FRANCESCO SPINI MILANO – La Fondazione Monte dei Paschi di Siena paga dazio alla banca, svaluta la partecipazione in Rocca Salimbeni per oltre 3,5 miliardi e chiude il 2011 con un disavanzo più che raddoppiato rispetto a quello registrato nel 2010: 331,74 milioni. Il dato, specifica l’Ente in una nota ha come «ragione principale» proprio «l’andamento negativo del titolo» della banca «che dall’ultimo aumento di capitale ad oggi ha fatto registrare una perdita di valore che si aggira sul 70% e alla conseguente consistente svalutazione» che secondo la Fondazione è stata «dettata da una scelta improntata alla massima prudenza». I guai della banca, come ormai accade da tempo, si abbattono sulla Fondazione guidata da Gabriello Mancini, il cui patrimonio a colpi di minusvalenze e svalutazioni dei titoli è planato a 1,331 miliardi, in calo di oltre 4,075 miliardi rispetto a un anno prima. E sempre l’andamento del titolo, sottolineano da Siena, ha avuto impatti sulla capacità «di rispettare i meccanismi di marginazione delle garanzie contenuti nel contratto di finanziamento stipulato per sostenere l’ultimo aumento di capitale» del Monte e «nei contratti di total return swap sui titoli ibridi Fresh sottoscritti nel 2008». Insomma una situazione che ha portato l’Ente a rapide dismissioni foriere di minusvalenze e alla svalutazione che ha portato il valore di bilancio del titolo della banca – di cui ha il 36,6% destinato a diluirsi col nuovo aumento – a 0,36 euro per azione, mentre in Borsa viaggia a 0,15 euro.
L’Ente è stato costretto così a una forte contrazione dell’attività istituzionale «in questo e nei prossimi anni». Anche quest’anno niente bando ordinario per i contributi a progetti di terzi, e «sono in corso di valutazione le forme con cui erogare risorse» per le emergenze del territorio e gli impegni pluriennali. Anche per i progetti propri «è stato deciso un notevole contenimento dei costi». Palazzo Sansedoni, insomma, è in difficoltà, «un momento – dicono da Palazzo Sansedoni – che potrà essere superato soltanto con un deciso ritorno alla redditività» da parte della banca come «previsto nel piano industriale» su cui «la fondazione vigilerà con attenzione». E proprio sulla banca, anche dopo le parole di Alessandro Profumo sull’Espresso, piovono le critiche dei sindacati. «Continuare a gestire una banca come fosse un’azienda di proprietà non è accettabile – ha dichiarato il numero uno della Fabi, Lando Maria Sileoni – non è accettabile: vengono effettuate nomine con le sole vecchie logiche partitiche», nel nuovo piano industriale «non esistono concrete prospettive di crescita ma solo previsioni tutte da verificare».