MILANO — Il voto a distanza non passa. Tra gli applausi dei soci della Bpm. Il blocco dei contrari ha bocciato a larghissima maggioranza la proposta del consiglio di gestione di introdurre la partecipazione alle assemblee da casa, con diritto di voto in remoto. Non c’è nemmeno stato bisogno di contare, tante erano le mani alzate nella sala al secondo piano della Fiera Milanocity, requisita ieri dalla carovana dei soci della Bpm per l’assemblea annuale. Più che un voto è stato un plebiscito, con cui la «vecchia guardia» ha di fatto ribadito lo status quo, proprio mentre Andrea Bonomi sta cercando di creare il consenso per trasformare la banca da cooperativa in società per azioni. Un progetto che a giudicare dal voto di ieri rischia di non passare all’assemblea già convocata per il 22 giugno. Tanto più senza il voto da casa. Il blocco granitico dei sindacati interni che ieri ha dominato l’assemblea, come ha sempre fatto, si ripresenterà compatto. «Abbiamo 60 giorni di tempo per vedere se capiscono il loro nuovo ruolo» ha commentato il presidente della popolare milanese, che dunque non intende arretrare di un millimetro. «Far evolvere questa banca è una fatica — ha spiegato — e questa è stata la prima occasione di vedere la contrapposizione di forze per portare Bpm verso un modello più moderno».
Chissà, forse Bonomi cercava proprio questo. Voleva che la spaccatura emergesse chiaramente. «E’ la foto esatta di com’è oggi la Bpm» ha spiegato. Il voto «non è stato di dipendenti, soci o clienti: oggi — per il presidente — chi ha votato a favore è stato una persona coraggiosa». Una minoranza, rimasta schiacciata tra le vecchie logiche e il desiderio di rivalsa di chi con l’arrivo della nuova gestione ha perso la presa su Piazza Meda.
L’Associazione Amici della Bipiemme, che faceva nomine, promozioni, assunzioni e carriere in Bpm, non c’è più, è stata sciolta, ma ieri gli ex associati si sono ritrovati scoprendo di poter essere di nuovo maggioranza e quindi di poter far blocco contro l’idea di Bonomi. Così come in passato l’avevano fatto davanti ai diktat della Banca d’Italia e con ogni proposta non concordata con loro. «Il voto contro ha fatto vedere cosa riescono a organizzare» ha commentato Bonomi, sottolineando come nonostante gli interventi dei soci siano stati «bilanciati» alla fine «il voto è stato diverso». Per questo, anzi a maggior a ragione dopo quello che è successo ieri, «il voto a distanza prima o poi deve passare anche per evitare un certo uso dell’assemblea». Sa bene Bonomi che la partecipazione a distanza potrebbe cambiare gli equilibri in assemblea. E, in prospettiva, aumentare i margini di manovra per la trasformazione in spa.
Ieri, tuttavia, il banchiere si è tenuto alla larga dall’associare il voto a distanza al progetto «spa». La prima è «una scelta di civiltà e democrazia», l’altra è la logica evoluzione di un sistema che, almeno a Piazza Meda, «è fallito» secondo Bonomi. I sindacati però, l’associazione l’hanno fatta, ed è venuta fuori una miscela esplosiva che rischia di bruciare un anno e mezzo di lavoro per risanare la Bpm. Ha già bruciato quattro consiglieri di sorveglianza, tra cui il presidente Filippo Annuziata, aprendo una frattura profonda con il consiglio di gestione, sfociata in accuse reciproche.
La rottura tra i due board è stata netta, anche se le posizioni nel consiglio di sorveglianza non sarebbero del tutto allineate. E’ però soprattutto il risveglio della parte più sindacalizzata della Bpm a creare adesso le incognite maggiori. Al termine dell’assemblea i segretari generali di Fabi e Fiba, Lando Maria Sileoni e Giuseppe Gallo, hanno diffuso una nota in cui spiegano che «il risultato dell’assemblea è un primo, chiaro, responsabile segnale ai vertici di Bpm da parte delle lavoratrici, dei lavoratori, dei pensionati e della società civile milanese e lombarda». Un segnale con cui «esprimono il rifiuto di fare di Bpm Spa la testa di ponte in grado di mettere a rischio il futuro delle banche popolari cooperative e di aprire brecce profonde nella stabilità del sistema bancario italiano».
Fare previsioni, a questo punto, potrebbe essere superfluo. Ma non c’è ancora nulla di scontato. Da qui al 22 giugno Bonomi e il consigliere delegato della Bpm, Piero Montani, dovranno fare l’impossibile per convincere gli azionisti della necessità della trasformazione in spa. Anche se ieri il «no» al cambiamento è arrivato forte e chiaro. I due banchieri hanno difeso le loro ragioni, ma alla fine hanno dovuto incassare. «Non è stato uno schiaffo — ha assicurato però il presidente —. Nessuno ha mai detto che la discontinuità e il cambiamento siano una cosa facile». Federico De Rosa