzione dei manager italiani”. Inoltre “corrispondono a falsità le affermazioni che stanno circolando che questa trasformazione in Spa agevoli la risoluzione dei problemi di Mps e Carige.
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Timori anche da parte dei sindacati Un vertice di Assopopolari
Assopopolari, l’associazione associazione nazionale delle banche popolari presieduta da Ettore Caselli di Bper (nella foto), è pronta a reagire e per questo ha indetto una riunione di vertice per domani. Caselli già alla vigilia del Consiglio dei ministri aveva esposto le perplessità di Assopopolari sul decreto, ricordando che sulla materia è da tempo al lavoro una commissione composta da accademici. Caselli ha auspicato che l’associazione associazione possa fornire un proprio contributo al perfezionamento della riforma, anche perchè un adeguamento delle normative alle mutate esigenze del sistema bancario viene ritenuto realmente necessario. Anche i sindacati dei bancari Fabi e Uilca ieri hanno espresso il timore della perdita di posti di lavoro e dei legami con i territori in seguito a scalate e aggregazioni favorite dalla trasformazione delle Popolari in spa. Del resto da due giorni le Popolari quotate in Borsa sono state prese d’assalto assalto da speculatori che hanno cercato di fare incetta di azioni, su tutte proprio Bper. «Prima vedremo se il presidente Grasso firmerà il decreto e cosa ne dirà il Parlamento – ha detto Massimo Masi di Uilca – ma sono preoccupato delle ripercussioni sull’occupazione occupazione del credito e così rendiamo le prime 10 banche popolari scalabili da capitali stranieri. Forse proprio questo era l’obiettivo obiettivo». Queste le prime dieci Popolari italiane in base all’attivo attivo patrimoniale: Banco Popolare 123,7 7 miliardi; Ubi Banca 121,3 3; Bper 61,2 2; Bpm 49,2 2; Popolare di Vicenza 44,2 2; Veneto Banca 35,9 9; Popolare di Sondrio 30,4 4; Credito Valtellinese 26,8 8; Popolare Etruria e Lazio 16,3 3; Popolare di Bari 9.9 9. Sette di queste sono anche quotate in Borsa. Il sistema delle Popolari conta complessivamente 70 istituti con 9.248 248 sportelli e 1,34 34 milioni di soci.
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L’ECO DI BERGAMO, mercoledì 21 gennaio 2015
“Colpite le banche migliori, spazzati 150 anni di storia”
Una riforma che «lascia sbalorditi», dice senza mezzi termini Paolo Citterio, coordinatore del sindacato Fabi in Ubi . E aggiunge: «È bene informare gli utenti bancari che questo provvedimento non migliorerà le cose, anzi consegna le migliori banche popolari ai grandi capitali finanziari che non saranno certo interessati a migliorare l’attenzione attenzione alla semplice clientela o alle piccole imprese. Aumenteranno i giochi di potere politici e finanziari che nulla hanno a che vedere con una seria attività bancaria tradizionale». E per quanto riguarda, nello specifico, il gruppo Ubi? «Per Ubi risponde Citterio – significa cancellare in un minuto 150 anni di storia. I mali del sistema bancario vanno affrontati in modo serio, colpendo chi ha portato al “fallimento di fatto” e al commissariamento varie banche in Italia (spesso proprio delle Spa). Con questo decreto Renzi colpisce invece le banche migliori, le meglio gestite e maggiormente patrimonializzate». E ricorda ancora Citterio: «Non va dimenticato infine che Ubi nel 2013 aveva varato un sistema misto, un giusto equilibro fra capitali e soci: evidentemente il giovane premier dimostra di non rappresentare i cittadini ma le grandi e potenti lobby del paese». Il sindacalista Fabi non entra nel merito degli equilibri Bergamo- Brescia in Ubi che potrebbero essere alterati dal provvedimento governativo ma guarda oltre: «Non è questione di Bergamo e Brescia. Il fatto è che questo decreto spazza via tanto i