Massimo Restelli
Le banche del futuro non solo saranno messe alle corde da ricavi e margini ai minimi storici ma faticheranno a liberarsi dai «lacci» dei debiti che le legano a famiglie e imprese: quest’anno le sofferenze dovrebbero appesantirsi del 38,8% e peggiorare ancora sia nel 2012 (+9,9%) sia nel 2013 (+5,5%).
La diagnosi è dei «medici» dell’Abi, l’Associazione bancaria italiana, secondo cui entro il 2013 la crisi costerà alle banche 8 miliardi di ricavi netti. Non solo, il rapporto di previsione stilato dall’associazione di Giuseppe Mussari stima che a fine anno la redditività del sistema scenderà al minimo storico dello 0,3% e anche la «lieve ripresa» successiva «non sarà in grado di modificare in modo significativo» la situazione: tanto che nel 2013 il Roe sarà al 3%. In sostanza ogni banconota da 100 euro impilata nei caveau renderà solo 3 monete da un euro. Essendo il Roe il rapporto tra utili e patrimonio, il crollo è influenzato dalle ricapitalizzazioni con cui gli istituti di credito hanno affrontato la crisi e il diktat dell’Eba, ma il direttore generale dell’Abi, Giovanni Sabatini, teme che gli istituti «cambino Dna per fare più finanza e meno attività di banca commerciale». A preoccupare è anche la decisione del governo di mettere un tetto alle commissioni sulle carte di credito». Nel 2013 il Core Tier One, l’indice della solidità delle banche, salirà comunque al 9,3%, nonostante la «tarma » della redditività.
Il referto dell’Abi denuncia l’urgenza per le banche di puntellare i margini tagliando i costi; compresi quelli del personale: Palazzo Altieri conferma il «quadro recessivo» nel 2012 (-0,7%) e la stagnazione nel 2013 (+0,2%); la crescita degli impieghi rallenterà al 2,8% (dal 3,6% del 2011). Il decreto salva-Italia del governo costerà 4 decimi di Pil tra 2012 e 2013, mentre la disoccupazione resterà sopra l’8% fino al 2013.
Da qui il braccio di ferro sul rinnovo del contratto dei bancari: l’Abi vuole chiudere a gennaio (l’incontro è il 16) e Francesco Micheli, che conduce le trattative, ha detto ai leader della Fabi (Lando Maria Sileoni) e delle ex «confederali » Uilca ( Massimo Masi), Fiba ( Giuseppe Gallo) e Fisac (Agostino Megale) che l’unico modo per salvaguardare l’occupazione è concedere alle banche di tenere le filiali aperte al pubblico fino alle 10 di sera,riportare all’interno dei gruppi le attività esternalizzate applicando stipendi inferiori del 20% rispetto ai minimi contrattuali, così come ai nuovi salari di ingresso. In cambio dell’aumento proposto (150 euro in 3 anni), l’Abi ha poi chiesto ai sindacati di restituirne la metà rinunciando temporaneamente a diritti acquisiti come le ex festività e i permessi.
«Occorre un equilibrio tra recupero dell’inflazione, compensazione normativa temporanea e solidarietà generazionale per favorire nuova occupazione con il contributo anche dei top manager », attacca Sileoni: «In assenza di uno di questi tre punti, ricorreremo alla mobilitazione del personale usando mezzi non convenzionali».
«Un contratto a costo zero è inaccettabile – aggiunge Masi – non rinunceremo mai al recupero salariale. I sacrifici siano condivisi da tutti, a partire dai vertici».
Ma la vera partita sarà quella successiva, quando si andranno a discutere i piani industriali dei singoli gruppi creditizi, messi all’angolo dal macigno della riforma delle pensioni che blocca gli esodi.