Home Rassegna Stampa “PENSIONO IL PADRE E ASSUMO IL FIGLIO”- Intervista al segretario generale della Fabi, Lando Sileoni (Ago e filo numero 3, aprile 2010)

“PENSIONO IL PADRE E ASSUMO IL FIGLIO”- Intervista al segretario generale della Fabi, Lando Sileoni (Ago e filo numero 3, aprile 2010)

di Redazione

“La crisi c’è stata, questo è innegabile , anche se si è avvertita in maniera più lieve rispetto ad altri Paesi, soprattutto quelli anglosassoni. Ma se il nostro sistema ha retto, lo si deve soprattutto alla presenza delle banche di credito cooperativo e delle banche popolari. Le quali, proprio perché fortemente

radicate sul territorio, hanno garantito il credito alle piccole e medie imprese anche in momenti difficili per l’economia”. Lando Sileoni è il nuovo segretario generale della Federazione autonoma bancari (Fabi), il maggiore sindacato autonomo del mondo bancario con oltre 90 mila iscritti. È stato proprio il Fabi a promuovere e a condurre in porto la trattativa con alcuni istituti bancari per portare a un nuovo patto generazionale: escono (con i prepensionamenti) i padri, e vengono assunti con nuovi contratti i figli. Alla Cgil in particolare, lo scambio sindacale non è piaciuto. Ma Sileoni tira dritto: in momenti di crisi, e con le banche che tagliano gli organici come se sfoltissero un prato, portare a casa assunzioni è un grande successo, nonostante le posizioni politiche. E poi ciò che interessa alla Federazione è rafforzare un modello meno incline alla finanza e più legato alle esigenze delle aziende e delle famiglie.

La Bcc di Roma ha intrapreso una “singolare” iniziativa, che permette il prepensionamento dei dipendenti con il subentro di un parente.

L’accordo raggiunto è politicamente e strategicamente innovativo perché ha salvato da un esodo forzato 76 dipendenti e, attraverso il meccanismo dell’uscita incentivata, ha favorito la creazione di nuovi posti di lavoro e il ricambio generazionale all’interno della banca.

Come funziona?

In sostanza vengono previsti una serie di incentivi per quei lavoratori che scelgono di andare in prepensionamento, come la possibilità di usufruire di alcuni benefici economici oppure l’entrata in banca al loro posto di un parente fino al terzo grado. Fatta salva naturalmente l’idoneità del parente a ricoprire quel ruolo accertata dalla banca attraverso prove di selezione. È innegabile che quest’ultimo incentivo favorisca la creazione di nuova occupazione.

Non c’è il rischio che l’iniziativa venga percepita come un’ulteriore chiusura consociativa del mondo bancario verso l’esterno?

Assolutamente no se si analizzano i fatti con lucidità e senza pregiudizi. L’accordo ha una validità temporanea: sarà in vigore fino al 2012 e interesserà solo i 76 dipendenti che sceglieranno di andare in prepensionamento nell’arco di questi due anni. Le accuse di corporativismo che ci sono state mosse sono dunque assolutamente pretestuose. Lo stesso vicepresidente di Confindustria, Alberto Bombassei, ha difeso l’accordo definendolo non disdicevole perché “incentiva la gente ad andare in pensione e favorisce il ricambio generazionale”.

Passiamo ai temi generali. Nel denunciare un ripresa “debole e frastagliata”, la Banca centrale europea (Bce) non ha fatto sconti ai grandi istituti, rei di lesinare nel concedere credito. Non sarebbe il caso di mandare i principali banchieri a lezione dai loro colleghi del credito cooperativo?

Noi della Fabi lo abbiamo sempre sostenuto. A differenza delle altre banche, gli istituti di credito cooperativo danno un reale contributo all’economia dei loro territori di riferimento favorendo lo sviluppo imprenditoriale e di conseguenza la produzione di ricchezza. Stiamo parlando di quel tradizionale modello di banca commerciale elogiato recentemente anche dal presidente Obama, da Sarkozy e dallo stesso Tremonti. Noi ci auguriamo che questo modello nei prossimi anni prevalga sul modello di banca d’investimento. Sarebbe un bene per i lavoratori e soprattutto per lo sviluppo del Paese.

Banca d’Italia, Consob e Isvap hanno sollecitato banche, assicurazioni e finanziarie a redigere bilanci trasparenti sui rischi ai quali si è esposti, sulla patrimonializzazione e sulla remuneratività. Crede che questo monito verrà ascoltato?

È auspicabile, ma non facile da applicare. Puntare su una comunicazione finanziaria trasparente è il primo passo attraverso il quale gli istituti di credito potrebbero riconquistare la credibilità persa negli ultimi tempi, dopo l’era dei grandi crack e degli scandali finanziari globali.

Sulla carta sembra facile…

Certo. Ma per rendere possibile questo cambiamento, sarebbe necessario che le banche condividessero innanzitutto il concetto di responsabilità sociale d’impresa. E prima ancora di questo, sarebbe opportuno che le autorità preposte vigilassero realmente sui conti delle banche e intervenissero tempestivamente qualora fossero accertate irregolarità.

Come dimostrano le piattaforme presentate da Intesa Sanpaolo e Unicredit, nei grandi gruppi le ristrutturazioni spesso si traducono in significativi accorpamenti di personale.

Di sicuro seguiremo l’aggiornamento dei piani industriali con la massima attenzione. Come sempre. E vigileremo affinché vengano comunque mantenuti i livelli occupazionali e si proceda alla riconferma di tutti i precari presenti nei gruppi.

Non c’è il rischio che i mirabolanti progetti di prossimità finiscano per distogliere l’attenzione dalle riduzioni del personale?

Ci confronteremo con la controparte non solo nei singoli gruppi bancari ma anche in Abi, dove i banchieri sono spesso divisi a causa dei differenti interessi che rappresentano. Dal 2000 ad oggi siamo riusciti a governare l’intero sistema bancario italiano anche grazie all’esistenza di un fondo di solidarietà, l’ammortizzatore sociale di categoria finanziato interamente dal sistema, riuscendo a prepensionare oltre il 10% della categoria, circa 30mila lavoratori. Anche grazie a questo strumento, a livello occupazionale, il nostro settore ha fino ad oggi risentito poco della crisi.

C’è il timore che in futuro le cose non cambino. E in peggio.

Quel che è certo è che non accetteremo mai un confronto basato solo sulla riduzione dei costi a favore degli istituti di credito. Non siamo disposti a un armistizio al ribasso.

A fine anno scade il contratto dei bancari e lei ha parlato della necessità di nuove regole per la rappresentanza. Quali sono le sue proposte?

Un soltanto e molto semplice. In sede di rinnovo della convenzione sulle agibilità sindacali, chiederemo che il peso politico delle organizzazioni sia commisurato alla loro effettiva rappresentatività. Questo è un principio elementare di democrazia che bisogna cominciare a far valere anche nel mondo del sindacato.

(Ago e Filo n° 3, aprile 2010 – di Francesco Indrizzi)

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