Massimo Degli Esposti
MILANO – Andrea Bonomi perde il duello assembleare con i soci — e con i sindacati che li ispirano — vedendosi bocciare la modifica statutaria che avrebbe introdotto il voto elettronico «in remoto» per la prossima scadenza del 22 giugno, quando la Banca Popolare di Milano dovrà decidere se trasformarsi in Spa. Un sonoro schiaffo quello assestato ieri dai 4.200 votanti — in gran parte «penne bianche» ex dipendenti della Bpm —, quasi all’unanimità, al maggior azionista (8,9% del capitale) nonché presidente del consiglio di gestione.
Un «primo, chiaro, responsabile segnale ai vertici di Bpm da parte delle lavoratrici, dei lavoratori, dei pensionati e della società civile milanese e lombarda» secondo Lando Maria Sileoni, segretario generale della Fabi, e Giuseppe Gallo, segretario generale della Fiba Cisl.
Anche Bonomi, ammettendo la sconfitta a fine assemblea, ci vede a sua volta un chiaro segnale. «Tutti avete visto il tono equilibrato degli interventi e poi l’esito del voto: è la dimostrazione che senza un profondo rinnovamento, in banca tornano a vincere le vecchie logiche di potere». Quelle, è sottinteso, che hanno portato Bpm a due anni consecutivi di gravi perdite (473,9 milioni nel bilancio approvato ieri), al tracollo in Borsa, agli scandali, fino ai duri interventi di Bankitalia e all’ispezione ancora in corso. BONOMI non considera comunque uno «schiaffo» quello di ieri, nè un pessimo auspicio in vista del 22 giugno. «Le due cose non sono correlate — precisa —; l’allargamento della democrazia interna è un’esigenza che prescinde dal progetto Spa». Ma è chiaro che la battaglia finale sulla metamorfosi di Bpm da cooperativa in società per azioni (il progetto di Bonomi si chiama infatti «Piano Ovidio»), senza un allargamento del voto a tutti i 55 mila soci azionisti indipendenti e con un ritrovato controllo dei sindacati sulla tradizionale assemblea a voto capitario, si presenta a questo punto quasi segnata.
Come però ha ricordato il consigliere delegato Piero Montani, al progetto è collegato un aumento di capitale da 500 milioni «utile se non fondamentale» per restituire i Tremonti bond e raddrizzare i ratios patrimoniali della banca. «Sul piano Spa non mi pronuncio — ha detto Bonomi —. Abbiamo ancora 60 giorni di tempo per vedere se i sindacati capiscono il loro nuovo ruolo». Sileoni e Gallo preannunciano mobilitazione e non lasciano spazi sul progetto, che «mette a rischio il sistema bancario italiano» ed è «speculativo».
Perché Bonomi li ha platealmente sfidati, pur sapendo che la sconfitta sull’e-voto, come ha ammesso, era «ampiamente prevedibile»? Qualcuno sostiene che voglia alzare il livello dello scontro per scuotere dal tradizionale torpore i soci-azionisti indipendenti, anche ieri latitanti in assemblea. Senza dimenticare la pressione di Bankitalia per una governance della banca meno sindacatocentrica e l’indagine della Consob che ha accertato, senza ancora sanzionarli, «patti parasociali occulti» entro le liste dei dipendenti soci. Insomma, da qui al 22 giugno si attendono sorprese.