Nicola Borzi
Dopo 150 anni, le banche Popolari vivono una tra le fasi più delicate della loro storia. La riforma del comparto, a lungo discussa in sede politica, non si è concretizzata. Uscita dalla porta, la revisione della forma cooperativa è rientrata nella forma più brusca dalla finestra. La Popolare di Milano, tra le più antiche (1865) è lì a dimostrarlo: nei giorni scorsi il nuovo gruppo dirigente guidato dal presidente del consiglio di gestione, Andrea Bonomi, ha approvato l’istanza di trasformazione in Spa. Per i 79 istituti del settore, che a fine 2012 contavano 1,32 milioni di soci e 82.900 dipendenti, è uno snodo cruciale. A ottobre Emilio Zanetti, presidente dell’Associazione Popolari italiane, aveva respinto le proposte dell’Antitrust: «Risultano incomprensibili le recenti affermazioni dell’Autorità che immotivatamente colpiscono e penalizzano le banche cooperative, proponendo linee di riforma che ne snaturerebbero la disciplina». La Spa “ibrida” progettata per Bpm prevede una Fondazione alla quale, oltre al 5% degli utili annui, sarebbero affidate le prestazioni assistenziali per dipendenti ed ex dipendenti. Su questa proposta saranno chiamati a esprimersi la Banca d’Italia e l’assemblea dei soci di fine giugno. Secondo i sostenitori del modello Popolare, la mossa cancellerebbe il principio della mutualità. Base che ha permesso a questi istituti di essere radicati sul territorio (valgono un quarto della raccolta e degli impieghi di tutto il settore del credito) e di svolgere, grazie alla governance, la funzione di volano delle economie locali per i rapporti con 12 milioni e mezzo di famiglie e imprese, soprattutto piccole e medie. Ma proprio le storture di governo societario – ostaggio dell’Associazione Amici Bpm – avevano portato via Nazionale a incidere sulla Popolare di Milano e rivoluzionarne l’assetto. Sul voto in Bpm peseranno le posizioni dei sindacati. Un “no” senza appello è venuto da Giuseppe Gallo, segretario generale della Fiba/Cisl che parla della Spa ibrida come di una «pietra tombale sulla Popolare cooperativa e sul suo modello ispirato alla democrazia economica».
Intanto risalta il silenzio di Lando Sileoni della Fabi che, come Massimo Masi della Uilca, chiede una presentazione dettagliata del progetto e il suo vaglio sia da parte di Banca d’Italia che delle assemblee sindacali. Invece Agostino Megale, segretario generale della Fisac/Cgil, propone che «per tre anni nulla cambi nell’assetto societario della banca». Di certo l’assemblea dell’istituto di Piazza Meda di fine giugno segnerà un precedente. Con il quale, nel bene o nel male, tutto il settore dovrà confrontarsi. nicola.borzi@ilsole24ore.com