A lanciare l’allarme il sindaco della città Massimo Cialente che ha chiesto al governo di stanziare subito cinque miliardi dalla Cassa Depositi e Prestiti. Più veloce, invece, la giustizia: diversi processi hanno già raggiunto il traguardo del primo grado.
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– di Isabella Fantigrossi –
Se a L’Aquila non arriveranno subito fondi e certezza di altri finanziamenti “in modo tale che per il 2015 una parte del centro storico sarà ricostruito, l’Italia avrà condannato a morte la città e credo che gli aquilani si muoveranno per non far più parte dell’Italia. La prima cosa che chiederò è che si tolga il tricolore e che vada via il prefetto, come dire ci lasciassero morire in pace”. Così il sindaco dell’Aquila, Massimo Cialente, alla vigilia del quarto anniversario delterremoto del 6 aprile 2009 che provocò la morte di 309 persone e il ferimento di 1.600. La previsione è fosca e la possibile protesta shock ma del resto i numeri parlano chiaro: la ricostruzione dell’Aquila stenta a decollare.
Devono arrivare ancora 5,7 miliardi – Le risorse finanziarie stanziate per gli interventi post-terremoto, come ha rilevato la relazione “La ricostruzione dei comuni del cratere Aquilano” del ministro per la Coesione territoriale Fabrizio Barca, sono pari a circa 10,6 miliardi: 2,9 relativi all’emergenza e 7,7 per la ricostruzione. Di questi risultano però ancora da utilizzare 5,7 miliardi. Inoltre dei 70 mila sfollati nel 2009, a oggi la popolazione ancora lontana dalle proprie case ammonta a oltre 22 mila persone: circa 12 mila nel progetto CASE antisismiche, e quasi 2.700 nei progetti Map. A questi si aggiungono quasi 6.700 con contributo di autonoma sistemazione. Negli alberghi in Abruzzo restano invece poco più di 140 persone. Alla vigilia delle commemorazioni delle 309 vittime della sisma che ha messo in ginocchio L’Aquila e il suo circondario, il primo cittadino Cialente ha lanciato un grido disperato per via della mancanza di fondi che mette a rischio soprattutto la ricostruzione pesante della città, a partire dal centro storico. “Posto che il 6 aprile è una data tristissima, di lutto, quest’anno viviamo l’anniversario più difficile perché coincide con l’assoluto crollo della speranza”. Lo stesso Comune dell’Aquila, ha detto il sindaco, non ha più risorse: “Noi a giugno finiamo i soldi, quest’anno c’é un buco di 600-700 milioni di euro e non c’é nulla per il 2014 e il 2015”.
Lo spopolamento della città – Oltre alla mancanza di fondi, il sindaco è molto preoccupato anche per lo spopolamento della città: “Il clima di scoramento, di sfiducia, di rabbia sta coinvolgendo sempre più persone, soprattutto giovani che stanno cominciando ad arrendersi e ad andare via. Vivere a L’Aquila è troppo difficile”, ha detto Cialente. “Posso chiedere alla gente il sacrificio di avere fiducia, solo se possiamo vedere parte del centro storico e delle frazioni ricostruite entro il 2015. Se invece dirò che si finirà per il 2024 tutti andranno via e L’Aquila nel 2018 farà 35-40 mila abitanti. Le avvisaglie già ci sono: nell’ultimo anno abbiamo perso già 3500 persone”. Per Cialente, una sola è la via d’uscita: “Il governo o il Parlamento devono stanziare subito quattro-cinque miliardi per il cratere con il meccanismo della Cassa depositi e Prestiti. Solo così si potrà avviare la ricostruzione nel 2013 o nel 2014”.
I processi – Più veloci della ricostruzione corrone invece i giudici dell’Aquila. Sono molti ormai i filoni arrivati al traguardo del processo di primo grado nell’ambito della maxi inchiesta della procura della Repubblica sui crolli. La madre di tutte le sentenze è quella sulla commissione Grandi rischi, organo scientifico consultivo di palazzo Chigi che si riunì a L’Aquila il 31 marzo 2009, a 5 giorni dalla scossa distruttiva, per il giudice Marco Billi “ignorando il rischio sismico e rassicurando gli aquilani”. I sette imputati, tra cui sismologi ed esperti della Protezione civile, sono stati condannati a 6 anni di reclusione per omicidio colposo e lesioni colpose.
Altro processo cardine è stato quello per il crollo della Casa dello studente in via XX settembre, uno dei simboli del terremoto, dove morirono otto giovani. In questo caso, tre tecnici sono condannati a 4 anni, uno a 2 anni e mezzo con 4 tecnici e amministrativi assolti, oltre a due non luogo a procedere. Altro filone andato a sentenza è quello del crollo del Convitto nazionale, dove sono morti tre minorenni: la condanna a 4 anni di reclusione per omicidio colposo plurimo per il direttore del Convitto nazionale e un’assoluzione è stato l’epilogo.