bergamaschi quanto i bresciani, aprendo la strada agli arabi e ai cinesi». Un giudizio severo arriva anche da un altro sindacato dei bancari Ubi, la Fiba- Cisl di Bergamo. Dice Andrea Battistini: «L’intervento intervento del governo volto al superamento del voto capitano con la trasformazione in Spa delle principali banche popolari, come dice Renzi, “è un momento storico”. Storico sì ma perché con un colpo di mano dell’ultima ultima ora si cancellano storie di persone e di territori, sacrificati sull’altare altare del valore dominante, il capitale». Quale valore aggiunto – si chiede Battistini – viene creato per la collettività? «Con l’obiettivo obiettivo di mi- gliorare il governo societario e favorire la concorrenza nel settore bancario il provvedimento, di fatto, crea valore solo per il mercato, senza certezza alcuna che l’economia economia reale, quella delle imprese e delle famiglie per capirci, possa averne dei benefici». E ancora si chiede il sindacalista FibaCisl Cisl: «Il mercato è al servizio della società, oppure la società è asservita al mercato e ai suoi interessi? Se il governo voleva intervenire, come sostiene, contro i banchieri, aveva un disegno di legge popolare che abbiamo già depositato con 120 mila firme contro i superstipen di dei manager. Ma forse l’obiettivo obiettivo era un altro». Conclude Battistini con una valutazione complessiva del provvedimento assunto ieri dal consiglio dei ministri: «La valutazione è negativa, sia per la forma del provvedimento adottato (decreto), che per la sostanza. Ci aspettano sicuramente dei grandi cambiamenti e come sindacato faremo, come sempre, la nostra parte».
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CORRIERE DI BERGAMO, mercoledì 21 gennaio 2015
Un coro di critiche e Jannone reclama «i diritti d’autore» – Caldiani: si cancellano secoli di storia. Bonomi Deleuse: provvedimento incomprensibile
«Sono shoccato come tutti quelli che hanno lavorato 40 anni per una banca cooperativa»: questo il commento «emotivo» di Graziano Caldiani, presidente degli «Amici di Ubi». «Con un provvedimento politico e non giuridico, il governo con un tratto di penna, tirato pure male, cancella due secoli di storia delle banche italiane. Ora si tratterà di leggere le disposizioni applicative che il decreto contiene. Cosa succederà nei prossimi mesi? Immagino, venendo a Ubi, che il 25 aprile voteremo ancora per teste, ma poi? Mi auguro che il decreto non venga convertito in legge e che tutte le forze politiche, sindacali e di categoria si muovano in questo senso». «È un provvedimento incomprensibile nella forma e nella sostanza — gli fa eco il presidente dell’Associazione Ubi Banca popolare!, Antonio Bonomi Deleuse — non si capisce perché sia stato adottato un decreto in fretta e furia anziché un normale iter legislativo, senza poi contare il crinale della soglia degli 8 miliardi di attivi. La ricchezza territoriale delle banche federali, il cuore di Ubi, esce a pezzi e rischia di spezzare per sempre il circolo virtuoso, frutto di una storia secolare». Giorgio Jannone, presidente dell’Associazione Azionisti di Ubi lancia un messaggio al premier: «Volendo fare una battuta, Renzi dovrebbe pagarmi i diritti d’ autore per il decreto che ricalca con la massima precisione i disegni di legge che ho presentato dal 1994 ad oggi in tema di riforma delle popolari». Secondo Jannone «per Ubi la trasformazione sarà “eteroguidata” da Banca d’Italia, accelerata se si vorrà la partecipazione in Montepaschi, posticipata all’assemblea 2016 se la questione sarà risolta in altri modi: in ogni caso gli attuali vertici dovranno dimettersi prima della prossima assemblea». Sul fronte sindacale, netta la presa di posizione di Luigi Bresciani, segretario generale della Cgil, che bolla la riforma come «inopportuna