di Massimo Restelli
La trattativa sul contratto nazionale dei bancari è stata rimandata al 15 dicembre per evitare che l’attuale stallo diventasse una guerra. Chiediamo al segretario della Fabi, Lando Maria Sileoni, quale è stato il punto di rottura con l’Abi.
«La trattativa – specifica il leader del principale sindacato italiano del credito – sconta una fase di sospensione e l’Abi cerca di approfittarne per trarne il maggior profitto. Noi chiediamo di rispettare la “piattaforma“ decisa dalle assemblee unitarie: puntiamo sul recupero integrale dell’inflazione, sull’istituzione di un fondo finanziato dalle banche e dai banchieri per creare nuova e stabile occupazione e sulla valorizzazione del negoziato aziendale».
Che cosa siete pronti a sacrificare? In caso contrario farete una serrata prima di Natale?
«Francesco Micheli (che guida le tratattive per l’Abi ndr) vuole fare il contratto, ma solo alle sue condizioni e decidendone l’esito, con il doppio ruolo di arbitro e giocatore. I sindacati, invece, pretendono un contratto in cui il concetto di equità sociale sia attuato da tutti. In caso contrario sarà scontro aperto, a iniziare dai grandi gruppi».
Il diktat dell’Eba sui requisiti patrimoniali ha però contribuito a mettere le banche alle corde, aumentando il rischio credit cruch. Tagliare i costi appare quindi inevitabile…
«Lo sforzo di ricapitalizzazione richiesto alle banche italiane sarà ingentissimo. Prevedo, quindi, rischi gravi, oltre che sull’erogazione del credito a famiglie e pmi, anche per il tentativo, prevedibile, di scaricare nuovi costi sui livelli occupazionali. Che rispediremmo al mittente».
La guerra per la guida della Popolare di Milano ha lasciato macerie tra le segreterie nazionali. Un punto a vantaggio dell’Abi…
«In Bpm non c’è alcuna guerra e, comunque, i rapporti tra i segretari generali sono improntati al consueto rispetto. Alla Bpm, qualcuno voleva utilizzare il buon nome della nostra organizzazione per attività che niente avevano a che vedere con quella sindacale. Sono stati messi nelle condizioni di andarsene. A breve Fabi e Fiba-Cisl presenteranno una nuova associazione aperta al contributo dei dipendenti, dei pensionati e dei clienti».
Dopo una drastica pulizia di bilancio, Unicredit ha denunciato altri 3.500 esuberi. Sarà un dicembre di scioperi?
«Con Profumo Unicredit si è aperta allo sviluppo internazionale, in altre condizioni di mercato. Oggi ha riscoperto, sotto la guida di Ghizzoni, la vocazione di banca commerciale. In un recente passato qualcuno si è arricchito, altri si sono impoveriti. In molti hanno perduto il posto. Ma nessuno, mi lasci dire, ha pagato di persona, se non i lavoratori. Siamo di fronte a un gruppo che cambia linea politica ed organizzativa in media ogni 20-24 mesi: questo è il punto. La pulizia dei conti, con importi da capogiro, è figlia di un certo modo di fare banca che ha privilegiato la finanza e comportato l’assunzione di rischi impropri».
Intesa ha evidenziato 137 esuberi al Monte Parma. Che cosa chiedete a Cucchiani?
«La vicenda di Parma amareggia. Contrasteremo con ogni mezzo l’utilizzo della legge sui licenziamenti collettivi per espellere 137 persone. A Cucchiani dico: mentre in Germania si loda il “modello renano“ della responsabilità sociale d’impresa, appena sbarcati in Italia si impugna la scure. Ma, forse, i responsabili sono altri».
Che cosa ne pensa di Passera al governo?
«Un esecutivo condizionato dai mercati finanziari non potrà mai essere un governo tecnico».