I bancari in uscita non restano soli. Chi sta per maturare i requisiti è accompagnato alla pensione, sino a cinque anni, dal Fondo di solidarietà di settore. Secondo l’Abi, dal 2000 al 2008 il Fondo ha gestito oltre 30mila esuberi e attualmente si occupa di altri 7.500. Ma lo strumento, totalmente autofinanziato e così efficace da essere copiato da altri settori (il 12 novembre il ministero del Lavoro ne ha ricostituito il Comitato amministratore) ha più di un problema. Secondo Lando Sileoni, segretario generale della Fabi, «occorre far ripartire il Fondo. Bisogna intervenire sui criteri contabili che non consentono alle banche di ammortizzare su più esercizi il costo degli esodi, che si scarica integralmente sul primo bilancio. Occorrerà un’intesa tra sindacati, Abi e Governo per reintrodurre, almeno temporaneamente, la fiscalità agevolata in vigore sino alla Finanziaria 2007 che consentiva di ridurre del 10% l’onere dei prepensionamenti. Oggi ogni uscita costa al Fondo 160-200mila euro e la permanenza del lavoratore si va allungando dai tre ai
quattro anni».
Bisogna anche pensare ai lavoratori di banche estere e società che non aderiscono all’Abi, che non godono del Fondo né di alcuna protezione. Le banche hanno proposto ai sindacati forme di outplacement: siamo d’accordo di utilizzare a questo fine, per un periodo definito, lo 0,5% dei versamenti che i lavoratori devolvono alla formazione. A disposizione ci sono circa 300
milioni. Ma occorre anche salvaguardare i precari: almeno 8mila giovani con contratti a termine, regolati dalla Legge 30, che rappresentano l’80% dei nuovi assunti, anche quelli reclutati con la “staffetta” genitori-figli. Però serve un decreto legge. Il rischio è di doverlo attendere oltre un anno», conclude Sileoni.
(Il Sole 24 Ore / Plus, 14 Novembre 2009)