Home Dal Web Piazza Fontana, il film che racconta quarant'anni di misteri italiani (da Repubblica.it, giovedì 22 marzo 2012)

Piazza Fontana, il film che racconta quarant'anni di misteri italiani (da Repubblica.it, giovedì 22 marzo 2012)

di Redazione

LA STORIA

Piazza Fontana, il film che racconta quarant’anni di misteri italiani

Esce la settimana prossima la pellicola di Giordana sull’attentato del 1969. Destra estrema, sinistra estrema, Stato deviato hanno “impestato” il Paese impedendo alla democrazia di crescere. Ed ora l’opera cinematografica riapre il caso

Piazza Fontana, il film che racconta quarant'anni di misteri italiani

La sede della Banca nazionale dell’agricoltura devastata dalla bomba

 

di EUGENIO SCALFARI

“ROMANZO di una strage” è un film e non è un film. I personaggi sono veri ma ovviamente rappresentati da (bravissimi) attori. I fatti sono realmente accaduti e fanno parte della galleria storica del nostro Paese, ma alcuni sono frutto di induzioni e libere interpretazioni degli sceneggiatori e del regista Marco Tullio Giordana. Gli eventi narrati sono costellati di morti, violenze, congiure, complotti. Le donne sono poche ma emergono, amorevoli, devote ai loro uomini, fiere nel loro coraggio e nella loro dignità. A descriverlo così sembrerebbe una storia triste, anzi disperata, fortemente ansiogena, dove l’invenzione rende ancora più cupa la realtà. Ma tuttavia è affascinante.



Comincia con la strage di piazza Fontana a Milano, nella Banca Nazionale dell’Agricoltura, 1969, e si conclude con l’uccisione del commissario di polizia Luigi Calabresi, finito a colpi di pistola a pochi passi da casa sua. Al centro della storia la morte di Giuseppe Pinelli, anarchico ma non violento, caduto (o gettato) da una finestra della Questura milanese in via Fatebenefratelli qualche giorno dopo la bomba (o le bombe) di piazza Fontana.



Quella scena ti fa stare col cuore in gola per dieci minuti nei quali la macchina da presa è centrata sul volto di Pinelli e poi si allarga in campo lungo sul gruppetto di poliziotti che lo interrogano, sempre più accesi d’ira verso quell’anarchico strano che sembra un pastore protestante che predica il socialismo del Vangelo più che un bombarolo di professione.

Pinelli è digiuno da trenta ore, non gli danno nemmeno l’acqua da bere, il volto è stravolto dalla stanchezza, gli occhi di tanto in tanto si chiudono e i poliziotti lo risvegliano a suon di ceffoni. Solo il commissario Calabresi che partecipa all’interrogatorio cerca di riportare i suoi uomini alla calma e ad un minimo di equità ma non sempre ci riesce, loro sono furibondi perché le trenta ore d’interrogatorio pesano anche sui loro volti e sulle loro gambe. A un certo punto Calabresi è chiamato dal Questore e lascia la stanza. Allora i poliziotti si scatenano, spintonano Pinelli, lo trascinano verso la finestra. La macchina da presa si sposta su Calabresi che sta discutendo col Questore e sente all’improvviso un tonfo proveniente dal cortile. Come presago si slancia verso la stanza dell’interrogatorio e vede i suoi uomini alla ringhiera della finestra e il corpo di Pinelli sfracellato sui ciottoli del cortile.



Ho detto che è un film affascinante. Merito del regista, degli attori, del produttore Riccardo Tozzi che ha affrontato il rischio dell’impresa garantendo a Giordana piena libertà d’espressione senza la quale sarebbe stato impossibile girare quelle scene realizzando una testimonianza così incisiva e terribile. Anzi tremenda. Il terribile sgomenta, il tremendo è invece qualche cosa che ti fa consapevole e ti aiuta a crescere. Per questo affascina: esci da quell’ora e mezza di spettacolo sapendone di più sull’Italia, sullo Stato in cui vivi, sulla gente con la quale condividi le tue sorti nel bene e nel male, sui veleni che inquinano la società e sul doppio o addirittura triplo livello sui cui piani si è svolta la storia dell’Italia del Novecento, la nostra storia.



Alcuni storici illustri hanno definito il Novecento come “il secolo breve” perché sarebbe cominciato nel 1914 (la “Belle Époque” non sarebbe altro che la continuazione del secolo precedente) e sarebbe finito con la caduta del Muro di Berlino nel 1989. Settantacinque anni invece dei cento canonici. Ma non è vero, fu invece un secolo lungo. Cominciò con le cannonate di Bava Beccaris contro i socialisti e gli anarchici milanesi (1898) e poco dopo con l’uccisione di Umberto I e a dire il vero non è ancora finito sicché il doppio o triplo livello sul quale scorre il flusso dei fatti non è ancora stato smantellato, la verità non è ancora stata compiutamente svelata e le cricche, le lobby, le clientele, le mafie, non sono ancora state debellate.



Forse l’Europa, forse l’esperimento del governo Monti, forse Giorgio Napolitano, riusciranno a purificare l’aria ammorbata che ancora ci opprime. Forse il nocciolo duro delle complicità sarà portato alla luce. Forse la P2 che continua a riprodursi sotto forme diverse ma con identica sostanza sarà infine sterilizzata. Forse la democrazia conquisterà il capitalismo invece di esserne conquistata e confiscata. Forse. Ma non è ancora avvenuto e il film di Marco Tullio Giordana testimonia proprio questo: i veleni del Novecento durano ancora. Le ideologie sono spente ma il pragmatismo che le ha sostituite non ha attenuato il disagio e lo sconquasso morale.

