Home Dal Web L'azienda fa crac, il manager ride (da Espresso.repubblica.it, lunedì 23 aprile 2012)

L'azienda fa crac, il manager ride (da Espresso.repubblica.it, lunedì 23 aprile 2012)

di Redazione

– INCHIESTA –

di Elena Bonanni e Maurizio Maggi

Sono sempre di più in Italia i casi di imprese che vanno male, ma i cui dirigenti ‘top’ prendono stipendi da favola. Mentre la differenza di compensi tra i vertici e i dipendenti sale ancora: ora è 143 a uno. Da Bpm a Unicredit, da Telecom a Fiat, ecco che cosa ha scoperto ‘l’Espresso’ (meglio se prima prendete un digestivo)

(23 aprile 2012)

La Borsa di Milano è una delle cenerentole dell’Occidente e il Pil tricolore arranca. Eppure gli stipendi dei top manager continuano a galoppare. Lo conferma il network internazionale Ecgs (Expert corporate governance service): solo i capi azienda britannici battono gli italiani nella classifica dei più pagati. In media 6,08 milioni di euro contro 5,48. Piuttosto lontani tedeschi (3,83 milioni) e francesi (3,43 milioni), nonostante in Germania e in Francia abbondino i colossi di stazza internazionale che in Italia sono ben pochi.Il 2011 horribilis dell’economia italiana, così, ha lasciato poche tracce nelle “paghe” dei grandi timonieri delle società di Piazza degli Affari. “Il boss delle aziende italiane quotate in Borsa guadagna 143 volte la media dei propri dipendenti”, sostiene Sergio Carbonara, fondatore di Frontis Governance, società che offre consulenza agli azionisti di minoranza delle imprese quotate e supporto degli stessi nella partecipazione alle assemblee. Che aggiunge: “Una forbice troppo ampia e che diventa abnorme in alcuni casi, come quello dellaPirelli, dove il presidente e amministratore delegato, che è anche azionista di maggioranza, ha portato a casa il corrispondente di ben 877 stipendiati”. La media complessiva delle retribuzioni 2011 degli amministratori delegati delle big del listino, stando alle prime analisi di Frontis Governance, è cresciuta di oltre il 20 per cento rispetto ai 4,4 milioni del 2010.

Fausto Marchionni e Jonella Ligresti

nella foto: Fausto Marchionni e Jonella Ligresti
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Ci sono casi eclatanti di incongruenza tra soldi intascati e risultati conseguiti sul campo. Per esempio, il gruppo Fondiaria-Sai dei Ligresti, laBanca Popolare di Milano e il Montepaschi di Siena. Nel corso del 2011 Fonsai ha perso in Borsa addirittura l’83,03 per cento e i due istituti di credito hanno bruciato quasi due terzi della capitalizzazione che avevano a inizio del 2011, e tutte e tre le società hanno chiuso i conti in profondissimo rosso. Così la buonuscita-monstre dell’ex amministratore delegato di Fonsai, Fausto Marchionni(10,5 milioni di euro) e quella degli ex direttori generali di Mps, Antonio Vigni (4 milioni), e della Bpm, Enzo Chiesa (2,35 milioni), hanno fatto gridare allo scandalo. Per carità, tutto secondo contratti, però la sorpresa resta. “Fanno impressione le differenze di retribuzione tra i vertici e la media dei dipendenti, e anche le maxi-liquidazioni, spesso di dirigenti che hanno ottenuto pessimi risultati. Sono contraria ai giganteschi “paracadute” per chi lascia”, sottolinea Rosalba Casiraghi, presidente di Nedcommunity, associazione nata per valorizzare il ruolo dei componenti non esecutivi e indipendenti negli organi societari. “Ritengo però che le esagerazioni che sono sotto gli occhi di tutti siano il retaggio di vecchie situazioni: molte aziende stanno affrontando con spirito diverso il tema del compenso degli executive, e legano sempre più la parte variabile dei guadagni a parametri qualitativi di medio e lungo periodo”, precisa Casiraghi.
Marco Tronchetti Provera
nella foto: Marco Tronchetti Provera
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Al vertice della pericolante Fonsai (sta per confluire nella Unipol) ci sono anche strapagati esponenti della famiglia proprietaria (per le cui holding Imco e Sinergia la Procura di Milano ha chiesto il fallimento): gli stipendi 2011 di Jonella e Paolo Ligresti sono stati rispettivamente di 2,51 e 2,14 milioni di euro. Niente male, per un’azienda che ha perso più di un miliardo e mezzo di euro negli ultimi due anni. Quando al comando di una società ci sono rappresentanti della famiglia azionista di maggioranza o di controllo, il rischio che esploda il conflitto di interessi (con i soci di minoranza a fare da vasi di coccio) è sempre dietro l’angolo. Il più pagato del 2011, per esempio, è Marco Tronchetti Provera. Ma sul suo fantastico incasso di oltre 22 milioni di euro incidono per oltre la metà premi maturati negli anni precedenti, e Pirelli&C ha macinato un bell’utile, nel 2011, e sul listino il titolo è salito del 6,27 per cento, mentre l’indice Ftse Mib arretrava del 25,5 per cento. I Moratti invece (Gianmarco, Massimo e Angelo) si sono portati a casa globalmente oltre 6 milioni di euro, dopo che la loro
Saras ha accumulato più di 60 milioni di euro di perdite nel biennio 2010-2011 e l’azione, l’anno scorso, è scivolata del 40,17 per cento.Pierfrancesco Guarguaglini

