di Antonio Satta
La stretta sulle riserve dei fondi pensione preesistenti, di cui ha parlato MF-Milano Finanza nel numero di sabato 22 giugno, ha ora un tassello giuridico che rafforza il regolamento del ministero dell’Economia entrato in vigore lo scorso 23 febbraio. All’articolo 9 del decreto legge sul Lavoro, approvato ieri dal consiglio dei ministri, c’è scritto infatti che qualora quei fondi «che procedono alla erogazione diretta delle rendite non dispongano di mezzi patrimoniali adeguati in relazione al complesso degli impegni finanziari esistenti, le fonti istitutive possono rideterminare la disciplina, oltre che del finanziamento, delle prestazioni, con riferimento sia alle rendite in corso di pagamento sia a quelle future». In altre parole, se il patrimonio non è adeguato, si potranno tagliare sia le pensioni in essere sia quelle future. I fondi in questione sono quelli che esistevano già prima della riforma del 2005 e che, a riforma avvenuta, hanno mantenuto il vecchio modello. Sono cioè quelli che coprono direttamente i rischi biometrici, come l’invalidità o la premorienza, e i fondi a prestazione definita, quelli cioè che hanno già fissato l’entità dell’assegno pensionistico complementare. Secondo i dati dell’ultima relazione della Covip complessivamente sono 361 i fondi preesistenti, per un totale di oltre 650 mila iscritti e 131 mila pensionati, ma il provvedimento in esame riguarda una platea più ridotta, visto che a erogare direttamente le rendite sono solo 7 fondi, mentre quelli a prestazione definita sono 127 e iscritti e pensionati interessati alle nuove misure sono circa un quinto del totale, poco più di 100 mila persone. Quasi tutti bancari o ex bancari. La maggior parte di questi fondi, infatti, era stato costruito come strumento interno per i dipendenti, molti di essi, poi, sono stati accorpati (durante il processo di aggregazione dei gruppi bancari) e per lo più trasformati secondo le nuove modalità a contribuzione definita, ma un certo numero, come dimostra la Covip, è rimasto in piedi. Ora, secondo il nuovo regolamento del Mef, in applicazione di una direttiva europea dovranno effettuare accantonamenti aggiuntivi, nella misura del 4% delle riserve tecniche, per tutelarsi dai rischi di allungamento della speranza di vita degli iscritti e dall’erosione dei rendimenti connessi alla crisi economica in atto. Ed è proprio in questa prospettiva che si inserisce la nuova norma, che amplia i poteri dei fondi stessi, dandogli la possibilità di rivedere anche le prestazioni già definite.
«Non succederà comunque nulla», assicura il segretario della Fabi, il principale sindacato dei bancari, Lando Maria Sileoni, «da ogni verifica effettuata risulta che il patrimonio di tutti i fondi del settore è adeguato». La stretta in corso, comunque, è seguita con attenzione dai vari soggetti in campo e potrebbe avere delle conseguenze. Potrebbe, per esempio, far cambiare idea ai fondi pensione negoziali, da tempo intenzionati a valutare l’ipotesi di erogazione diretta delle rendite. Oggi se ne occupano quasi sempre le compagnie di assicurazione, che assumono anche i rischi dell’allungamento della vita media. (riproduzione riservata)