Bruxelles ha stabilito un tetto ai bonus dei top manager. Ma applicare le nuove regole non sarà facile. Perché gli incentivi, spesso, sono stabiliti da contratti privati e incontrollabili
L’Europa ci prova a mettere un tetto alle retribuzioni dei banchieri. Ma non è detto che riuscirà a completarlo. Parlamento e Consiglio dell’Unione hanno trovato un accordo per“calmierare” gli incentivi dei top manager sia alla luce del generale quadro economico sia delle difficoltà degli istituti di credito. In un parola, sostiene Bruxelles, con i bonus non è possibile raddoppiare gli stipendi, a meno che non lo decida il consiglio d’amministrazione con una maggioranza qualificata. Adesso, però, le nuove regole dovranno essere approvate dalla maggioranza dei 27 Paesi e dal Parlamento in seduta plenaria. Non sarà un cammino facile, perché non tutti condividono questa ondata moralizzatrice, Gran Bretagna in testa; perché la lobby dei banchieri non resterà certo ferma e perché “i contratti privati sfuggono a qualsiasi controllo”, osserva Lando Sileoni, segretario della Fabi, la influente sigla sindacale dei bancari che da tempo ha acceso i riflettori sulla questione retribuzioni.
Il problema c’è, a livello internazionale, se è vero che domenica 3 marzo gli svizzeri andranno alle urne per un referendum che chiede un tetto alle retribuzioni dei top manager e maggiori poteri alle assemblee in tema stipendi. La crisi ha certamente raffreddato le cifre che circolano nel mondo della finanza: secondo uno studio dell’Università di Genova i bonus dei banchieri europei nel 2011 sono calati del 60% e le retribuzioni del 20%. Banca d’Italia ha rilevato che nello stesso anno gli stipendi sono scesi mediamente del 25%. E nel corso del 2012 molte banche hanno annunciato riduzioneivolontarie del 20%.
Il peso della parte variabile poi è decisamente sceso: secondo una rilevazione del sindacato Uilca sulle prime sette banche il 96% della retribuzione è costituito dalla componente fissa. Ma evidentemente non basta ancora, se il governatore Ignazio Visco in diverse occasioni ha richiamato gli istituti di credito a una maggiore austerità, chiedendo di conoscere i criteri con cui vengono costruiti gli stipendi d’oro. «Ed è proprio questo il nocciolo del problema», spiega Sileoni. «I banchieri che contano, quelli che guadagnano più di 300mila euro l’anno, hanno di solito contratti individuali che sfuggono a qualsiasi controllo e che li spingono a raschiare il barile». Come fa un manager che in un anno guadagna milioni di euro a mandare a casa migliaia di persone? «Lo fa proprio per assicurarsi quella retribuzione, che è agganciata alla realizzazione di piani industriali che prevedono la riduzione del personale», risponde Sileoni. «Sono contratti pericolosi: più gente mandano a casa, più guadagnano». E sono contratti che non figurano nei capitoli sulle politiche retributive delle relazioni di bilancio. «Banca d’Italia ha preso una posizione chiara e rigida ma politica. Ma è solo un invito che non ha alcun potere vincolante».
Nel 2011 i dirigenti bancari italiani sono costati complessivamente 134 milioni in un sistema che ha perso 26 miliardi (da qui la necessità dei tagli), ma c’è da dire che non sono fra i top manager più pagati. Nella classifica del Sole24Ore relativa al 2011 il primo banchiere era Antonio Vigni del Monte dei Paschi di Siena al 12 posto con “soli” 5,4 milioni di euro contro gli oltre 11 del campione Pier Francesco Guarguaglini di Finmeccanica. E l’amministratore delegato di Unicredit, Federico Ghizzoni, stava addirittura al 78° posto con “soli” 2 milioni l’anno.
Chi è contrario al tetto deciso da Bruxelles per le banche europee ovunque operino nel mondo sostiene che il rischio è di una fuga dei migliori verso le banche americane o asiatiche. Giusto, in un’economia globale servirebbe una regolamentazione globale. Ma è difficile comprendere chi siano e dove siano i migliori quando si legge da una parte che sempre nel 2011 le banche hanno bruciato in Borsa il 45% del loro valore e dall’altra che le retribuzioni dei numeri uno sono cresciute del +36% (fonte la Uil, maxiliquidazioni comprese però). A meno che non si vada a interpretare un altro dato: il rapporto fra quanto guadagna un consigliere delegato e un semplice dipendente è salito da 62 a 85. Significa che per ogni mille euro che vanno in tasca all’impiegato, ne entrano 85mila al top manager. E allora forse si comprende che nello slogan feroce “Più tagli, più guadagni” un fondo di verità c’è.