Perugia – Una luce alla fine del tunnel. Potrebbe essere il sole ma potrebbe essere anche un treno in corsa. Meglio non schierarsi né con il partito degli ottimisti né con i pessimisti.
La crisi prima o poi finirà ma con quante vittime e quali possibilità è ancora tutto da vedere. Parliamo di una congiuntura strutturale che parte da prima dei crolli finanziari. L’esperto. Il professor Massimo Paoli, docente
di Economia all’Università di Perugia che ieri ha partecipato e messo il pepe sul convegno “La crisi economica in Umbria, a confronto banche, imprese e sindacato”, organizzato dalla Fabi (Federazione autonoma bancari italiani) e dal Corriere bisogna guardare indietro. Quando l’Italia ha smesso di produrre e dato il via, purtroppo a un pericoloso processo di deindustrializzazione. “Stiamo parlando – ha detto Paoli – di una crisi strutturale che parte dalla crisi dei distretti, dall’eccessivo capitalismo familistico che caratterizza la nostra imprenditoria, dove l’ultimo rampollo di famiglia guida l’azienda solo per legittimità di sangue e non per capacità e preparazione”. La crisi non è uguale ovunque, secondo i dati presentati da Paoli, il famoso Bric (Brasile, Russia, India e Cina) continua a marciare a discapito di America, Europa e Giappone che arrancano. E se il sistema bancario italiano è senz’altro più robusto ci sono dei nei da cancellare: “Innanzitutto spese e commissioni su un prestito sono 5 volte superiori a quelli della Germania, e poi per avviare e concludere una pratica per un prestito ci vogliono mediamente 19 giorni. Sia i tassi di breve che quelli di medio-lungo termine sono superiori a quelli degli altri paesi europei”. Tutto poi è condito da un debito pubblico e da un deficit che creano uno squilibrio pericoloso. Ma per il professor Paoli i due veri problemi dell’Umbria sono il venir meno della terza gamba e la dimensione. “Da un lato ci troviamo di fronte alla perdita di industrie e di produzione – ha
spiegato il professore – dall’altro come può farcela una regione, anche in vista del federalismo fiscale, ad essere competitiva se è più o meno uguale a due quartieri di Roma? Siamo piccoli per fare politiche di industrializzazione e prima o poi dovremo pensare a una naturale sinergia con Marche e Toscana”. Ultima chiosa sul turismo, grande volano dello sviluppo umbro. “Si parla tanto di modello turistico ma ad oggi non c’è niente se non l’input chi viene viene, meglio che ne vengano tanti”.
Le imprese. Difficile, anzi, difficilissimo. Così le imprese umbre descrivono l’autunno scorso. “Un momento – spiega Gabriele Chiocci, presidente regionale di Confapi – che ha visto le aziende brancolare nel buio, per colpa di un sistema bancario che ci ha lasciato senza certezze e una recessione economica che ha cominciato ad avanzare senza far intravedere la minima possibilità di fermarsi”. Ma allora dove trovare la chiave giusta per uscire da tale situazione? “L’erogazione del credito, è indispensabile – chiarisce Chiocci – ma il ruolo più importante a questo punto spetta alle istituzioni. La Regione può e deve erogare ogni possibile risorsa per dare una mano alle realtà produttive del territorio. A questo punto la collaborazione tra pubblico e privato si fa indispensabile”. E’ la burocrazia il secondo grande nemico delle aziende individuato da Chiocci: “E’ uno spauracchio ancora grandissimo per chi fa impresa. Un mostro che ci massacra quotidianamente.
Uscire dalla crisi significa anche attuare misure a costo zero, che riducano al massimo questo tipo di lungaggini”.
Il sindacato. Lando Sileoni, segretario generale aggiunto di Fabi, snocciola con fierezza i numeri del suo sindacato: 100mila iscritti, 60 anni di storia, 96 strutture provinciali. “Siamo stati gli unici – chiarisce – a gridare allo scandalo degli stipendi dei banchieri, i cui redditi superano di 500 volte quelli dei bancari. Ed è grazie al nostro impegno quotidiano che si è arrivati ad un adeguato riposizionamento dell’intero settore”.
