Lando Maria Sileoni, Segretario generale della FABI.
Da sempre la nostra Organizzazione si è concretamente occupata di tutela attiva del lavoro e di solidarietà intergenerazionale tra occupati e giovani in cerca di occupazione. Un esempio particolarmente significativo del nostro muoversi in tal senso fu il Convegno «Destinazione Banca», che tenemmo a Milano nell’ottobre 2010 , nel corso del quale mettemmo al centro della nostra riflessione la grave realtà del precariato, nelle sue diverse forme, ed i possibili modi per uscirne. Ma vediamo, dati alla mano, qual è la situazione attuale.
Lo scenario nazionale registra un incremento del tasso di disoccupazione che si avvicina al 9%. In particolare, i giovani in cerca di occupazione sono oltre il 28%: più di uno su tre. Il numero totale degli occupati è sceso al di sotto dei 23 milioni, con un tasso di occupazione generale inferiore al 57%. Questi dati, uniti ai fondamentali negativi dell’economia ed alle pressioni al rialzo sui rendimenti dei titoli del debito pubblico, rendono difficile ma, al tempo stesso, non rimandabile una seria politica di sviluppo. Oggi, accanto ai numerosissimi tavoli di crisi (oltre 270!) aperti al ministero del Welfare e/o dell’Economia, la situazione vede solo occasioni di lavoro a termine, incentrate, peraltro, su forme di collaborazione breve cui viene negata ogni prospettiva di stabilità.
Si sono poi fatte strada, ai margini di esternalizzazioni compiute da grandi imprese o gruppi aziendali, modalità di lavoro che hanno snaturato l’istituto cooperativistico, facendone comodo schermo a situazioni di precariato: basti pensare ad alcune fasi di lavoro collegate al sistema ferroviario balzate alla cronaca in questi giorni.
Il sindacato, forte del suo ruolo non solo tecnico, ma di rappresentanza generale degli interessi dei lavoratori, è quindi chiamato ad intervenire, facendosi carico di proposte concrete e percorribili, in una logica di maggiore solidarietà fra le generazioni. Dobbiamo preoccuparci di chi lavora ed anche di chi vuole (e deve) lavorare con la medesima dignità e con gli stessi diritti di chi già gode di un articolato sistema di tutele.
Non sono più ammissibili due distinti mercati del lavoro: quello dei lavoratori a tempo indeterminato, da una parte, e quello dei temporanei, dall’altra;temporanei, ricordiamolo, sui quali grava tutta l’incertezza ed il rischio di tutele sociali e previdenziali inadeguate.
Il tema della così detta «flexicurity » affascina, ma – ad oggi ha contorni ancora piuttosto evanescenti e difficili da stimare sul piano dei costi. Da più parti si fa riferimento al «modello di flessibilità/sicurezza danese«, modello che vedrebbe prevedere, per tutti, un contratto di lavoro inteso come rapporto a tempo indeterminato, seppur flessibilizzato da modalità di uscita capaci di favorire il rapido recupero di nuove opportunità di impiego. Il tutto assistito – ed ecco la novità- da una forma particolare di assicurazione complementare contro la disoccupazione che, in caso di necessità, verrebbe erogata, per un determinato periodo, sotto forma di sussidio. Il costo di tale assicurazione, e dei servizi annessi, sarebbe posto a carico delle aziende, secondo percentuali da definire rispetto al monte-retribuzioni globale. Da qui, non poche riserve dovute alla verifica della sua effettiva sostenibilità nel contesto del mercato italiano.
Resta, poi, aperto un dubbio: e se un impianto normativo di questo genere venisse pensato con il solo proposito di sospendere quella parte dell’articolo 18, Legge 300 che, in caso di licenziamento senza giusta causa, prevede il reintegro del lavoratore? Queste oggettive riflessioni si accompagnano alla necessità di rivedere l’insieme delle coperture oggi previste dagli ammortizzatori sociali, senza trascurare le significative differenze tra diversi settori economici. Al riguardo, pensare a riforme che si ispirino alla filosofia del «costo zero» è, a nostro serio avviso, del tutto errato ed illusorio. Le scelte di politica sociale, pur improntate alla ricerca del miglior equilibrio tra costi e prestazioni, rifuggono ogni neutralità e richiedono che prevalga, nei fatti e nelle scelte normative specifiche, una decisiva ispirazione alla solidarietà e all’equità. Uno Stato moderno deve destinare all’inclusione sociale le giuste risorse, con l’obiettivo di farne una linea programmatica da seguire e attuare, e non un pilastro da demolire.