di Nicola Borzi
Da un lato, le delegazioni trattanti guidate dai sindacati generali di Dircredito, Fabi, Fiba/Cisl, Fisac/Cgil, Sinfub, Ugl Credito e Uilca, al “primo tavolo”, e Unità sindacale Falcri-Silcea al secondo. Di fronte, la delegazione del Comitato affari sindacali e del lavoro dell’Associazione bancaria italiana, presieduta da Francesco Micheli con al suo fianco Giancarlo Durante, direttore centrale nonché responsabile della Direzione sindacale e del lavoro dell’Abi. Non era una sfida tra pistoleros: è la scena del faccia a faccia avvenuto ieri a Palazzo Altieri sul tema caldissimo del Fondo di solidarietà, l’ammortizzatore sociale di settore, totalmente autofinanziato, la cui disdetta, firmata dall’Abi il 7 aprile, è stata “congelata” sino al 18 luglio.
Secondo indiscrezioni, l’ipotesi di accordo sulla quale si tratta prevederebbe una rimodulazione dell’assegno, con un riduzione nell’ordine del 10% circa per consentire alle banche di assorbire il maggior onere, calcolato in circa 350 milioni l’anno a livello di sistema, derivante dallo slittamento delle finestre previdenziali deciso dalla manovra Tremonti contenuta nel decreto legge 78 del 31 maggio 2000.
La riduzione però sarebbe modulata in funzione del reddito lordo complessivo del bancario da accompagnare per cinque anni alla pensione, con uno “scalino” situato nei pressi di 40mila euro, non troppo lontano dunque dai 47mila euro annui che ogni prepensionato costava alla banca di provenienza prima della manovra. Dall’altro lato, le banche farebbero retromarcia sull’obbligatorietà dei prepensionamenti, accettando dunque la pregiudiziale sindacale della volontarietà di accesso al Fondo.
Ulteriori misure di rimodulazione, richieste dai sindacati, riguarderebbero l’introduzione di misure di solidarietà. Quando questo numero di «Plus» è stato chiuso, giovedì 7 luglio, l’incontro era ancora da tenere, programmato per il giorno dopo (ieri per chi legge), ma secondo le sensazioni delle parti l’accordo sembrava ormai a portata di mano – salvo rotture imprevedibili dell’ultima ora –.
Intanto però si stava scaldando un altro fronte, quello della manovra fiscale che va ad aumentare le imposte per il settore del credito, ponendo le basi di ulteriori tensioni sul rinnovo del contratto nazionale di categoria, scaduto a fine 2010.
Secondo Lando Maria Sileoni, segretario generale della Fabi, il rischio infatti è che l’aumento dell’Irap lo paghino i bancari: «L’obiettivo di pareggio del bilancio cui punta la manovra di rientro dal deficit approvata dal Consiglio dei ministri e sottoscritta dal Presidente Napolitano, è ineludibile per l’Italia. Quello che non si può apprezzare è l’aumento dell’Irap a carico delle banche, che passa al 4,65% con un incremento dello 0,75%. Il calcolo dell’imposta non tiene conto dei costi sostenuti per il personale, dunque si configura come un’imposizione particolarmente ingiusta per un comparto, quello bancario, che già soffre della tassazione più alta in Europa.
Come Fabi, sindacato più rappresentativo del settore, siamo particolarmente preoccupati di questa scelta che avviene alle soglie del rinnovo del contratto di lavoro e che rischia, nel contesto generale, di acuire il confronto tra le parti. Chiediamo al Governo che il settore non sia ulteriormente gravato da una tassa che rappresenta una vera e propria imposizione sul costo del lavoro», conclude Sileoni.
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