LE NOSTRE RAGIONI
Gli Imprenditori si sono ripresi quello che i lavoratori erano riusciti a conquistare: un principio di civiltà che è stato gettato nella spazzatura in nome dell’Europa e del Libero Mercato.
I passaggi sono stati graduali.
Prima la legge 223 del ‘91 che ha introdotto i licenziamenti collettivi, oggi la riforma dell’art. 18 che introduce i licenziamenti individuali. Non che non fossero già possibili, ma viene introdotto un principio chiave (a dire il vero già presente in Europa, compresa la Germania, dove però i lavoratori siedono nei Consigli di amministrazione delle aziende):
in caso di licenziamento per motivi economici (quindi per “giustificato motivo oggettivo”), se non si riesce a dimostrare, con onere della prova a carico del lavoratore, che il provvedimento è discriminatorio, il giudice, pur in presenza di un provvedimento che sia illegittimo, può solo deliberare un risarcimento a favore del lavoratore e non più il suo reintegro nel posto di lavoro.
Quindi, in sostanza, se passasse la norma così come ipotizzata le aziende potrebbero licenziare senza alcun timore di un obbligo di reintegro.
È superfluo ricordare che la nostra categoria è, nella sua totalità, tutelata dalle attuali norme che, se modificate, perderebbero la loro efficacia per la stabilità del posto di lavoro in un momento di crisi del settore.
In questa prospettiva, assumono rilevanza strategica e politica le scelte compiute per il rinnovo del Contratto nazionale di lavoro, sia in tema di stabilità occupazionale che in tema di nuove assunzioni.
Per questi motivi, ed in linea con quanto deliberato dal 118° Consiglio nazionale, la FABI ribadisce con forza la propria contrarietà alla modifica dell’art. 18 così come si prospetta e, in assenza di un cambio di rotta da parte del Governo, mobiliterà, in autonomia, la categoria a difesa dei propri diritti.
VISUALIZZA E SCARICA IL COMUNICATO
3 commenti
Inserisco, di seguito, un interessante intervento giornalistico di un blogger, Fabrizio Cambriani, in merito all’art. 18, utile, tra le tante affermazioni, alcune spudoratamente mistificatorie, a fare un po’ di chiarezza sulla reale portata di talune scelte politiche:
”
Tertium non datur
Questa dell’art. 18 è davvero una gran brutta storia. Che non fa affatto onore al prestigio ed all’autorevolezza, sin qui dimostrata, da Mario Monti e dal governo da lui presieduto. Le ragioni sono di metodo e soprattutto di merito. Ma partiamo dal metodo. Da lunghissimo tempo, in ogni fase critica, se non disperata, l’Italia ne è uscita fuori con il contributo ed il consenso di tutti: politica e parti sociali. La concertazione, dunque, è stata definita più come contenuto politico che non come semplice metodo per contribuire a centrare obiettivi importanti e da tutti condivisi. Sin dagli ultimi anni ’80 è stata, la concertazione, il cavallo di battaglia della CISL e l’affrancamento da una politica meramente rivendicativa per lo più praticata fino ad allora. Monti oggi si assume l’esclusiva responsabilità di una cesura con una prassi consolidata che nel bene e nel male aveva evitato conflitti sociali in tempi nemmeno tanto gravi se paragonati a quelli attuali. Mi auguro che ne abbia calcolate pure le inevitabili conseguenze e le ricadute sul tessuto sociale già duramente messo alla prova da altri onerosi sacrifici. Quanto alla riforma complessiva, onestamente bisogna riconoscere come ci sia del buono di cui tener conto. Detto questo, tuttavia, mi interessa focalizzare l’attenzione sulla norma dei licenziamenti. Sono anni che se ne parla a sproposito caricandola di attenzioni che vanno oltre la soglia del ragionevole dibattito di merito per sconfinare nel campo dell’ideologia se non della prova di forza. Dispiace vedere e prendere atto che un economista del calibro del professor Monti si sia prestato a questo gioco infantile. Monti sa benissimo che gli ostacoli agli investimenti (soprattutto quelli esteri) non sono nell’art. 18 ma si concretizzano in ben più gravi ed annose piaghe: le varie e diverse mafie, ormai ovunque dislocate e la malavita in generale; la corruzione ad ogni livello che ha superato ogni soglia di tolleranza; la carenza di infrastrutture degne di un Paese moderno; le lungaggini della burocrazia e dei procedimenti giudiziari; infine l’annosa e penosa assenza di seri progetti industriali da parte degli imprenditori. I veri mali a cui porre rimedio subito sono solo questi: altro che un codicillo che rappresenta, nei fatti, una percentuale insignificante e trascurabile. Odioso e pernicioso è pure il metodo comunicativo con cui si tenta di commercializzare questa riforma quando si contrabbandano innovazioni per