PERUGIA – Lando Sileoni è reduce dalla maratona congressuale dell’Ergife di Roma. 49 anni, sposato e con una figlia, viterbese di nascita,esperienza professionale e sindacale ma orvietano doc d’adozione, è il dirigente che dovrà guidare la Fabi, l’organizzazione più rappresentativa del mondo bancario, nella fase più delicata della sua storia. Il mondo del credito esce, infatti, da una recessione globale innescata proprio dalle speculazioni e dagli “apprendisti stregoni” della finanza creativa. E dalle banche, le imprese e i consumatori si aspettano quell’impulso alla ripresa frenato dalla stretta creditizia.
La sua nomina al vertice del sindacato arriva nella fase di rinnovo del contratto nazionale di lavoro. Quali sono le priorità della Fabi nella contrattazione con le banche?
Le nostre priorità al momento sono due: lottare per la riconferma di tutti i precari, perlopiù giovani, presenti nelle banche. Una battaglia che ci vedrà impegnati in prima linea con l’aggiornamento dei piani industriali dei grandi istituti di credito che è ormai imminente. La seconda, non meno importante, sarà garantire ai bancari un buon contratto di categoria, soprattutto nella sua parte economica, al prossimo rinnovo della piattaforma contrattuale previsto a settembre. La recessione pesa sui conti delle banche: questo è innegabile. Ma fa anche emergere un problema di asimmetria tra le strutture dei costi e il livello di redditività dei bilanci bancari. Dal nostro punto di vista vediamo invece la possibilità di costruire un equilibrio sostenibile tra il costo del lavoro, il margine di intermediazione e la redditività degli istituti di credito. Come Fabi riteniamo quindi che la parte economica rappresenta l’elemento essenziale di un rinnovo contrattuale perché noi crediamo che un’economia vincente sia quella in cui ognuno ha la possibilità di trovare o mantenere un lavoro che gli permetta di pagare il mutuo e magari di risparmiare qualcosa a fine mese.
Il “posto in banca” un tempo equivaleva a un sogno di stabilità. Come è cambiato oggi il mondo del lavoro?
Tutt’ora il posto in banca rappresenta nell’immaginario collettivo un lavoro stabile. Questo anche perché i sindacati, Fabi in testa, hanno saputo efficacemente tutelare i lavoratori del settore dalla precarietà dilagante che, con le ultime riforme del mercato del lavoro, si è imposta in ogni ambito di impiego. I contratti a termine e di somministrazione e i tirocini formativi naturalmente sono applicati anche negli istituti di credito, ma in misura minore rispetto ad altri comparti. Di questo si deve rendere merito al sindacato che si è sempre battuto contro l’abuso di questi strumenti contrattuali.
Come ha influito la crisi sul sistema?
La crisi c’è stata questo è innegabile anche se si è avvertita in misura più lieve rispetto ad altri Paesi, soprattutto quelli anglosassoni. Il nostro sistema ha retto soprattutto grazie alla presenza delle banche di credito cooperativo e delle banche popolari, fortemente radicate sul territorio e che hanno garantito il credito alle piccole e medie imprese anche in momenti difficili per l’economia. Per quanto riguarda invece i dati sull’occupazione del settore bancario, possiamo dire senza alcun dubbio che oggi il sistema è più solido, non ha sofferto più di tanto per la crisi anche perché ha potuto prepensionare su base volontaria oltre il 10% della categoria, circa 30mila lavoratori, in virtù all’esistenza del nostro fondo di Solidarietà, il nostro ammortizzatore sociale, istituito nel 2000 e recentemente integrato di una sezione emergenziale. Grazie all’accordo sottoscritto a dicembre tra Abi e sindacato potranno eneficiare infatti della copertura di questo fondo anche lavoratori recedentemente esclusi come i giovani e i dipendenti delle aziende di credito he versano in un particolare stato di crisi strutturale o delle banche estere resenti sulle piazze di Roma e Milano, a loro sarà garantita un’ indennità di isoccupazione graduata per fasce di reddito per 24 mesi.
Dal Governo è arrivato più volte l’input a sperimentare, anche in Italia, forme i cogestione delle imprese. Sarà possibile vedere nelle banche la artecipazione agli utili da parte dei dipendenti o la partecipazione dei avoratori a consigli di sorveglianza, come avviene in altri paesi europei?