nel metodo e non necessaria nel merito» focalizzando l’attenzione sul destino di Ubi: «Il risultato della trasformazione in Spa sarà l’acquisto a prezzi stracciati da parte di finanziarie neppure italiane; alcuni grandi investitori, anche bergamaschi e bresciani, ricaveranno un mucchio di soldi, i piccoli investitori un piatto di lenticchie, le famiglie, le imprese del territorio, le comunità locali avranno tutto da perdere e nulla da guadagnare». Pensa ai territori anche Gigi Petteni, segretario nazionale Cisl: «È un provvedimento antistorico, perché va contro la storia e le necessità della gente e dei territori che, attraverso questo modello, hanno sviluppato benessere e ricchezza». Per Paolo Citterio della Fabi: «Ubi è una delle migliori banche italiane; sono spazzati via in un secondo un secolo di storia, per salvare Mps, mettendo in discussione un modello che ha sempre funzionato». D.T. © RIPRODUZIONE RISERVATA
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Ma il «no» è trasversale: «Un sistema da tutelare
Banche popolari vittime di una penalizzazione eccessiva. A discapito dei grandi istituti. È questo, in sintesi, il commento rilasciato ieri da forze politiche di ogni schieramento, sindacati e associazioni di categoria. Tutti contrari alla riforma. «Le banche popolari e il credito cooperativo storicamente stanno alle famiglie come un interlocutore amichevole che può capire, intervenire e facilitare la soluzione di problemi, grandi e piccoli, laddove spesso la grande banca pone condizioni troppo difficili per poter essere accettate», si legge in una lettera recapitata al premier da un folto gruppo di parlamentari del gruppo Area popolare. C’è è anche chi – come il ministro dei Trasporti, Maurizio Lupi – ha ricordato come il 66% del credito erogato dalle banche popolari è per le imprese, a fronte di una media nazionale del 36%. Nel mirino anche lo strumento utilizzato per la riforma, ovvero il decreto legge, la cui urgenza è stata contestata da Edoardo Patriarca (Pd). Ancora più critico – restando in area Pd – il commento di Stefano Fassina: «È un danno per l’Italia Italia, ma è un grande favore per le grandi istituzioni finanziarie internazionali. Dopo l’intervento intervento di svalutazione del lavoro realizzato con il cosiddetto Jobs Act, il governo Renzi attua un altro fondamentale capitolo dell’agenda agenda della troika». Critiche anche dai deputati del Movimento Cinque Stelle: «Palazzo Chigi vuole davvero smantellare un segmento finanziario che mantiene un contatto diretto con le Pmi italiane, che ha preservato una buona capitalizzazione e ha fatto il proprio mestiere di prestatore senza lasciarsi tentare troppo dalla speculazione?». E mentre la Fabi, il sindacato più rappresentativo dei bancari, tramite il segretario generale Lando Sileoni parla di posti di lavoro a rischio, il segretario confederale Cisl, Luigi Sbarra, ha dichiarato che il sistema delle popolari «va difeso. La strada per affrontare seriamente l’efficienza efficienza di uno o più sistemi bancari nazionali, e non solo, è quella della differenziazione tra banche commerciali e banche d’investimento investimento che debbono essere regolate differentemente». Confartigianato, infine, ha ribadito che «il sillogismo grande bancagrande credito non sembra aver funzionato. Gli imprenditori non registrano miglioramenti nell’accesso accesso al credito con gli istituti di grandi dimensioni». Per il presidente Giorgio Merletti, al contrario, «il localismo bancario ha contribuito allo sviluppo del sistema produttivo italiano rappresentato per il 95% da piccole imprese. È il modello di sviluppo fatto di intreccio dell’economia economia con il territorio, idoneo a reggere la sfida dell’economia economia globale. Per questo siamo contrari alla riforma».