ovvietà. Prendiamo la così detta estensione a tutti i lavoratori (anche sotto le 15 unità) del divieto di licenziamento per discriminazione. La Fornero vorrebbe farci credere di aver inventato la ruota, quando in realtà si tratta dell’applicazione in una norma di un principio sancito già nel 1947, nell’art. 3 della Costituzione. Se oggi, in concreto, esistesse un datore di lavoro che licenziasse un suo dipendente – e questi riuscisse a portare tutte le prove di una palese discriminazione, supponiamo perché omosessuale o comunista, davanti ad un giudice – ebbene, si tratterebbe più di un caso da manuale psichiatrico piuttosto che giuridico. Si tratta dunque di un sotterfugio più patetico che altro, finalizzato ad indorare una pillola amara e francamente indigeribile. Il punto di rottura inaccettabile sta però nella norma che prevede il licenziamento con indennizzo (e non il reintegro) per (fumosi) motivi economici. Così facendo si monetizza il valore di un lavoratore e lo si quantifica alla stregua di qualsiasi altro bene di scambio o di consumo. In buona sostanza si rovesciano i termini della Carta Costituzionale fondata sulla centralità della persona umana. E al posto dell’uomo, della persona, si riconosce centralità al mercato. Per cui l’uomo diventa funzionale ad esso – al mercato – e non viceversa. Credo che su questo concetto fondamentale ed ineludibile dovrebbe riflettere non poco, prima di parlare a sproposito, perfino il Presidente della Repubblica. Di fronte a forzature e strappi del genere non c’è crisi che possa giustificare un arretramento di secoli in termini di civiltà e progresso. Volendo usare un’iperbole, procedendo di questo passo e facendo propri questi principi, si potrebbe arrivare alla legalizzazione della prostituzione o alla liceità sulla donazione di un rene dietro lauto compenso. Personalmente credo che questa sia la linea Maginot del Partito Democratico. Una linea da difendere ad ogni costo ed invalicabile per nessuna ragione al mondo. Come cattolico democratico e credente, ritengo che faccia parte a pieno titolo di quei valori non negoziabili. Tra i potenti e gli indifesi, un cristiano sta sempre dalla parte degli indifesi. E non trasforma i potenti in prepotenti per degradare gli indifesi a reietti. Quindi, al momento di un eventuale voto in Parlamento, ciascuno faccia appello alla propria coscienza più che alle disposizioni degli organi di Partito o peggio della Confindustria. La centralità dell’uomo o la sua subordinazione al mercato e alla finanza. Non c’è possibilità di mediazione. O il professor Monti o Gesù Cristo. Tertium non datur…”
Che altro dire se non che la questione è arrivata ad un livello di ipocrisia a dir poco indecente.
In estrema sintesi l’obiettivo che le aziende si prefiggono è senz’altro quello di arrivare a licenziamenti individuali per “scarsa performance”, vale a dire mancato raggiungimento dei risultati spesso imposti nella forma (illecita anche se ampiamente praticata più o meno spudoratamente) di budget individuali; alla faccia del concetto più volte sancito dalla Cassazione che i lavoratori delle aree professionali non hanno l’obbligo di conseguire alcuni risultati prefissati pur dovendo operare con diligenza e professionalità adeguate alle proprie capacità.
Considerando che l’interesse dell’azienda a licenziare (pagando l’indennità più o meno consistente) potrebbe essere (teniamoci un pò di dubbio, ma è palese a dir poco) ancora più concreto per i lavoratori ultracinquantenni (assumendo giovani senz’altro meno costosi e senz’altro più malleabili) e che questi lavoratori si spera abbiano maturato almeno la qualifica di quadro direttivo, mi farebbe piacere avere al riguardo una valutazione qualificata da parte della nostra Segreteria Nazionale.
Posto che l’opposizione alla modifica (imposta) dell’art.18 deve essere da subito forte e decisa, mi sembra infatti che se per i quadri direttivi valesse il principio di un’obbligazione di risultato si potrebbe addirittura arrivare ad un licenziamento senza neanche indennità.
Forse sto esagerando, ma come si dice….. a pensar male non sempre si fa peccato!
In questi ultimi mesi è stato costituito da diversi partiti e forze sindacali un comitato promotore del referendum per l’abolizione dell’art. 8 della manovra finanziaria di Berlusconi che deroga i CCNL permettendo accordi aziendali e dell’art.18 post-riforma Fronero per ripristinarlo nella sua verisone originale. L’iniziativa è, di fatto, censurata dalla radiotelevisione pubblica, e necessita del massimo supporto possibile da tutte quelle forze politiche e sopratutto sindacali che si battono per la stabilità occupazionale.
http://www.referendumlavoro.it