Si dice che quando s’intende costruire qualcosa, è indispensabile avere un’idea chiara del progetto.
È sempre stato così.
L’ideazione deve trovare la sua forza empirica nel momento realizzativo che si manifesta, appunto, in un progetto che, man mano, prende forma. Gli strateghi delle banche avranno concepito il loro progetto del nuovo contratto in questo modo? Quale realtà ci troveremo di fronte? Quella vera, di un’economia che soffre e di lavoratori che sono costretti a difendere i propri posti di lavoro, oppure quella, artificiale, fatta di illusioni, di ripresa già consolidata, di aziende brillanti che superano ogni ostacolo? È difficile capire quale sia la verità.
I banchieri stanno già tirando i fili delle proprie trame in vista del rinnovo del contratto, cercando di dare una rappresentazione dei fatti economici non sempre oggettiva, ma strettamente funzionale ai propri scopi.
Drammatizzano quando vogliono risparmiare, enfatizzano quando vogliono apparire e guadagnare.
La crisi appare e scompare, a lampi, a seconda del bisogno, della circostanza, della convenienza degli interlocutori. La crisi – come la luce di un faro – ci abbaglia o ci lascia al buio, a seconda di quanto vada “spaventato” o intimorito l’interlocutore.
In questo percorso mistificatorio, che vuole addomesticare la realtà, strumentalizzando cifre e fatti, l’ABI trova buoni compagni di strada, a seconda del momento, tra gli economisti, tra gli imprenditori, tra i politici e, spiace dirlo, talvolta, anche, tra gli stessi (inconsapevoli?) sindacalisti.
È il momento di dire con chiarezza che il tempo degli illusionisti è tramontato. Non potremo non smascherare comportamenti, affatto riconoscibili, diretti a costituire artificialmente le condizioni per un negoziato contrattuale al ribasso. Se il problema sono le risorse da utilizzare, esse vanno individuate: producendo meglio, lavorando meglio, risparmiando dove è giusto e possibile, ma soprattutto facendo scelte coraggiose.
Scendiamo sul terreno concreto. Se dobbiamo parlare di costi, ebbene, allora documentiamo pubblicamente il peso economico di organismi societari (come consigli di amministrazione, comitati esecutivi, ecc.), spesso alimentati da occupanti di lunghissima navigazione, oramai insediati soltanto per ottenere un gettone di presenza.
Parliamo – alla luce del sole – dei ricchi contratti di consulenza sottoscritti con società che, poi, riescono a far assumere dalle aziende committenti – quasi come cavalli di Troia – i propri partner o i propri capi progetto.
Parliamo di managers di primo livello, che affidano mandati di ricerca per importanti posizioni dirigenziali a società amiche (cosiddette società di executive search) per dotarsi di un’assicurazione sulla vita professionale. Gli stessi managers committenti poi, nel momento del bisogno professionale – in caso di necessità – si faranno ripescare da quelle stesse società di ricerca alle quali avevano fornito lavoro. Questo è regolarmente sempre avvenuto nelle banche italiane.
Oppure, parliamo ancora di contratti sottoscritti per disegnare sistemi informatici incapaci di reggere il peso dell’operatività e non in grado di rispondere alle esigenze di flessibilità commerciale.
E ancora: di come appaia goffo e ridicolo il tentativo di semplificare le procedure e le norme operative, tentativo fatto da chi ha, quale primo scopo, quello di tutelare la propria posizione, anziché favorire lo snellimento del lavoro.
La burocrazia, sempre emergente e risorgente, ha un costo enorme nelle banche. Questo costo, quasi come un mostro, sfocia anche nella disaffezione dei clienti ed è fonte di malessere per il personale.
Qui nessuno vuole fare grandi promesse. I desideri non sono materia contrattuale. Conosciamo troppo bene il nostro mestiere per sapere che non dobbiamo coltivare illusioni.
Dobbiamo contare sulla nostra capacità di entrare nei contenuti di tutti i temi contrattuali, cercando di ragionare sempre e solo sui fatti. Ma sui fatti veri, non su una realtà di comodo, forzatamente eletta a paradigma.
Il buon contratto o il cattivo contratto non esistono in assoluto. Esistono, piuttosto, delle priorità e delle scelte.
Insistiamo nell’indicare, fra queste, un riequilibrio della componente retributiva sia nella parte tabellare, sia nella componente indiretta costituita da percorsi di carriera certi, non affidati alla sola discrezionalità aziendale.
Altra scelta è quella di considerare l’evoluzione dell’organizzazione del lavoro sia per la parte commerciale sia per la tecnostruttura, lasciando uno spazio per cogliere le specificità di ogni singola impresa bancaria.
Insomma, il confronto deve partire dai fatti, dai fatti come sono, e non da forzature determinate da visioni unilaterali: questo vale per entrambe le parti.
È una sfida difficile alla quale, con lealtà, come FABI, non ci sottrarremo.
(Da La Voce dei bancari n.7 Agosto 2010)