 

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Spetterà ai recensori mettere in luce i pregi e i difetti di quest’opera, la qualità della sceneggiatura, degli attori, della regia, delle riprese e del loro montaggio. Quanto a me, intervengo perché io c’ero. Ho assistito direttamente a gran parte di quei fatti come cittadino, come giornalista e come deputato al Parlamento (lo fui dal 1968 al 1972 nel Partito socialista). Ero a Milano in via Larga in compagnia di Umberto Eco quando fu ucciso il poliziotto Annarumma. La sera di quel giorno ero nell’aula magna dell’Università Statale dove si svolse una gremita e appassionata assemblea del movimento studentesco. Capanna e Cafiero che lo guidavano resero onore al poliziotto caduto e tutti si alzarono in piedi e stettero silenziosi e piangenti per molti minuti. Ed ero con altri deputati di sinistra in piazza Santo Stefano dove si formavano i grandi cortei del movimento, per cercare di evitare gli scontri tra le decine di migliaia di studenti che protestavano contro la repressione e la polizia in tenuta antisommossa guidati dal vicequestore Allegra.



E c’ero anche nel corteo che sfilò da via Larga al Palazzo di Giustizia per la morte di Giangiacomo Feltrinelli. Ero direttore dell’Espresso quando rivelammo il Piano Solo, progettato dal Comando generale dei carabinieri con l’accordo del Presidente della Repubblica Antonio Segni. Ed ero direttore di Repubblica quando Aldo Moro fu rapito e poi ucciso, quando le Br fulminarono a colpi di pistola sulla porta di casa il generale Galvaligi e quando rapirono il giudice D’Urso e tentarono di imporci la pubblicazione di un loro lunghissimo documento minacciando che se i loro ordini non fossero stati eseguiti il prigioniero sarebbe stato ucciso. Rifiutammo e la notte di quel terribile giorno il prigioniero fu liberato da un blitz della polizia.



Insomma ho vissuto da vicino il lungo periodo della strategia della tensione che ha profondamente inquinato la vita pubblica italiana e ne ha rappresentato per molti anni l’aspetto più rilevante e ho partecipato a quel “partito della fermezza” che schierò insieme forze politiche che fino ad allora si erano aspramente contrapposte ma si unirono per fronteggiare il pericolo mortale del terrorismo dello stragismo.Romanzo di una strage ritrae una parte di quel periodo e ne rende artistica testimonianza. La mia è dunque una testimonianza diretta sulla validità della testimonianza filmica. Può avere da questo punto di vista un qualche valore.

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La strategia della tensione è stata purtroppo una presenza dominante nella seconda metà del secolo scorso. La si può descrivere con una figura geometrica, un triangolo retto, due cateti e un’ipotenusa che li unisce. E se vogliamo animare la geometria con la carne e il sangue delle persone, ci furono un’estrema destra e un’estrema sinistra che si contrapponevano usando i mezzi illegali della violenza, delle armi, delle bombe, dei complotti e delle stragi; e c’è un’altra forza che aizza la destra e la sinistra affinché la violenza esploda, organizza misteriosi provocatori, finanzia operazioni clandestine, corrompe e usa le istituzioni dello Stato per alimentare il disordine anziché controllarlo e spegnerlo. In questa arena si è cimentato anche un certo tipo di stampa e soprattutto si cimentano i servizi segreti, le agenzie di “intelligence” di Stati stranieri, le logge segrete para-massoniche e la criminalità organizzata. 



L’Italia fu il terreno privilegiato di questa strategia (ma non il solo) dove si confrontarono anche il Kgb sovietico, la Cia americana, il Mossad di Israele e i servizi di sicurezza inglesi e francesi. Gladio fu una delle centrali di pilotaggio della tensione e altrettanto lo fu il servizio di spionaggio del ministero dell’Interno creato da Tambroni e guidato per molti anni dal prefetto Federico D’Amato. La P2 fu un punto di raccordo clandestino ed essenziale di queste varie forze. La mafia e la camorra fornirono, quando fu richiesto, la loro manovalanza contrattando benefici e spazio per le loro iniziative delinquenziali.



La destra estrema, la sinistra estrema, lo Stato deviato: questi sono stati i punti essenziali di quel triangolo che ha impestato il Paese per mezzo secolo, impedendo alla democrazia italiana di crescere e di metter salde radici e condannandola a una perenne fragilità. Le forze politiche ed anche la business community sono state il terreno sul quale si è svolta questa partita perversa ed è questa una delle cause che hanno rattrappito sia i partiti sia il capitalismo italiano. Le democrazie si sviluppano in un quadro di legalità, di autorevolezza delle istituzioni, di regole certe e di comportamenti esemplari che la classe dirigente ha il compito di indicare ai cittadini come punti di riferimento. Tutti i paesi hanno difetti e debolezze ma hanno anche sistemi immunitari che producono anticorpi con l’incarico di neutralizzare i virus che attaccano quotidianamente gli organismi. 



Da noi il sistema immunitario è stato il vero obiettivo della strategia della tensione e di chi ne ha alimentato e rafforzato l’esistenza. Questa è stata l’endemica malattia che ha afflitto l’Italia e che ancora non è stata guarita. Romanzo di una strage ne è la drammatica rappresentazione.


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