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Tsunami Popolari, entro 18 mesi dieci diventeranno «banche spa» Eliminato il voto capitario e il limite di possesso azionario Renzi: tante banche, poco credito. Padoan: il mercato è europeo
Le popolari italiane hanno 18 mesi di tempo per trasformarsi in Spa, perchè «il sistema bancario italiano deve cambiare: abbiamo troppi banchieri e facciamo troppo poco credito». Così Matteo Renzi annuncia la principale novità del decreto sul sistema delle Banche Popolari varato dal Consiglio dei ministri in tandem con le prime norme dell’« Investment act». «Do- po 20 anni di dibattito interveniamo attraverso un decreto legge sulle banche popolari – dice Renzi – non su tutte, ma su quelle con gli attivi superiori a 8 miliardi: sono 10 banche popolari in Italia. Le altre banche se vorrano potranno mantenere la fisionomia di popolari, ma queste 10 in 18 mesi dovranno trasformarsi in Spa». Via, dunque, l’articolo articolo 30 del testo unico bancario che in particolare regola il voto capitario e fissa il limite al possesso azionario. Entro 18 mesi, se il decreto verrà approvato dal Parlamento, non varrà più la regola di «una testa un voto», ma si voterà in base a quante azioni si hanno in portafoglio. Renzi ribatte alle polemiche di parte del mondo politico e bancario, che in questi giorni hanno accompagnato il dibattito sul provvedimento, e sottolinea che «siamo il Paese che ha probabilmente il maggior numero di istituti di credito: abbiamo troppi banchieri e facciamo poco credito, l’idea idea è di poter aprirci, per quanto possibile, ai mercati, aprirci all’innovazione innovazione, aprirci al futuro». La trasformazione delle principali banche popolari in Spa «renderà le banche popolari più forti», aggiunge il ministro dell’Economia Economia, Pier Carlo Padoan, secondo cui la decisione del governo di procedere per decreto serve a dare «una scossa e un segnale di urgenza al sistema». «È una misura che rafforza il sistema bancario italiano che andrà sempre meglio man mano che la ripresa si consolida, è interesse del sistema bancario e dei consumatori», rileva. Quanto ai tempi, secondo Padoan, diciotto mesi «sono un periodo sufficiente». Il ministro dell’Economia Economia torna anche sulle parole del governatore della Banca d’Italia Italia, Ignazio Visco, che al termine dell’esecutivo esecutivo dell’Abi Abi aveva detto di non conoscere i contenuti del decreto: «Non so cosa abbia detto il governatore Visco, ma sicuramente, come è avvenuto in passato, quando il ministero dell’Economia Economia si occupa di questioni bancarie ascolta i consigli che vengono dalla Banca d’Italia Italia: anche in questo caso c’è è stata una condivisione», osserva Padoan. «Na- turalmente – sottolinea il titolare del Tesoro – le decisioni politiche sono prese dal governo». Quanto alla decisione del governo di applicare la norma solo alle dieci grandi banche popolari, Padoan spiega che serve «per dare una scossa forte preservando però in alcuni casi una forma di governance che ha servito bene il Paese». «Andranno valutati al- tri suggerimenti di modifica – conclude – ma dobbiamo iniziare a pensare in termini di un mercato del credito europeo e di questo forse anche le banche più piccole dovranno tenere conto».
RISCHIO EVITATO
Le Bcc non toccate dalla riforma â- Il decreto legge su investimenti e banche non tocca il credito cooperativo. Lo ha precisato lo stesso premier Renzi fugando in questo modo le indiscrezioni che indicavano anche le banche di credito cooperativo come coinvolte nella riforma che trasformerà le Popolari in sociatà per azioni. LA FABI «A rischio migliaia di posti di lavoro» â- La riforma delle Popolari varata dal governo in Cdm mette «a rischio posti di lavoro per l’inevitabile inevitabile avvio di aggregazioni, la possibile perdita fra 18 mesi del’italianità italianità delle banche a un forte rischio di fronte ai capitali stranieri». È quanto afferma il segretario generale della Fabi, Lando Sileoni.
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CORRIERE DI VERONA, mercoledì 21 gennaio 2015
Zanotto: «Preoccupato dalla svolta a rischio l’autonomia degli istituti» – L’ex sindaco: da chiarire le vere ragioni di questa operazione Pollice verso dal sindacato ma qualche piccolo socio applaude
VERONA – Chiudere con la storia secolare della banca popolare della città è uno choc e di questo non può che farsi interprete Paolo Zanotto, già sindaco di Verona e figlio di Giorgio, che per vent’anni fu presidente della Banca Mutua Popolare, vero e proprio padre nobile dell’istituto nel Dopoguerra. Il predecessore di Flavio Tosi si dice preoccupato per questa svolta. «Il senso del voto capitario – spiega – è quello di rendere la banca non scalabile, mantenendola in questo modo libera da condizionamenti ad ogni livello. In questa fase, poi, i capitali in Borsa sono nelle mani soprattutto dei cosiddetti investitori istituzionali. Il che comporta sempre una netta diminuzione della libertà dei soci nelle assemblee». Zanotto aggiunge di voler «vedere con maggiore esattezza le ragioni della riforma proposta dal governo: quella di rendere contendibili gli istituti di credito non mi sembra infatti una motivazione sufficiente. Bisognerà capire fino in fondo se e come sarà possibile garantire l’autonomia delle Popolari da condizionamenti e poteri. Mi pare che questa, al momento, sia una questione tanto rilevante quanto tutta da vedere. Di questi temi ho parlato spesso, anche nelle assemblee societarie, spiegando che il voto capitario era un valore che andava comunque tutelato. Adesso cercherò di capire fino in fondo le motivazioni governative, ma certo sono preoccupato».