Sileoni, il cui intervento è stato molto apprezzato, individua due ragioni essenziali che hanno portato al fallimento delle banche americane: l’avidità dei banchieri e la spregiudicata politica di vendita di prodotti finanziari altamente a rischio, unita all’attuazione di esperimenti di finanza creativa. “In Italia – sottolinea però Sileoni – il sistema malgrado tutto regge ancora. Questo accade perché anziché occuparsi di finanza creativa i banchieri di casa nostra hanno piuttosto pensato a farsi la guerra. E perché nel nostro paese è ancora molto forte la presenza di banche popolari e di credito cooperativo. In Umbria, in particolare, le fondazioni bancarie, espressione delle comunità di riferimento che hanno interesse ad una produzione stabile e di valore nel lungo periodo, hanno esercitato una politica di controllo del territorio salvaguardandolo dalle politiche più aggressive dei grandi gruppi bancari”. “La crisi comunque – ha chiuso Sileoni che a febbraio prossimo diventerà Segretario Generale del sindacato dei bancari – riguarda anche noi, e questo non va negato. Come se ne esce? Facendo ognuno il suo dovere.
Associazioni di categoria, banche e istituzioni territoriali. La convergenza, oggi più che mai, deve diventare una strada obbligatoria”.
I bancari. Giocano sulla difensiva, come prevedibile. Ma non si tirano indietro dall’assunzione di responsabilità. “Di alcune, ma non di tutte”, precisa il presidente della Cassa di risparmio di Foligno Denio D’Ingecco. Le risposte delle banche umbre alla crisi che ha colpito la regione suonano tutte la stessa nota: va bene un esame di coscienza, ma che a farlo siano tutti. “Dalla crisi – ha sottolineato – si esce tutti insieme. Gli istituti di credito hanno le loro responsabilità, è vero, ma è opportuno che a interrogarsi siano tutti gli attori dell’economia. I rapporti tra banche e imprese vanno ripensati, così come vanno smentite le voci per cui avremmo chiuso i rubinetti del credito. Bisogna fare chiarezza una volta per tutte, e questa particolare situazione economica forse può spingerci a cambiare finalmente le cose”. Anche Alfredo Pallini, direttore generale della Banca popolare di Spoleto e presidente della commissione dell’Abi dell’Umbria, ha spiegato che dalla recessione si può e si deve uscire “lavorando tutti insieme. Nessuno ha ben capito come siamo arrivati a questo punto. Certo è che abbiamo importato dal mondo anglosassone regole che si sono rivelate fallaci e che ci impongono di ripensare il sistema finanziario.
Ben vengano, in questo contesto di difficoltà, le iniziative istituzionali a supporto delle imprese e ben vengano, soprattutto, comunicazione e trasparenza. Soltanto attraverso l’estrema chiarezza – ha chiuso Pallini – potremo infatti limitare al massimo il rischio di perdita così da uscire da questa pesante fase di recessione”. Massimo Marroni, direttore commerciale Umbria, Marche, Lazio nord di Unicredit, ha descritto la crisi come “un’occasione per riaprire il dialogo tra banche e imprese”. Le conseguenze del momento di difficoltà si traducono quasi per tutti in un forte indebolimento degli investimenti. “I risparmiatori – ha aggiunto Marroni – adesso ci chiedono prodotti semplici, siamo ritornati ai vecchi libretti, ai prodotti cosiddetti “salvadanaio”. Non è vero, poi, che i nostri tassi siano alti: occorre fare sempre le necessarie distinzioni”. Di “fine di un mondo” ha parlato anche il direttore generale della Banca di credito cooperativo di Spello e Bettona, Maurizio Del Savio: “L’attuale situazione di crisi ci impone di ripensare le regole del gioco. Siamo in guerra, in piena guerra, e bisogna prenderne atto. Al di là di ottimismi o pessimismi la crisi c’è e non si può negare. Ma dalla crisi, così come da ogni guerra, si può uscire. Anche più forti di come si è entrati”.