di Angelo Ciancarella
Sono bastate tre righe e sette senatori del Partito democratico, oltre a una (presunta) norma di raccordo smarrita, a far saltare i nervi al sistema bancario italiano, con il comitato di presidenza dell’Abi dimissionario, dal presidente Mussari ai quattro vice (Patuelli, Pirovano, Rosa e Sforza Fogliani).
L’emendamento di Anna Rita Fioroni e sei colleghi (non peones: c’è il vicecapogruppo Latorre, il bolognese Sangalli che ha presieduto aeroporto e camera di commercio, già habitué dei cda bancari, da Rolo Banca1473 a Unicredit Private Bank, Banca di Bologna, Unipol) approvato martedì in commissione con la contrarietà del sottosegretario allo Sviluppo economico Claudio De Vincenti, afferma che «sono nulle tutte le clausole comunque denominate che prevedano commissioni a favore delle banche a fronte della concessione di linee di credito, della loro messa a disposizione, del loro mantenimento in essere, del loro utilizzo anche nel caso di sconfinamenti in assenza di affidamento ovvero oltre il limite del fido».
Ad essere saltate (ma da dove? il resoconto è chiaro) secondo il relatore Pd Filippo Bubbico – che aveva comunque espresso parere favorevole – sarebbero le parole che limitano il divieto e la nullità «alle banche che non si adeguano alle norme sulla trasparenza ai sensi della delibera del Comitato interministeriale per il credito e il risparmio, adottata ai sensi dell’art. 117 bis del Codice bancario», a sua volta introdotto a Natale dalla legge di conversione del decreto Cresci-Italia.
Per la verità la spiegazione spiega troppo, perché il 117 bis già prevede casi tassativi in cui sia possibile applicare commissioni onnicomprensive, a pena di nullità delle clausole (ma non dei contratti di finanziamento e affidamento). E già prevede «disposizioni applicative» del Cicr, che i primi interpreti ritengono superflue e comunque non tali da condizionare l’efficacia della norma in vigore dal 28 dicembre. L’articolo 27 bis inserito dalla commissione Industria nel ddl di conversione del decreto liberalizzazioni, e confluito senza modifiche nel maxiemendamento sul quale il governo ha posto la fiducia (ottenuta ieri con 237 sì e solo 33 voti contrari) rappresenta di fatto l’abrogazione dell’articolo 117 bis del Tub.
L’intero mondo bancario dava per scontata la correzione, nel senso che l’emendamento del governo tenesse già conto di quanto dichiarato dal senatore Bubbico (relatore insieme alla Pdl Simona Vicari). Ma il via libera non è arrivato, anche perché l’aggiunta non avrebbe avuto senso logico, essendo piuttosto necessaria la cancellazione. E poi il governo aveva assicurato di porre la fiducia sul testo della commissione, per coniugare il rispetto del Parlamento con i tempi stretti (a fronte di 1700 emendamenti presentati). Intervenire solo pro-banche avrebbe suscitato un vespaio. E infatti il sottosegretario Catricalà (box a fianco) non si oppone alla modifica, ma l’affida al Parlamento.
Sennonché il vespaio è arrivato lo stesso e anche il ministro Passera (che si aspettava la correzione) è rimasto spiazzato e ha commentato le dimissioni della presidenza dell’Abi come «il sintomo del grande disagio del settore bancario, che è vicino all’economia del paese». Ma ha passato la palla al premier: «Non lo so» se cambierà la norma, «è Monti che deve decidere». «Un segnale chiaro, non un gesto di frustrazione» quello dell’Abi, secondo la dichiarazione del presidente Mussari in conferenza stampa: «Le banche hanno fatto un grande lavoro per le imprese e le famiglie.
Non è giusto nè tollerabile un atteggiamento contro le banche. Un Paese che non sta vicino alle proprie banche non sta vicino a se stesso». Un eccesso di enfasi, probabilmente, da chi pochi giorni fa manifestava dispetto perfino per i conti correnti a zero spese. Ma una motivazione condivisa dalle banche estere come dai sindacati: le prime, con il presidente dell’Aibe Guido Rosa, si augurano che «il funzionamento del mercato finanziario italiano possa essere mantenuto allo stesso livello dei paesi occidentali».
E sul timore di effetti negativi (ventilati da Mussari) tanto sugli interessi quanto sull’occupazione, si è immediatamente accodata la Fabi, la maggiore federazione di categoria: «Lungi dal liberalizzare alcunché – ha dichiarato il segretario generale Lando Maria Sileoni – le norme avranno effetti negativi sul sistema e quindi sui lavoratori bancari».