Rossella Bocciarelli
ROMA – «Ingiustificata, incomprensibile e irresponsabile». Per commentare la grandine di declassamenti decisa da S&P, che penalizza in particolar modo il nostro Paese, l’Associazione delle banche italiane usa più o meno gli stessi termini scelti dal commissario per gli Affari europei Olli Rehn (il quale ha parlato anche, senza peli sulla lingua, di «attacco politico all’Europa»). Alla vigilia della riapertura dei mercati e di una giornata che in via automatica dovrebbe vedere anche il downgrading dei principali istituti di credito e imprese italiane (la regola adottata dalle “tre sorelle” prevede che nessun ente privato possa avere un merito di credito superiore a quello del proprio Paese) le banche italiane prendono posizione per sottolineare l’incongruenza di una decisione arrivata dopo che l’Italia aveva intrapreso azioni decisive per contrastare la crisi e mentre i risultati delle ultime aste di titoli di Stato italiani cominicavano a rispecchiare i passi avanti compiuti. Il downgrading a BBB+, per contro, impedisce a fondi esteri e gestori assicurativi (per i loro vincoli statutari autorizzati a comprare solo titoli di serie A) di rientrare sul mercato dei titoli italiani e potrebbe, per questa via, avere conseguenze pesanti sul finanziamento del debito pubblico. Ma da Palazzo Altieri viene anche l’auspicio «che sia completata e approvata nel minor tempo possibile la disciplina europea sulle agenzie di rating e che la Banca centrale europea e le autorità di vigilanza riconsiderino da subito l’utilizzo dei rating esterni nelle loro procedure e nei loro modelli di valutazione». È un augurio sul quale è tornata ieri perfino la Cancelliera tedesca Angela Merkel, che ha sottolineato come sia necessario rivedere le norme per le agenzie di rating in modo da limitare la dipendenza dai loro giudizi. C’è chi ritiene che sia stata proprio quella proposta Ue di regole più severe, di trasparenza e di responsabilità per i danni provocati da previsioni ingiustificate o manipolatrici del mercato da parte delle agenzie, a richiamare la “vendetta” delle società di rating nei confronti dell’Europa. Ma c’è anche chi pensa che la decisione di S&P non comporterà grandi effetti sugli spread perchè «comincia ad aumentare – afferma ad esempio Gregorio De Felice, capo economista di Intesa San Paolo – la percezione che quelli delle agenzie di rating sono giudizi e non oro colato» e anche perchè in Italia «sono state varate manovre per 80 miliardi di euro a carico dei cittadini e questo meriterebbe un po’ più di rispetto». Di sicuro, dei risvolti che l’improvvida decisione potrebbe comportare sulle strategie creditizie italiane, comprese quelle legate al temporaneo (e prociclico, secondo la definizione del presidente della Bce, Mario Draghi) rafforzamento patrimoniale chiesto dall’Eba, si parlerà molto alla riunione di dopodomani in Banca d’Italia. A quell’appuntamento con il governatore Ignazio Visco i banchieri si presenteranno avendo iniziato a fare “i compiti a casa” rispetto a una richiesta avanzata da tempo dalla Vigilanza: realizzare risparmi interni anche sul fronte dei compensi ai top manager. Il presidente dell’Abi ha infatti dato indicazioni in tal senso in una lettera spedita giovedì scorso a presidenti, amministratori delegati e direttori generali di tutte le aziende di credito: «La crisi – scrive Giuseppe Mussari – si è trasformata in vera e propria emergenza all’accentuarsi dell’attenzione sui debiti pubblici, che ha indotto il nostro Governo ad adottare misure necessarie e
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TUTTOFABI Anno VIII – 16/01/2012
a cura di Bruno Pastorelli – b.pastorelli@fabi.it
auspicate, ma senza precedenti per rigore e incisività, attraverso manovre che hanno imposto sacrifici ai cittadini e tra esse a lavoratori e pensionati». La questione dei compensi ai top manager, prosegue la lettera, si è imposta alla comune attenzione «in una logica di equa distribuzione e di sostenibilità complessiva delle misure imposte dalla congiuntura». Di qui, la richiesta ai banchieri: evitare incrementi nelle remunerazioni delle figure apicali e più rilevanti in azienda per il periodo di vigenza del contratto delle altre categorie. E se sarà costituito, insieme alle organizzazioni sindacali dei bancari, un apposito fondo di sostegno all’occupazione di settore, i top manager delle aziende di credito sono stati invitati a contribuirvi con un apporto pari al 4 per cento della loro retribuzione fissa.