di ANDREA GRECO
Giuseppe Mussari, presidente dell’Abi MILANO – L’Abi predica “moderazione” nel trattamento economico dei top manager bancari, evitando “per quanto possibile” il loro incremento finché sarà valido il contratto nazionale, che riguarda 340mila dipendenti nel settore e va all’ultimo tavolo negoziale nei prossimi giorni. Con una lettera inviata venerdì a presidenti 1, amministratori delegati e direttori generali degli istituti affiliati, il numero uno dell’associazione Giuseppe Mussari gioca d’anticipo e cerca di sensibilizzare gli animi su uno dei punti a maggior impatto estetico e politico, che riguarda gli stipendi milionari dei banchieri. “Il sistema finanziario europeo è stato colpito con durezza dalla crisi – si legge nel documento – che si è trasformata in vera e propria emergenza per i debiti pubblici. In questo ambito, si è posta alla comune attenzione la questione dei compensi ai top manager, in una logica di equa distribuzione e sostenibilità complessiva delle misure imposte dalla congiuntura. Il tema è comune a tutta la collettività, e a tutti coloro che hanno nel paese ruoli di responsabilità”. Il presidente rivolge quindi ai banchieri affiliati “l’invito ad indirizzare ulteriormente le scelte in tema di trattamenti economici delle figure apicali verso una moderazione che – per quanto possibile e senza incidere sulle politiche di retention (quelle che evitano la fuga dei talenti migliori dalle aziende, ndr) – giunga a evitare anche incrementi di dette remunerazioni per il periodo di vigenza del Contratto nazionale”. Ovvero per i prossimi tre anni. La lettera. 2 Si tratta di una mossa inedita, che appena resa nota ha colto lo scontato plauso delle organizzazioni sindacali: “I sindacati bancari apprezzano l’ispirazione e il contenuto della lettera di Mussari, che va ben oltre le pur rilevanti e condivisibili elaborazioni e proposte del Financial Stability Board e della Banca d’Italia. Si tratta di un atto politico e straordinario, di profonda e nitida discontinuità che si appella alla personale responsabilità etica di ognuno e che auspichiamo contribuisca a consegnare, definitivamente, al passato la stagione della crescita esponenziale dei differenziali retributivi tra Top Management e restante personale”. Il commento, in forma di nota stampa, è siglato dalle segreterie nazionali di Fabi, Fiba-Cisl, Fisac-Cgil, Uilca, Dircredito, Sinfub e Ugl Credito. Il momento per il settore è delicato: lunedì inizia il tavolo di trattativa tra banche e sindacati, l’esercizio appena chiuso – anche se i dati contabili saranno diffusi solo tra un mese – è stato tra i più magri degli ultimi già deprimenti anni. Le operazioni allo sportello sono in calo del 50% (un 35% negli ultimi due anni, l’altro 15% previsto a 18 mesi), perché gli italiani, pur nell’arretratezza tecnologica, si stanno convertendo ai canali remoti come il telefono o il web, più comodi ed economici. Pure, l’esercito dei bancari continua ad assiepare le filiali, producendo una redditività vicina allo zero e decrescente in prospettiva, per il basso livello dei tassi di interesse e la recessione in corso nel paese. Sarà difficile dunque, per i lavoratori, prescindere dalla piattaforma che l’Abi porta al negoziato, e che si incardina su quattro proposte definite dai datori di lavoro “a salvaguardia dell’occupazione”. Una, riportare le attività esternalizzate negli anni scorsi in azienda, per difendere l’occupazione, ma retribuendole un quinto in meno del contratto nazionale e con carico orario di 40 ore settimanali (oggi siamo a 37,5). Due, salari di ingresso scontati del 20% per i neoassunti. Tre, orari di sportello da estendere nella fascia 8-22. Quattro, un fondo per il sostegno dell’occupazione, finanziato in modo solidaristico, che prenda il posto dell’attuale Fondo esuberi, momentaneamente “superato” dalle misure governative di allungamento dell’età pensionabile. A proposito del nuovo Fondo, Mussari aggiunge nella lettera che, se nascerà, “riterrei opportuno che le figure più rilevanti aziendalmente siano invitate a contribuirvi, con un apporto indicativamente al 4% della loro retribuzione fissa”. Né i bancari né i banchieri italiani, del resto, hanno i numeri dalla loro parte. Nonostante la redditività degli istituti nazionali (Roe) sia circa la metà della media europea, i dipendenti costano alle aziende in media 75mila euro l’anno (contro 57mila della media Ue). E i capiazienda delle blue chip bancarie si sono messi in tasca stipendi tra 1,5 e 3,5 milioni nel 2010.