Addio sportellista, bye bye cassiere. Il 2011 vedrà emergere la specie di bancario “tuttofare”. Che al mattino va a trovare i clienti per proporre nuove forme d’investimento, nella pausa pranzo si forma (tra un morso e l’altro), al pomeriggio svolge compiti amministrativi, teambuilding, reporting… È l’obiettivo – come spiega Francesco Micheli nella pagina a fianco – che l’Associazione bancaria italiana si propone nel rinnovo del contratto di settore degli oltre 300mila bancari italiani. Perché i conti son sempre più magri e serve più produttività.
Nella realtà è già così: i dipendenti delle reti son subissati da un enorme numero di mansioni. Sempre, però, “in casa”: dentro gli sportelli. L’Abi però in futuro li vuole mobili: dopo anni di pazzie finanziarie per comprare o aprire nuove filiali, le banche hanno capito che il cliente va rincorso, non aspettato. Dunque meno sportelli – già le reti calano – ma più servizi. Forse anche meno bancari: si è parlato di esuberi pesanti, ma l’Abi smentisce.
Ma i progetti dell’Abi sono passati al pettine fine, senza sconti, da Lando Sileoni, segretario generale della Fabi, il primo sindacato del credito che conta 100mila iscritti: «Condividiamo l’obiettivo di far crescere i ricavi, ma non a costo della salute psicofisica dei lavoratori. Sui diktat dell’Abi per la moderazione salariale invece non ci confrontiamo: non abbiamo ancora nemmeno presentato la piattaforma unitaria per il rinnovo del contratto. Il settore non può tollerare una manovra aggressiva sulle retribuzioni. Piuttosto vanno individuati a livello aziendale elementi di equità, che considerino anche gli stipendi di manager, consiglieri di amministrazione, dirigenti e consulenti».
«Poiché con le fusioni e ristrutturazioni degli anni scorsi l’occupazione di sistema è calata, le banche devono svolgere un ruolo sociale. Occorre investire su nuova occupazione: solo con questa si possono raggiungere gli obiettivi economici che le aziende, legittimamente, si pongono. Ma non a discapito dei neoassunti con contratti flessibili o interinali, più esposti alle pressioni aziendali. Perché è stata la polverizzazione delle filiali, decisa dai gruppi, a far perdere il contatto con i territori. Sono stati i continui spostamenti di personale a causare la perdita delle figure di riferimento dei clienti nelle filiali. Le reti distributive create dai teorici si muovevano su logiche improvvisate e di pura gestione dell’emergenza, che non hanno risolto i problemi strutturali del modello di servizio del settore. Negli anni buoni, si è mirato ai guadagni facili per gli azionisti a danno di clienti e dipendenti, si è snaturato il modello tradizionale di banca. Nessuno dice no alla definizione di nuove regole, ma le vogliamo scrivere dentro il contratto. Quanto al Fondo di solidarietà, non credo che il ministro Tremonti sia contento di pagare la Cassa integrazione alle banche…», conclude Sileoni.
Eppure qualche spiraglio si apre proprio sul fronte caldissimo del Fondo, l’ammortizzatore sociale di settore – totalmente autofinanziato – che in 10 anni ha pagato il prepensionamento di 30mila bancari. Ma 10mila erano rimasti bloccati, dall’estate scorsa, per lo slittamento di un anno delle finestre previdenziali. Il 2 febbraio Abi e sindacati insieme, al ministero del Lavoro, hanno chiarito che “la concessione del prolungamento dell’intervento di tutela del reddito” è garantita e l’onere sarà a carico del Fondo sociale per l’occupazione.
La clientela sarà pronta alla “rivoluzione copernicana” per cui non è il cliente che ruota intorno alla banca ma il contrario? Domanda lecita. La sacralità della filiale è caduta insieme a vetri antiproiettile “preconciliari” che un tempo separavano i sacerdoti del denaro dal popolo. Il phone e l’internet banking hanno donato mobilità e ridotto i costi. Ma anche trasmesso ai clienti parte dei compiti e delle responsabilità. Non ci son più i bancari di una volta…
(Il Sole 24 Ore / Plus, 5 febbraio 2011)