Se la politica locale per il momento reagisce (a parte la Lega) con qualche timidezza soprattutto sul fronte del centrosinistra, netta è la presa di posizione della principale fra le sigle sindacali di settore. «Voglio sottolineare un aspetto – riflette Marco Muratore, segretario provinciale a Verona della Fabi – che riguarda i dipendenti, ben 2500 nella provincia sparsi fra direzioni e un centinaio di sportelli. Moltissimi di loro sono anche azionisti della banca, pure se le regole assembleari del Banco Popolare non li hanno mai autorizzati al voto. Ebbene, il ruolo di soci ha spinto i lavoratori dell’istituto ad essere i primi guardiani di una sana gestione del credito e del rapporto con i clienti. Proprio perché dovevano tutelare un patrimonio che era anche loro. Che poi – aggiunge il sindacalista – il voto capitario e la natura cooperativa della banca ostacolino le aggregazioni è smentito dalla stessa storia del Banco Popolare, che è il frutto della progressiva fusione dell’istituto veronese prima con quello omologo di Novara e poi con quello di Lodi. E noi come sindacato non temiamo tanto le fusioni in sé. Anche perché la politica di riduzione del personale negli ultimi tempi è stata il frutto di altre scelte, come quella di abbandonare progressivamente i servizi sul territorio a favore delle attività a distanza, la banca on line o quella telefonica».
Trovare favorevoli al blitz di Renzi è arduo, a meno che non si vada a pescare tra i singoli soci dell’istituto. «Noi piccoli azionisti contavamo poco nella gestione della banca anche prima della riforma – ammette Franco Pravato che detiene un pacchetto di azioni del Banco -. Così conteremo ancora meno ma il sistema delle nanoaziende ha dimostrato di non essere più in grado di reggere. Credo invece che con questa riforma ci troveremo in un prossimo futuro ad avere nel panorama nazionale una decina di grandi banche che saranno utili per le aziende che si occupano di estero».
Attualmente il panorama bancario nazionale è fatto da due grandi banche (Unicredit e Intesa) e una cinquantina di istituti di medie (o medio-grandi, nel caso veronese) dimensioni che, per quanto possano sforzarsi, non sono in grado di fornire assistenza alle imprese che cercano disperatamente spazi commerciali in Estremo Oriente o su altri mercati lontani. «Se invece grazie a questa riforma le banche si accorpano con qualche scalata – continua Pravato – ci troveremo una decina di grandi istituti che è più di quanto abbiamo adesso in termini di concorrenza». Alessio Antonini e Lillo Aldegheri © RIPRODUZIONE RISERVATA
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LA TRIBUNA DI TREVISO, mercoledì 21 gennaio 2015
Banca della Marca, arrivano gli ispettori Orsago, si accendono i riflettori di Bankitalia: direttore in ferie, voci di commissariamento. I sindacati chiedono chiarezza
di Fabio Poloni
ORSAGO – Ci sono gli ispettori di Bankitalia a Orsago, nella sede della Banca della Marca. Il direttore generale, nel contempo, è in ferie, e con lui il vice. Nulla di strano, in linea teorica. Da fonti sindacali, però, si esprime «preoccupazione per la situazione» e si chiede ai vertici dell’istituto istituto di credito cooperativo di «fare chiarezza» su cosa sta succedendo. Dietro l’ufficialità ufficialità si rincorrono voci tutt’altro altro che tranquillizzanti: dall’ipotesi ipotesi del commissariamento fino a quelle che il direttore sia sì in ferie, però “forzate”. Ispezione «normale» e «di routine», dice una portavoce dell’istituto istituto, che risponde alla nostra richiesta di chiarimenti rivolta al presidente e al direttore. Le notizie che arrivano dall’interno interno della sede di Orsago descrivono un clima di tensione e preoccupazione tra