nella foto: Pierfrancesco Guarguaglini
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“Esempi come quelli di Bill Ford, che si congelò lo stipendio da presidente della casa automobilistica in una fase di grande difficoltà per la sua società, in Italia ancora non si sono visti. Quando le aziende sono in crisi, anche gli stipendi dei vertici dovrebbero rispecchiare lo stato di salute dell’impresa. E comunque in Italia capita che la politica della remunerazione dei vertici aziendali venga approvata in assemblea nonostante il voto contrario degli azionisti di minoranza. Un inelegante malcostume”, dice Stefano Modena di Governance Consulting, società di consulenza per la conduzione delle aziende. Qualcuno ritiene anche che i boss delle aziende controllate dallo Stato dovrebbero dare il buon esempio. I megacompensi degli amministratori delegati di Eni e Enel sono finiti in Parlamento. Oggetto di una interrogazione del deputato Fabio Evangelisti dell’Idv, che ancora non ha ricevuto risposte dal premier Mario Monti ma non molla l’osso: “La crisi economica che attanaglia il Paese è devastante. C’è una nicchia di privilegi, stipendi e prebende ormai fuori controllo. I manager, specialmente quelli pubblici, dovrebbero fare la propria parte, le loro paghe sono abnormi e accentuano le assurde diseguaglianze tra ricchi e poveri”. Tra le quotate di Stato, però, ha fatto rumore la Finmeccanica dell’ex Pierfrancesco Guarguaglini: nel 2011 è stata maltrattata in Borsa, ha perso 2,3 miliardi di euro e l’ex boss se n’è uscito con un paracadute di 5,5 milioni.
Ora però l’opinione pubblica reclama messaggi improntati alla sobrietà. E qualcosina sta succedendo. Le Generali, dopo la colossale buonuscita di 17,4 milioni riconosciuta all’ex presidente Cesare Geronzi, ha tagliato complessivamente del 50 per cento i bonus legati ai risultati. Il sacrificio più grosso è toccato a Giovanni Perissinotto, amministratore delegato e capo di tutte le attività del Gruppo Generali: da 1,57 miliardi a 480 mila euro. Meno grave la limatura per Sergio Balbinot, l’altro ad. E a Unicredit, dopo l’addio da 40 milioni circa di Alessandro Profumo, non sono stati pagati i bonus del 2011.Sergio Marchionne

nella foto: Sergio Marchionne
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Sergio Marchionne, il più internazionale e celebrato dei manager italiani, che fa? Oltre oceano, ha rinunciato alla paga e ai premi di capo della Chrysler, come nel 2010, e, per il lavoro svolto in Fiat e in Fiat Industrial ha intascato circa 5 milioni di euro per il 2011. “Niente da eccepire, sulla retribuzione. Lascia però sbigottiti la promessa di 7 milioni di azioni Fiat gratuite, di cui Marchionne verrà in possesso tra il 2013 e il 2015″, afferma Carbonara di Frontis Governance: “Sono considerate un incentivo ma in realtà sono legate solo alla sua permanenza nel gruppo. Se i titoli Fiat crollassero del 50 per cento da qui a tre anni, lui incamererà comunque quasi 17 milioni di euro; mentre un risparmiatore con 10 mila euro in azioni Fiat si ritroverebbe il gruzzolo dimezzato”. Commenta Giulio Sapelli, docente di Storia dell’economia alla Statale di Milano: “E’ una delle grandi asimmetrie che ha consentito la formazione di una nuova classe, quella dei top-manager che di fatto decidono da soli quanto guadagnare. Scomodando Marx, non solo espropriano il pluslavoro, ma pure parte del plusvalore. Al di là del folklore sui superstipendi, siamo al cospetto di una preoccupante élite di supercapitalisti”. Superpagati, spesso, troppo spesso, al di là dei risultati.

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