Dal governo per il momento sull’argomento sono arrivate solo dichiarazioni di pincipio e alla parole non è seguito alcun disegno di legge. Potrebbe a breve essere in discussa una proposta di legge del senatore Ichino, ma ancora non risulta sia stata calendarizzata. Il governo recentemente ha fatto dietrofront anche sulla proposta di porre un tetto agli stipendi dei manager. La commissione Finanze della Camera ha cancellato il testo del Senato che prevedeva che il trattamento economico degli amministratori delegati delle società quotate e delle banche non potesse superare quello annuo lordo spettante ai parlamentari. Questi fatti rappresentano per l’ennesima volta una sconfitta della politica. Se però si dovesse affermare, come avviene già in altri paesi europei, il sistema di partecipazione dei lavoratori ai consigli di sorveglianza e alle gestione delle imprese, penso che questa sarebbe una grande vittoria per il mondo del lavoro, che motiverebbe e responsabilizzerebbe ulteriormente i lavoratori.
Mentre prosegue la fase di assestamento seguita al risiko bancario e alle grandi concentrazioni, i maggiori istituti di credito stanno per presentare i nuovi piani industriali. Come evolverà il sistema creditizio?
Le banche europee ed anglosassoni sono riuscite oggi a risalire la china grazie alle ricapitalizzazioni pubbliche e al quasi azzeramento dei tassi d’interesse deciso dalle banche centrali. Questa manovra ha permesso l’ottenimento di utili significativi, utili che potranno essere impiegati o nel rafforzamento patrimoniale, con conseguente allargamento del credito all’economia, intesa come famiglia e impresa o nell’investimento in dividendi, bonus e stock options per azionisti e banchieri. Anche le banche italiane si troveranno di fronte a questo bivio. Soltanto tra qualche mese sapremo quale modello di banca prevarrà: se la tradizionale banca di un tempo, la cosiddetta banca commerciale, o quella più attuale d’investimento. Guardando oltreconfine, il presidente Obama è decisamente in favore di un ritorno al modello tradizionale di banca, la vera, originale banca commerciale; e la banca commerciale non può assolutamente detenere, né partecipare, né gestire hedge fund e fondi private equity. Anche le opinioni di Tremonti e Sarkozy a riguardo sono nettamente allineate alla visione di Obama. Come Fabi, per il bene dei lavoratori e dell’economia stessa, ci auguriamo che prevalga il modello di banca commerciale.
Le imprese lamentano la “fuga” dei centri decisionali delle banche dalla periferia, con un conseguente allungamento dei tempi di ottenimento degli affidamenti e una perdita del rapporto diretto tra imprenditori e mondo del credito. E’ un problema sentito anche dal sindacato?
Certamente. Con le grandi fusioni bancarie degli ultimi anni, che hanno portato alla nascita di 6 grandi Gruppi, i centri direzionali delle piccole banche inglobate dai giganti della finanza hanno perso il loro radicamento sul territorio. Questo ha creato non pochi problemi anche dal punto di vista della contrattazione sindacale, criticità che però il sindacato è riuscito a risolvere rafforzando ulteriormente la propria segreteria nazionale e la sua capacità di incidere politicamente salvaguardando al massimo gli interessi dei lavoratori rappresentati.
Quali sono le sfide che impegneranno il sindacato nel prossimo futuro?
Le sfide sono essenzialmente due: rinnovare il contratto di categoria salvaguardando il potere d’acquisto dei lavoratori e negoziare con i banchieri nuove forme di stabilità per rafforzare all’interno della banche e dei gruppi bancari la posizione dei giovani precari. Siamo un sindacato riformista e pensiamo che il modo migliore per garantire occupazione sia studiare nuove tutele che passino attraverso la flessibilità contrattualizzata, un sindacato che troverà soluzioni adeguandosi ai tempi e uscendo dagli stanchi rituali sindacali tradizionali. In Umbria la nostra struttura provinciale è gestita in maniera esemplare. Abbiamo grandi dirigenti come Giacomo Melfi, Enrico Simonetti, Claudio Cresta e tanti altri che vivono sulla propria pelle i problemi dei lavoratori bancari, dando sempre loro risposte puntuali e concrete.
(Corriere dell’Umbria, 5 marzo 2010 – Federico Zacaglioni)