i dipendenti (circa 270) e i soci. Il paragone vuole essere oggettivo e non insinuante: anche a Monastier e Vedelago (Bcc Monsile e Credito Trevigiano) i problemi recenti sono iniziati con una visita degli ispettori della Banca d’Italia Italia. «Ma a Orsago la situazione è diversa, o almeno speriamo», getta acqua sul fuoco Sandro Bortoluzzi, segretario provinciale del sindacato dei bancari Fabi, «quello del direttore ci risulta un ordinario periodo di riposo dopo una fase stressante e le corse per chiudere il bilancio. Bilancio che, tra l’altro altro, risulta in ordine». Ai due lati opposti della realtà rappresentata dall’ispezione ispezione, insomma, si contrappongono prudenza e allarmismo. Le prossime settimane (o mesi, perché gli esiti delle ispezioni vengono rese note, almeno ufficialmente, con tempi lunghi) saranno decisive per capire da che parte penderà l’ago ago. L’assemblea assemblea dello scorso maggio ha visto presentare un bilancio (relativo al 2013) nel quale «si dovrà sempre avere come metro di confronto quanto realizzato dal sistema bancario nel suo complesso e dalle altre Bcc venete e della provincia», sottolineavano a Orsago, «Solo così i risultati ot- tenuti, pur con un utile in calo, acquisiscono la loro vera dimensione. La gravità della crisi ha causato un notevole aumento dei crediti deteriorati che ci ha costretto ad effettuare rettifiche su crediti per un importo sensibilmente più alto di quanto ipotizzato. Complessivamente la Banca è comunque riuscita a mantenere una redditività positiva, sia pure in riduzione rispetto al 2012. Noi riteniamo che il risultato ottenuto sia da considerarsi ampiamente soddisfacente se confrontato con le medie del sistema bancario e ancor di più se confrontato con i risultati di molte banche venete». Tradotto in numeri: sofferenze lorde aumentate del 52,7 7%, quelle nette +45,9 9%, 161 milioni di euro di crediti deteriorati, in impennata dai 125 dell’anno anno precedente. Il risultato netto finale 2013 ammonta a 6,4 4 milioni di euro, in diminuzione di quasi 2,2 2 milioni di euro rispetto a fine 2012. «Le nostre aspettative erano di un utile vicino a quello dello scorso esercizio, ma viste le difficoltà incontrate nel corso dell’anno anno, riteniamo che questo risultato sia da considerarsi assolutamente soddisfacente», si legge sul bilancio. Per quel che riguarda il 2014 non ci sono ancora i numeri ufficiali, anche se nei bilanci previsionali stilati a settembre si ipotizzava comunque una chiusura in utile al 31 dicembre. Per sapere cosa cerchino (e cosa eventualmente dovessero trovare) gli ispettori di Banca d’Italia Italia servirà ancora del tempo. ©RIPRODUZIONE RISERVATA
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LA PROVINCIA DI LECCO, mercoledì 21 gennaio 2015
Le perplessità di Alfano e Lupi «Legami col territorio a rischio»
Ad opporsi al provvedimento, secondo quanto si apprende, anche il ministro degli interni Angelino Alfano, sempre di N cd. Le perplessità sollevate dal ministro Maurizio Lupi riguardano sia l’urgenza urgenza di usare un decreto anziché un disegno di legge, sia il fatto che c’è è un legame forte tra le banche popolari e il territorio e le pmi che può essere messo a rischio: le banche popolari, ha ricordato Lupi, sono 70 e raccolgono il 24 % dei risparmio italiano ed erogano 144 miliardi alle pmi. La riforma delle popolari varata dal Governo in cdm mette «a rischio posti di lavoro per l’inevitabile inevitabile avvio di aggregazioni, la possibile perdita fra 18 mesi del ‘ italianità delle banche a un forte rischio di fronte ai capitali stranieri». È quanto ha affermato in – vece il segretario generale della Fabi, il sindacato maggiormente rappresentativo dei bancari, Lando Sileoni.