Massimo Restelli
La crisi cancella 40mila posti di lavoro dalle banche italiane: 23mila hanno lasciato filiali e uffici di back office negli ultimi cinque anni e altri 20mila saranno pre-pensionati con il Fondo esuberi da qui al 2017. I tagli rispondono alla necessità di individuare un nuovo equilibrio rispetto alla gelata delle attività e dei consumi. A gennaio i prestiti a famiglie e imprese sono infatti scesi di un ulteriore 1,6% su base annua, così come buona parte dei profitti sono ormai frutto del trading, senza contare la diffusione dei servizi di home banking. Sostanzialmente sono tre i problemi dell’industria del credito: le sofferenze, ormai giunte a 126 miliardi e «osservate speciali» delle ispezioni ordinate da Bankitalia; il costo della raccolta dovuto alla febbre dello spread e la necessità di sistemare la massa di obbligazioni accatastate in cassaforte. Solo per i primi 5 gruppi italiani si tratta di 195 miliardi di bond tra retail e istituzionali, in scadenza quest’anno o il prossimo. Più della metà sono di Intesa Sanpaolo (74 miliardi) e Unicredit (53,1). Finora è venuta in soccorso la Bce, versando denaro con l’imbuto degli «Ltro», i prestiti triennali all’1% lanciati da Mario Draghi tra dicembre 2011 e febbraio 2012 nel tentativo di rianimare l’economia: le banche made in Italy hanno assorbito in tutto 280 miliardi. Una terza ondata di «aiuti» non è però in programma all’Eurotower, che anzi aspetta i rimborsi. Un mezzo ingorgo. Tanto che Mediobanca ha giocato d’anticipo, annunciando un buy back da 2 miliardi per ritirare nove prestiti obbligazionari in scadenza nel 2014: il periodo di adesione inizia domani. L’idea di Piazzetta Cuccia è tornare sul mercato con bond più brevi, al massimo quinquennali. Resta ora da capire se questa strada sarà battuta anche dalle banche tradizionali. Un’idea più precisa si avrà in settimana, quando prima Intesa Sanpaolo (martedì) poi Unicredit (venerdì) approveranno i conti: da Piazza Cordusio gli analisti si attendono un utile netto di 1,24 miliardi e da Intesa di 1,85 miliardi. Il Banco Popolare ha, invece, già preannunciato 330 milioni di perdite, a causa della controllata Agos-Ducato e dell’impennata del costo del credito. Appare comunque probabile che i bilanci del 2012 offriranno a molti gruppi l’innesco per avviare una nuova campagna di austerity anche sul personale, sebbene il bacino potenziale dei prepensionati a disposizione del Fondo sia risicato.
Da qui la pre-offensiva della Fiba di Giuseppe Gallo, della Uilca di Massimo Masi, della Fisac di Agostino Megale e della Fabi di Lando Maria Sileoni. Che ribadisce come il problema centrale sia la «qualità del credito e recuperare un vero rapporto con imprese e famiglie».
Secondo la Fabi, infatti, «solo il 10% dell’incremento delle sofferenze è naturale e imputabile alla crisi, mentre il restante 7% è cattiva gestione. L’altro grave problema sono gli incagli, che una volta passati a sofferenze, bisognerà vedere quanto incideranno sui patrimoni delle banche».