Il 19 gennaio scorso, nel più grave periodo sociale ed economico della nostra storia, è stata raggiunta l’intesa per il rinnovo del contratto collettivo di lavoro; il contratto scadrà, sia per la parte economica che per quella normativa, il 30 giugno 2014.
L’ipotesi di accordo, che presto sarà sottoposta alle assemblee dei lavoratori, è stata sottoscritta da Fabi, Fiba-Cisl, Dircredito, Fisac-Cgil, Sinfub, Ugl, Uilca e, a parte, firmato anche da Falcri-Silcea.
Affermare, come fa la Falcri-Silcea, di averlo firmato solo per poterlo gestire, non ha senso: un contratto si firma o non si firma, e soltanto nell’Italia di oggi possono trovare spazio simili e grottesche giustificazioni.
Per giungere all’Accordo, si è passati attraverso una laboriosa e lunga trattativa, un’estenuante tornata negoziale con la delegazione Abi segnata dai ripetuti ma vani tentativi delle Banche di sparigliare il fronte sindacale, secondo logiche di confronto datate e superate.
Già in fase di prima valutazione non abbiamo esitato, come Fabi, a definire il risultato positivo, specie in riferimento all’attuale difficilissima situazione internazionale e nazionale, situazione profondamente peggiorata rispetto a quella di approvazione della piattaforma contrattuale. Ma, ancor più, positivo perché sono stati ottenuti risultati importanti sul versante della salvaguardia dei diritti e delle tutele individuali – che erano stati messi pesantemente sotto attacco – e sul versante occupazionale.
Senza contratto saremmo rimasti senza tutele e alcuni gruppi bancari, all’interno di ABI, hanno sperato esattamente questo, fino all’ultimo: non sottoscrivere un nuovo accordo per tentare così, autonomamente, di farsi i loro contratti in sede aziendale, stile Marchionne in Fiat, con l’inevitabile conseguenza, per i 340.000 bancari italiani, di rimanere senza tutele economiche e normative.
Purtroppo, la giurisprudenza è dalla loro parte.
Occorre, innanzitutto, avere ben chiara la gravità del momento vissuto dalla società civile, dalle istituzioni finanziarie, dal sistema produttivo ed economico, scenario che ha condizionato questo negoziato al punto da essere utilizzato, strumentalmente, come leva ben oltre la sua portata oggettiva, con l’intento di colpire e scardinare i diritti dei lavoratori.
Ebbene, questo disegno, supportato dalla giustificazione della crisi, non è passato. E, se ciò non è avvenuto, lo si deve alla fermezza delle nostre posizioni ed al senso di responsabilità che le ha ispirate.
Ho, purtroppo, la sensazione che i tempi che verranno saranno resi ancora più difficili da una riforma del mercato del lavoro che non promette nulla di buono, come l’intenzione di modificare anche l’articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori che, secondo il mio parere, non va assolutamente toccato.
La riforma del sistema pensionistico ha, inoltre, creato gravi difficoltà al nostro ammortizzatore, il Fondo Esuberi: sarà forse necessario trovare altre soluzioni per creare le condizioni di prepensionamenti volontari ed incentivati economicamente.
Certo abbiamo posto, al tavolo del rinnovo, il problema della crescita e dello sviluppo, ma non vi è dubbio che si tratta di un tema politico primario che va affrontato in sede di realizzazione del programma di governo, senza alcuna velleità di finto protagonismo. Tuttavia, quanto ottenuto in materia di occupazione, di nuova occupazione, è particolarmente significativo: sia per i giovani, sia per la continuità operativa delle banche che devono, nel comune interesse dei lavoratori, poter efficacemente contrastare le une lo spettro del declino e gli altri lo spettro assillante dell’emarginazione sociale.
Da un lato, i giovani sono sbeffeggiati, anche da esponenti ministeriali, perché in carico alle famiglie sino alle soglie dei trent’anni, dall’altro lato si sentono proporre evanescenti prospettive di cambio di lavoro per sfuggire, paradossalmente, alla monotonia di un’occupazione che non trovano!
In un quadro denso di trappole e contraddizioni, abbiamo, perciò, cercato di perseguire delle sostenibili priorità che dessero certezze e riscontri definiti ai lavoratori: una copertura economica che recuperasse l’erosione inflattiva; la creazione di un Fondo che potrà garantire occupazione stabile, nei prossimi cinque anni, ad oltre 30.000 giovani; la possibilità di in-sourcing con reinserimento, nel perimetro aziendale, di attività già esternalizzate; un nuovo profilo della retribuzione variabile.
Senza dimenticare che abbiamo posto concretamente le basi per sconfiggere definitivamente il lavoro precario nelle banche italiane.
I sacrifici saranno temporanei e canalizzati al finanziamento di un Fondo per la buona e sana Occupazione, che sarà alimentato anche da una giornata di festività soppresse dei 6.227 dirigenti bancari italiani che hanno un loro contratto collettivo di lavoro e da un 4% della retribuzione dei 300 Top manager e banchieri che, invece, hanno contratti individuali con le loro banche di appartenenza.
A fronte della temporaneità dei sacrifici, gli aumenti salariali rimarranno, al contrario, per sempre in busta paga.
Il negoziato, come accade in ogni confronto, ha subito le spinte contrapposte del massimalismo rivendicazionista e del tatticismo.
Noi, da subito, abbiamo ritenuto nostro dovere impegnarci col peso della nostra forza ed anche con la determinazione del nostro temperamento.
Affronteremo, quindi, con serenità e decisione, il passaggio delle verifiche assembleari, sicuri della trasparenza della nostra azione e consapevoli che la sfida si gioca sull’occupazione.
Lo voglio dire in modo inequivocabile: la Fabi ha la forza dei suoi iscritti, forza che trae dal legame con i colleghi; i nostri esponenti sono conosciuti e stimati perché vivono le situazioni specifiche di chi opera giorno per giorno anteponendo, sempre, la concretezza delle soluzioni ai rivendicazionismi velleitari ed ai movimentismi barricaderi.
La Fabi, certo non da sola, ha sottoscritto l’intesa di rinnovo contrattuale con spirito unitario ed ha dimostrato, anche attraverso l’affidabilità e la compattezza del gruppo dirigente, di saper svolgere una funzione di tutela e di guida dei lavoratori in un tempo difficile, senza rinunciare ad essere responsabile.
E, proprio in quanto responsabile, protagonista decisiva.
A qualcuno non va giù che la FABI abbia, con le scelte unitarie condivise con le altre organizzazioni sindacali, protetto, di fatto, l’intera categoria ed i suoi iscritti.
Uno scontro sociale, in queste condizioni, avrebbe prodotto soltanto macerie.
A qualcuno non va giù la lungimiranza politica della nostra organizzazione: se ne facciano una ragione, non indietreggeremo di un millimetro.