La Banca d’Italia, nella figura del Governatore Visco, ha, recentemente, invitato le Banche ad aderire alle nuove regole di governance. Riduzione dei costi per i compensi degli Amministratori, per gli incarichi consulenziali, per le remunerazioni ed i bonus dell’alta Dirigenza; una presenza maggiore e qualificata di donne negli Organi Societari ed uno svecchiamento dei componenti.
Le misure proposte possono, certamente, essere parte di un primo rimedio strutturale di fronte al calo di redditività delle banche; un calo, ricordiamolo, su cui incide in maniera determinante l’aumento delle sofferenze bancarie, dovute non solo alla crisi economica attuale ma, anche, ad allegre e censurabili politiche di erogazione del credito destinato ai “soliti noti”.
Ho avuto modo di ricordarlo personalmente anche al Governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, al quale ho sottolineato come le “sofferenze” incidano pesantemente nelle politiche di recupero dei costi che le banche lamentano nei Piani Industriali. Ma questi consigli saranno davvero accolti e tradotti in azioni concrete?
Ci sono, a questo proposito, segnali contrastanti e contraddittori. ABI e le Banche sostengono di ritenere “necessari interventi incisivi dal lato dei costi operativi…” e definiscono l’attuale livello del costo del lavoro “difficilmente compatibile con le prospettive di crescita del sistema…”. Per questo motivo, tendono a realizzare politiche sempre più restrittive sul versante dell’occupazione, che minacciano le basi della solidarietà intergenerazionale, essenza stessa della convivenza in azienda e nella società civile. La realtà delle banche, specie dopo l’entrata in vigore delle modifiche alla previdenza e all’innalzamento dell’età per il ritiro dal lavoro per pensionamento, sta diventando sempre più un’indecorosa rappresentazione teatrale: le persone, anche definite “risorse umane”, sono considerate – amaro paradosso! – soltanto un costo, un onere da gestire senza vincoli di sorta, quasi pretendendo di eliminare ogni norma, diritto, tutela o garanzia che possa essere di ostacolo a questo disegno. Questo movimento di opinioni, di comportamenti e di fatti, espresso da quelli che non abbiamo esitato a definire, già da tempo, “piani industriali fotocopia”, rischia di mettere in dura contrapposizione le diverse generazioni, attraverso uno scontro tra chi aspira ad entrare nel mondo del lavoro (e non vi riesce) e chi non può uscirne, perché affronterebbe un salto nel vuoto, dovuto alla mancanza di coperture previdenziali o alla carenza di reddito. La forzatura di Abi e delle banche fa leva sulla rottura del patto di solidarietà tra le generazioni: per abbagliare i giovani, Abi intende, con abusata terminologia, rottamare i vecchi. Ma – attenzione! – i “vecchi” sono coloro che, a 50-55 anni, possono immaginare la pensione solo come un traguardo – o, meglio, un miraggio – raggiungibile dopo altri 15-17 anni di cammino: un cammino da proseguire mentre il terreno frana sotto l’incedere dei passi e la linea dell’orizzonte via via si allontana. Il presente, caratterizzato da incertezza e attacco ai diritti, sta diffondendo un clima di sfiducia e pessimismo che contrasta con gli sforzi e la volontà di chi vuole cambiare le cose. Ma noi non ci faremo fermare. Noi, primo sindacato dei bancari, non ci rassegniamo alla marginalizzazione del lavoro, né possiamo accettare alcuna frattura generazionale tra figli e padri, tra giovani e meno giovani. In questa difficile fase, i valori della solidarietà, della coniugazione degli interessi, del lavoro compiuto come servizio, testimonianza di vita e di realizzazione, sono al centro di una visione sociale, che non vuole affatto soccombere di fronte al cinismo dirigistico di chi vede nella crisi l’occasione per regolare i rapporti di forza. Abbiamo dimostrato, nei differenti contesti aziendali in cui siamo impegnati, che siano di Gruppo o di Istituto, di saperci confrontare compiendo scelte spesso difficili e coraggiose. Se è vero che, ai fini di un buon risultato, molto dipende dai contenuti messi in gioco, è altrettanto vero che a essere determinante è la qualità degli interlocutori istituzionali ed aziendali. Non possiamo, infatti, nelle diverse sedi, misurarci serenamente con interlocutori, che rifiutano a priori la cultura del dialogo come valore; né possiamo ricercare soluzioni positive con chi disprezza o svaluta il ruolo del Sindacato, perché condizionato da scarsa sensibilità sociale. Capacità di ascolto, insieme con autorevolezza e competenza tecnica, diventano, ai tavoli negoziali, requisiti stessi di affidabilità. La tutela della solidarietà generazionale e il pieno rispetto di quanto sancito del Contratto Nazionale, rappresenta, per noi, la base di ogni confronto e il limite di ogni negoziato aziendale. Ecco perché noi diciamo NO al grande inganno delle banche, che contrasteremo con ogni mezzo.