– di Galatea Vaglio –
Non studiano nemmeno fino al diploma, non lavorano, non cercano un impiego. In Italia sono poco meno di due miloni, uno su quattro nella fascia fra i 25 e 35 anni. I provvedimenti sul lavoro sono mirati anche a loro, ma non bastano. Perché manca una vera politica su formazione e istruzione.
(08 luglio 2013)
Non sono un fenomeno solo italiano, perché il problema dei Neet è ormai sentito in tutto il mondo occidentale, Stati Uniti per primi. In Italia, tuttavia, la percentuale è preoccupante, soprattutto nel Sud, dove il lavoro è già poco e la percentuale di dispersione scolastica è da sempre altissima.
Calcoli statistici rivelano infatti che i paesi europei che contano il maggior numero di Neet (Bulgaria, Cipro, Grecia,Irlanda, Italia, Lettonia, Polonia e Ungheria) pagano duramente questa arretratezza: la perdita economica equivale al 2% del PIL. I Neet, infatti, non solo non producono reddito proprio, ma “rosicano” quello familiare; inoltre sono una massa di giovani insoddisfatti e senza prospettive, spesso con autostima bassissima, quindi a rischio per quanto riguarda problematiche sociali, consumo di droga, depressione. Tutte patologie che prima o dopo richiedono interventi medici o di assistenza sociale e familiare, quindi sono un costo aggiuntivo che la collettività deve pagare. Rappresentano inoltre una fascia di insoddisfatti che in situazioni critiche può facilmente esplodere, anche perché, privi di strumenti culturali, sono facilmente manovrabili dalla propaganda: non è un caso se gli scontri di piazza avvengono quasi sempre nei quartieri delle periferie degradate piene di Neet, e non nei sobborghi eleganti dove i figli di famiglie benestanti hanno quasi tutti laurea, diploma e buone prospettive di trovare prima o poi (o all’estero, se proprio va male) un lavoro soddisfacente.
Il problema è che intervenire sul problema Neet non è facile, sia per l’ampiezza della fascia di età (in Italia 16-29 anni) sia perché i motivi per cui si diventa Neet possono variare molto. In passato la “colpa” principale andava imputata a sistemi scolastici troppo selettivi e calibrati su alunni provenienti dalle classi medio-alte: i proletari con alle spalle famiglie con scarsa cultura, in mancanza di biblioteche pubbliche e programmi pensati per il recupero, finivano per arrendersi e, spesso dopo una lunga sequela di bocciature, abbandonavano gli studi appena superato lo scoglio dell’adempimento dell’obbligo scolastico, ovvero, in Italia, la famosa “terza media”. Paradossalmente, negli anni passati, il boom economico in alcune regioni del nostro paese (come nel Nordest) ha poi fatto incrementare il numero dei Neet: dal momento che era facile trovare un lavoro ben retribuito anche non avendo alcun un titolo di studio specifico, come il diploma, le famiglie ed i giovani si sono sentiti “autorizzati” ad abbandonare le scuole quanto prima. Con il risultato che però oggi, in periodo di crisi, sono stati i primi a perdere il posto e ora, benché ancora giovani, non sanno come riconvertirsi per tornare appetibili sul mercato del lavoro, che intanto richiede competenze sempre più specialistiche per le assunzioni (persino per operaio, addetta alla vendite, cameriere oggi esistono negli istituti professionali specifici indirizzi di studio).
Particolare attenzione va poi riservata ad alcune categorie che rischiano di diventare neet senza una loro vera “colpa”: i ragazzi con disabilità mentale o fisica, per esempio, hanno il 40% di possibilità in più di diventare Neet, e la percentuale di probabilità di non arrivare a un diploma sale al 70%, in Europa, per i figli di immigrati.