di Cristina Casadei
Sapete che cosa risponde alla domanda «Lei ha mai preso in considerazione l’idea di lavorare in banca?» un giovane italiano tra i 18 e i 25 anni? Nel 41% dei casi «si ci ho pensato».
Che non ci siano più i bancari di una volta e che il lavoro in banca sia attraversato da un profondo cambiamento lo hanno definitivamente detto con l’ultimo rinnovo del contratto collettivo nazionale di lavoro le parti coinvolte e cioè Abi e i sindacati. Ma che questo lavoro abbia ancora un certo appeal, forte, tra i giovani lo ha spiegato un sondaggio dell’Ipsos di Nando Pagnoncelli che è stato presentato ieri al 118esimo consiglio nazionale della Fabi, la federazione autonoma dei bancari italiani. È una professione che ha meno prestigio sociale che in passato: pensa così il 53% di chi ha tra i 18 e i 25 anni e il 38% in media, senza considerare l’età. Nella graduatoria del prestigio delle professioni quella del lavoratore in banca viene al sesto posto dopo il medico, al primo, l’ingegnere, al secondo, l’avvocato, al terzo. Il lavoro è percepito ancora come ben retribuito, soprattutto tra gli under 25, anche se meno di un tempo, e questo lo dicono coloro che sono più maturi, che parlano anche di meno prospettive di carriera di una volta. Nell’opinione pubblica le banche sembrano il settore che più di altri offre pari opportunità, ma non è considerato un settore molto meritocratico. È invece percepito come molto attento alla formazione interna.
Questo per il segretario generale della Fabi, Lando Sileoni, significa che «nonostante la crisi il lavoro in banca ha saputo mantenere il proprio appeal». E fa presa sui giovani perché «grazie a un’intelligenza politica di riequilibrio tra uscite e nuovi ingressi, si conferma ancora aperto al ricambio generazionale. Un elemento rafforzato dall’ultimo rinnovo del contratto che con l’istituzione del fondo per l’occupazione permetterà di creare le condizioni per 30mila assunzioni a tempo indeterminato nei prossimi 5 anni». Tra l’altro il sondaggio mette in luce che la percezione che si ha ancora del lavoro in banca è quello del lavoro sicuro. Ma il lavoro in banca appaga o no? Per il 24% di chi ha tra i 18 e i 25 anni, ossia per uno su quattro, si, è un lavoro che appaga. E nella classifica delle professioni più appaganti arriva al quinto posto, dopo il medico, l’ingegnere, l’avvocato e il ricercatore universitario. Quanto all’utilità, questo è uno dei punti di forte debolezza che emergono sulla professione che con il 9% delle risposte positive si trova all’ottavo e penultimo posto, subito prima del lavoro in posta. Anche in questo caso, al primo posto c’è il medico. Nella percezione che la collettività ha del lavoro in banca, quando lo si cita il primo pensiero va all’operatore allo sportello: accade nel 71% dei casi. Segue il direttore della filiale nel 23% e le figure finanziarie nel 15%. Andando a chiedere il grado di fiducia emerge quella che Giuseppe Mussari, presidente di Abi, definisce «una totale asimmetria di giudizio», su cui dobbiamo interrogarci. E cioè che la fiducia è bassa verso le banche, aumenta verso la propria banca ed è massima verso le persone che lavorano nella propria filiale in cui quasi la metà del campione (46%) dice di avere massima fiducia. Forse allora, per dirla con Pagnoncelli, il bancario «è una professione che andrebbe riempita di più di contenuti nei confronti della pubblica opinione. Oggi presenta luci e ombre, ma certo esiste ancora un rapporto molto fiduciario con il lavoratore bancario». E a molti giovani questo piace.